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FRAMMENTI DI INCONTRI PROTETTI – II

Dopo aver parlato della scuola con l’assistente sociale, la minore viene accompagnata nella stanza in cui c’è il papà.

Minore: No, lasciatemi stare …
Padre: Papà sono …
Minore: No, tu sei cattivo; no, me ne voglio andare perché quello mi ha fatto del male; no, me ne voglio andare.
Assistente sociale: Ma fammi parlare …
Minore: No, mi ha fatto del male; no, lasciami stare; mamma … fatemene andare.
Assistente sociale: Fammi parlare, che mi sta venendo mal di testa … me l’ha portato … (incomprensibile) … la donna delle pulizie.
Minore: No, ma me ne voglio andare, me ne voglio andare.
Assistente sociale: Amore …
Minore: Aiutatemi … vi prego: quello è un cattivone. No, me ne voglio andare, fatemene andare da qua, lui non mi vuole bene …
Assistente sociale: Vuoi stare con me? Stai con me… ci sediamo qua?
Assistente sociale: Senti, amore, cos’hai fatto?
Minore: Me ne voglio andare, perché mi ha fatto del male; aiuto … no … io non voglio più parlare, né giocare con una persona che mi ha fatto del male, me ne voglio andare.
Assistente sociale: Parliamo a bassa voce, non gridiamo, c’é tanta gente di là. Stavamo parlando bene prima della scuola. Ci siamo noi!
Minore: Non voglio parlare con quello.
Assistente sociale: Ma quello … ascolta. È passato tanto tempo …
Minore: Non me ne importa se è passato tanto tempo … questa persona mi ha fatto del male.
Assistente sociale: Chi è questa persona?
Minore: Lui.
Assistente sociale: Chi è lui?
Minore: Non è mio padre, lui.
Assistente sociale: Gli vogliamo dare un’altra …
Minore: No, perché lui non si merita che io lo chiamo “padre”.
Assistente sociale: E quella persona come si chiama?
Minore: Quello.
Assistente sociale: Ci conosciamo da tanto tempo, so che ti chiami …
Minore: Fatemene andare.
Assistente sociale: Ogni persona ha un nome, un cognome, dicendo quella persona …
Minore: No, non me ne importa: lui non ha un’identità per me … No, non fate quella faccia.
Assistente sociale: E perché mi dai del “voi”? Prima mi dai del tu, poi mi dai del voi … non mi fai capire niente così.
Minore: No, ho detto “lasciatemi tutti”.
Assistente sociale: A chi?
Minore: Tutti loro.
Assistente sociale: Tu di che squadra sei tifosa? L’Inter ha perso ieri…
Minore: Di niente.
Assistente sociale: Interista.
Minore: Non sono di niente … di niente …
Padre: È del …
Minore: No, di niente, di niente … Bugiardo, bugiardo …
Minore: No, lasciatemi stare, Vi prego.
Assistente sociale: E chi ti sta facendo niente? Non ti sto neanche toccando.
Minore: Me ne voglio andare. Giuro che chiamo la polizia.
Assistente sociale: (ride) Mi vuoi mettere in prigione?
Minore: Sì.
Assistente sociale: E io come devo fare con i miei figli?
Minore: Non a te, a lui.
Assistente sociale: Se gridi, mettono in prigione a me … perché lui non si è neanche avvicinato … sei tu che gridi così.
Minore: Lasciami stare …
Assistente sociale: Allora, se mi mettono in prigione cosa devo dire ai miei figli?
Minore: Voi non mi potete costringere a vederlo.
Assistente sociale: E mica ti sto costringendo…
Minore: Lasciatemi stare … io me ne vado da qua … finora, tu e il dottore siete stati miei amici, finora. Io qua, se me lo dovete far vedere non ci metto più piede.
Assistente sociale: Ma, ascolta, non siamo noi …
Psicologo: Noi siamo sempre amici tuoi …
Assistente sociale: Mi permetti ancora cinque minuti, un discorso breve.
Minore: A me viene mal di pancia.
Assistente sociale: Hai la pancia, tu? (RIDE) Io ho la pancia.
(ridono tutti)
Minore: Mi sta veramente venendo mal di pancia, non sto scherzando.
Assistente sociale: Eh sì, perché stai diventando grande e ti stai preparando a diventare signorina.
Minore: No, no, perché sono agitata. Aiuto, aiuto, no …
Assistente sociale: Sei sicura?
Minore: Si, io me ne vado, me ne voglio andare.
Assistente sociale: Dai stai tranquilla, altrimenti fai agitare anche me … ascolta, stai tranquilla e stai serena.
Minore: Non sono serena.
(ridono perché lì c’è una ragazza di nome Serena)

Minore: Fatemi andare, me ne voglio andare.
Assistente sociale: Sei stata molto brava, davvero, sei molto brava come bimba e anche molto intelligente e brava e quindi tu sai che le cose ci sono da fare … senza che …
Minore: No, io non voglio.
Assistente sociale: Ascolta, ascolta, il mio lavoro non è facile.
Minore: Si, lo so.
Assistente sociale: Ma fammi parlare, che la …
Minore: (ansima) La porta …
Assistente sociale: La mamma è andata via: quando torna la mamma … poi …
Minore: Non me ne importa niente, me ne scappo.
Assistente sociale: Ma fammi parlare, mi hai fatto stancare. Vammi a prendere un bicchiere di thè che mi sta girando la testa.
Minore: Vengo anch’io, guarda: anch’io mi sono stancata.
Assistente sociale: Lo vuoi anche tu?
Minore: No, non voglio niente, lasciatemi stare, per favore.
Assistente sociale: Ascolta …
Minore: No, me ne voglio andare.
Assistente sociale: Sì, ora te ne vai, aspetta …
Minore: No, fatemene andare, no.
Assistente sociale: Vuoi vedere un manuale che abbiamo fatto … nell’altra stanza … vieni nella stanza mia.
Minore: Aiuto, io non voglio vedere quello. Aiuto.

Minore: Io me ne voglio andare da qui … ma voi volete vedere una persona che vi ha fatto del male?
Assistente sociale: Per forza, ma se uno mi ha fatto del male …
Minore: Non è vero … non è vero … Voi non volete vedere una persona che vi ha fatto del male …
Assistente sociale: Ma perché prima mi dai del tu e poi mi dai del voi … fammi capire … sto soltanto io … allora, perché mi dai prima del tu e poi del voi? Allora, decidi …
Minore: Io, però …
Assistente sociale: E no, no, decidi, mi dai del tu o del voi?
Minore: Del tu …
Assistente sociale: Oh, finalmente …
Minore: Si, però, io voglio essere serena …
Assistente sociale: (ride) No, non puoi essere “Serena” perché Serena è lei …
Minore: Io voglio essere tranquilla, come gli altri bambini.
Assistente sociale: Tu sei più intelligente degli altri bambini.
Minore: No, io voglio essere tranquilla … non voglio avere questa scocciatura di venire qua: lasciatemi stare, per piacere … e se quello mi vuole bene, prima mi deve chiedere scusa per quello che mi ha fatto, poi mi deve lasciare perdere, proprio come non ero nata …
Assistente sociale: Ah, secondo te … metti che io faccio un figlio e magari mio figlio si arrabbia con me, e un cuore di mamma, come si fa ad abbandonare un figlio, un cuore di mamma, di papà …
Minore: Si, ma lui mi ha fatto del male.
Assistente sociale: Si, ma di questo non ne parliamo … noi stiamo parlando di un fatto che dice che il papà vuole vedere la figlia e la figlia …
Minore: Non me ne importa niente, me ne voglio andare da qua: lasciatemi andare.
Assistente sociale: E dove vuoi andare?
Minore: A casa mia.
Assistente sociale: Che palle a casa, che vuoi fare a casa?
Minore: Almeno sto tranquilla e non ho l’agitazione di stare qua a vedere quello; lasciatemi stare, per favore, io non ce la faccio più, lui è cattivo e non lo voglio vedere … (piange)
Assistente sociale: Vabbè, tranquillizzati, dai. Prendi un fazzolettino …
Assistente sociale: Spero che tu non pianga come una fontana…
Minore: Io non piango quasi mai, solo quando … per favore lasciami andare …
Assistente sociale: Eh basta, basta (si rivolge gridando alla Minore). Fammi rilassare un poco, siediti lì al posto mio (gridando) … stai un poco zitta, cinque minuti, siediti un attimo alla poltrona mia … è da stamattina una continuazione, e vai là e tanto di testa e vai là e tanto di testa … non è possibile lavorare in queste situazioni … sono proprio stanca … e il tribunale dice una cosa e la bambina ne dice un’altra e la mamma ne dice un’altra e il papà ne dice un’altra … io impazzisco …
Minore: E impazzisci!
Assistente sociale: E allora cosa devo fare? Devo pensare di ragionare con persone che ragionano con la testa… e l’unica persona che sembra che ragioni di più in questa  situazione è …, e speravo che tu mi comprendessi, ecco perché avevo deciso di parlare con te, con una persona intelligente come … che non ha neanche paura per farsi i buchi alle orecchie … invece questa sì … e pensavo “ragionerà un pochettino” …
Minore: Aspetta … io ragiono … però quando ci sono persone o bambine che dicono bugie e che mi fanno del male io non voglio nemmeno parlare al telefono … già è tanto che ci parlo … poi figurati se le devo vedere … no, non se ne parla proprio …
Assistente sociale: Quindi, mi stai dicendo che io ho fallito …
Minore: No, sto dicendo che il tribunale ha fallito.
Assistente sociale: E quindi io ho fallito davanti al tribunale. E tu mi vuoi far fare questa brutta figura al tribunale?
Minore: No.
Assistente sociale: Eccome no, tu me la fai fare questa brutta al tribunale.
Minore: No, io non lo voglio vedere.
Assistente sociale: E sai cosa mi diranno? “Dottoressa si è fatta fregare da una bambina” …
Minore: No, lasciatemi stare …
Assistente sociale: E un’altra volta il voi mi stai dando …
(bussano alla porta)
Assistente sociale: Ancora del voi mi dai …
Minore: Io non sto dando del voi … lasciatemi stare vuol dire “a tutti” … a tutti in generale anche agli altri.
Assistente sociale: Ci stai facendo sudare sette camicie.
Minore: E io otto.
Assistente sociale: Vedi che vuoi sempre comandare tu … se io dico sette e tu otto, vuoi vincere tu.
Minore: Non è che voglio vincere io … il problema è che io sono calma fino ad un certo punto … poi non ci resisto … quando vedo una persona che mi ha fatto male … avete capito?
Assistente sociale: Abbiamo detto che non dobbiamo parlare di queste faccende …
Minore: Lo so, lo so.
Assistente sociale: E allora non ne parliamo.
Minore: Sì, sto solo dicendo che io sto calma fino ad un certo punto, poi non ce la faccio più.
Assistente sociale: Allora stiamo solo cinque minuti …
Minore: No, no.
Assistente sociale: E così io sto a posto con il tribunale e dico che li ho fatti vedere …
Minore: No, no.
Assistente sociale: Ascoltami, io prendo in giro quelli del tribunale “no, io li ho fatti vedere” ma tu non glielo dire … e dico (incomprensibile)
Minore: No, ti prego, per favore.
Assistente sociale: Neanche almeno cinque minuti.
Minore: No, ti prego, no lasciatemi stare …
Assistente sociale: Ascoltami, non diciamo per quanto tempo … io dico la verità … diciamo non è vero … l’ha visto il papà …
Minore: No, per piacere, NON LO VOGLIO VEDERE, per favore, per favore tu, niente cinque minuti.
Assistente sociale: In presenza mia e del dottore.
Minore: No, neanche in presenza tua e del dottore.
Assistente sociale: Il dottore lo mandiamo via.
Minore: No, ti prego, lasciami perdere, lasciami stare …
Assistente sociale: Sai che sono del segno dei gemelli … cosa vorresti fare da grande?
Minore: Giornalista, professore
Assistente sociale: Come la mamma e come papà …
Minore: Non mi interessa, non è mio padre, non si merita di essere mio padre.
Assistente sociale: Lui ha messo il semino …
Minore: Non mi interessa … lui è stato cattivo con me … lui fa finta che non è successo niente perché è un bugiardo …
Assistente sociale: Di quello che è successo non possiamo parlare.
Minore: Lo so.
Assistente sociale: Ascolta amore, ma non può essere che tu ricordi male?
Minore: Questa è la verità!
Assistente sociale: E lo so, ma i giudici devono stabilire la verità, se no che si va a fare davanti ai giudici, amore? I giudici stanno apposta per capire la verità … quando i giudici dicono … perché noi a volte dimentichiamo le cose, oppure le ricordiamo male.
Minore: Io non dimenticherò mai quello che mi ha fatto.
Assistente sociale: Sì, ma stanno facendo tutto perché i giudici devono decidere … hanno detto “non ne parlate voi perché dobbiamo decidere noi”; nel frattempo, siccome poi hanno detto che tu stai bene e sei nelle condizioni … cioè non sei l’unica bambina che è qui con il papà dopo che sono successe cose di questo genere, significa che il rapporto si può ricostruire.
Minore: NO, NON SI PUO’ RICOSTRUIRE PIÙ, io non me lo ricostruirò con lui, POSSO RICOSTRUIRLO CON UNA MIA AMICA CHE HO LITIGATO MA CHE NON MI HA FATTO DEL MALE, ma almeno ho litigato ma non per queste cose … Io posso essere amica di una bambina che ha detto una bugia, per esempio la bottiglia era celeste invece era gialla e io ci litigo e poi io ci vado daccapo … ma non è che io vado da una persona che ha fatto … non si può dire cosa.
Assistente sociale: Si, ho capito, ma siccome c’è pure questa situazione e io devo scrivere, mi puoi fare questa cortesia che io scrivo che si sono visti, tu vai cinque minuti …
Minore: No, no, no, lo so che ti chiedo un grande favore, ma per favore lasciatemi perdere a tutti … lasciatemi perdere … me ne voglio andare da qui …
Psicologo: Ma tu devi venire sempre, non hai capito niente.
Minore: No, non mi interessa niente perché io oggi avevo deciso di attaccarmi alla sedia e di non venire … io lo faccio veramente … io non ci vengo in questo posto se dovete fare così.
Psicologo: Così come?
Minore: Di farmi vedere quello.
Psicologo: E tu hai l’occasione di dire “io non ti voglio vedere” …  perché non cogli questa occasione?
Minore: Io gliel’ho detto, non ti voglio vedere, sei stato cattivo con me.
Picologo: E però non è che lo hai detto proprio chiaro; glielo hai detto proprio chiaro?
Assistente sociale: Magari glielo dicesse, così il tribunale non ci scrive più niente.
Psicologo: Perché non glielo dici tu?
Minore: Ok, glielo dico in faccia … si però voi mi dovete giurare che me ne vado.
Psicologo: Intanto comincia a dire …
Minore: No, no, per piacere.
Assistente sociale: Giuro …
Psicologo: Intanto comincia …
Minore: Su Dio …
Assistente sociale: Su Dio …
Minore: Tutti …
Assistente sociale: Dio uno è, qui mettiamo in discussione che Dio uno è … (ride)
Minore: Lasciami perdere, non ti voglio vedere più io. Sei stato un cattivo, lasciami stare … se mi vuoi bene lasciami stare … no, non sei mio padre, sei cattivo …
Assistente sociale: Non gridare.
Minore: Sei stato un cattivo.
Padre: Lo sai che oggi è il mio compleanno?
Minore: Se mi vuoi tanto bene, lasciami stare.
Assistente sociale: Chiedi almeno quanti anni ha e poi ti lascio.
Minore: No, no, non ti voglio.
Assistente sociale: Quanti anni ha papà?
Minore: Non lo so e non lo voglio sapere.
Padre: Cinquanta.
Minore: Io non ti voglio vedere, lo devi capire …
Assistente sociale: Non gridare, mi fai fare brutta figura.
Padre: Oggi è la festa di papà.
Minore: Non me ne importa niente.
Padre: Com’è, io ti ho fatto gli auguri del compleanno? E poi volevo sapere oggi a scuola cosa hai fatto.
Minore: No, me ne voglio andare da questo posto … me ne voglio andare.
Padre: Abbiamo capito.
Minore: Io non parlo con una persona cattiva. Tu dici sempre le bugie.
Padre: Papà dice sempre la verità.
Minore: Non è vero, e poi lasciami stare … fatelo andare via da qui.
Padre: (incomprensibile)
Minore: E ancora menti … per favore … me ne voglio andare … cattivo.
Padre: Grazie per gli auguri.
Minore: Io me ne vado, cattivo, cattivone, sei un bugiardo.
(Minore esce dalla stanza)

(voce non identificata): Quanti anni hai?
Minore: Otto.
(voce non identificata): Fai la seconda?
Minore: La terza.
S: Vai bene a scuola, eh? Si vede…
(voce non identificata): Quale materia ti piace di più?
Minore: Italiano ed inglese

Assistente sociale: Hai molti compiti per domani?
Minore: No, solo colorare.
Assistente sociale: Ok, è andato via (il padre) … Però fai almeno una cosa, almeno quello lo puoi fare? Rispondi al telefono …
Minore: Una volta.
Assistente sociale: Però rispondi come si deve … e dai …
Minore: Va bene, solo una volta al giorno.
Assistente sociale: Ok, possiamo uscire.
Psicologo: L’hai detto che ci dobbiamo vedere?
Minore: Daccapo?
Assistente sociale: No, no, tu con noi devi venire a parlare …
Minore: Sì, con voi sì, ma con quello no … dammi la mano … una promessa.
Assistente sociale: E sì.

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RE.FA.RE.

Ovvero, Reconnecting Family Relationships Program.
Che cavolo sarà? Un’idiozia, anche se scritta in inglese, sempre idiozia resta.
Trattamento sanitario di una invenzione, l’alienazione parentale, che non ha nulla di sanitario, lo dicono loro stessi.
I proponenti di questa assurdità sono degli psicologi; non so cosa dica il loro codice deontologico in merito a presunte terapie, o trattamenti sanitari, privi di validazione scientifica.
Il codice deontologico dei medici, art. 13, così si esprime.

Forse l’art. 5 del codice deontologico degli psicologi gli si avvicina.

Articolo 5
«Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.»

Di questo programma, RE.FA.RE., che non si sa se sia una nuova psicoterapia o altro, non vi è traccia alcuna nella letteratura scientifica di riferimento.
Quindi?
Gli ordini professionali non hanno proprio nulla da dire in merito alla pubblicizzazione di presunte terapie prive di validità scientifica? Siamo di fronte a un nuovo caso stamina? Anche lì c’era uno psicologo che si era inventato dal nulla una presunta terapia, illudendo migliaia di persone.
In questo caso gli allocchi sono i padri rifiutati dai figli; che, onestamente, un po’ di presa in giro se la meritano. Non per sadismo, ma semplicemente perché gente che non riesce a prendere coscienza della propria indole violenta o pedofila, merita questo e altro.
Ma comunque l’utilizzo di presunte terapie letteralmente inventate dal nulla, nulla ha di etico. Quindi la questione non può essere sottovalutata. Siamo di fronte a una nuova truffa pseudo-scientifica?

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SULL’ABUSO PSICOLOGICO INFANTILE

Capita ancora di leggere, nell’anno di grazia 2018, ormai confinante con il 2019, che l’alienazione parentale sarebbe un abuso psicologico infantile.
Lo si legge in blog & simili afferenti alle associazioni dei padri rifiutati dai figli, lo si legge in articoli pseudoscientifici pubblicati da psicologi giuridici, lo si legge, ahimé, in alcune CTU.
E qui la cosa si fa seria, perché nei testi ufficiali non si legge nulla del genere, quindi vi sono ancora CTU che scrivono falsità scientifiche.

La mia formazione accademica, sia durante il corso di laurea in medicina sia di specializzazione in psichiatria, sia la formazione successiva, per la partecipazione ai concorsi e il superamento dell’esame di idoneità a Primario di psichiatria, si è sempre svolta su testi ufficiali, scritti o curati dai più importamti psichiatri.
Uno tra tutti è il Trattato italiano di psichiatria, un testo in tre volumi curato dai professori Paolo Pancheri, di Roma, e Giovanni Battista Cassano, di Pisa.
In questo testo l’abuso infantile è trattato nella sezione dei “Disturbi ad esordio nell’infanzia e nell’adolescenza”, capitolo 86, pagina 2.983, scritto dal Prof. Nivoli, psichiatra forense, e suoi collaboratori.
L’abuso psicologico è trattato al paragrafo “Maltrattamento psicologico”, alla pagina 2.987. Vengono riportate le diverse tipologie di abuso psicologico, ma non la PAS o alienazione parentale.
Più di recente, nel 2014, è stato pubblicato in italiano il DSM-5, cioè la classificazione statunitense dei disturbi mentali.
L’abuso psicologico è trattato alla pag. 836, e ne sono riportati vari esempi, o condotte che realizzano un abuso psicologico infantile. In nessuna riga io leggo le parole ‘alienazione parentale’.

Ora, questi psicologi giuridici che scrivono certe castronerie nelle CTU dove le leggono? Se le inventano? La psichiatria e la neuropsichiatria infantile sono quelle ufficiali, dei testi unversitari, dei manuali e dei trattati, e delle classificazioni internazionali.
Possibile che si debbano continuare a leggere falsità scientifiche?

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I TROMBONI DELLA PAS

“Succube sempre starò io ad ascoltare?”
Non si può non scrivere satire
quando chi è convinto di stare
toccando il cielo con un dito
non s’accorge che con quel dito
sta toccando ben altra materia
dalla natura escatologica.
(Giovenale, Satire, modificato)

Sappiamo chi sono.
Dal 1997, anno in cui la scienza spazzatura è stata introdotta in Italia, al 2012, anno in cui il Ministro della salute ha dichiarato che la spazzatura, cioè la PAS, è autentica spazzatura, cioè priva di basi scientifiche, hanno sostenuto che la PAS, sindrome di alienazione genitoriale, fosse una grave malattia che colpiva genitori e bambini dopo la separazione coniugale.
Non tutti i genitori e tutti i bambini, però; solo quei bambini che rifiutavano la relazione con un genitore, e il genitore non rifiutato.
Che questo concetto fosse del tutto illogico, fuori del buon senso e della scienza (rifiutare un genitore non è una malattia!!), pareva irrilevante ai tromboni di cui sopra, che sul dolore e la sofferenza di migliaia di bambini e di genitori amorevoli hanno costruito le proprie carriere professionali e arricchito il proprio conto in banca.
Con un sadismo e una disumanità degni dei gerarchi nazisti proponevano le impropabili terapie di questa “malattia”, ovvero i cosiddetti incontri protetti (un modo di torturare i bambini) o l’inserimento nei cosiddetti luoghi neutri, ovvero i manicomi per minori, luoghi di vere e proprie torture psicologiche miranti a far accettare ai bambini ivi rinchiusi il genitore rifiutato.
Suonavano tutti accordati questi tromboni, sino al 2012.

Dopo il 2012 hanno cominciato a stonare, a non suonare più accordati la stessa musica.
Chi sosteneva che la PAS, ridenominata all’uopo alienazione parentale, sarebbe stata presente nel futuro DSM-5, chi parlava di rifiuto immotivato (autentica scemenza perché qualsiasi comportamento ha sempre una motivazione), chi di bambini reclutati nella guerra contro un genitore (il reclutamento in una guerra sarebbe una nuova malattia?), chi di mente colonizzata dai voleri degli adulti (ma anche così sarebbe una nuova malattia?).

Poi, nel 2014 è stato pubblicato il DSM-5 in italiano e né la PAS né l’alienazione parentale vi erano descritte.
E qui la confusione dei tromboni si è fatta totale, e dai loro padiglioni son cominciate a venir fuori delle autentiche pernacchie.

C’è chi ha voluto leggere alienazione parentale laddove il DSM-5 parlava di problema relazionale, c’è chi ha fatto confusione tra problema relazionale e disturbo relazionale (che non esiste), c’è chi con molta onestà ha riconosciuto che l’alienazione parentale non era descritta nel DSM-5 ma che nelle sue pagine c’era comunque lo spirito dell’alienazione parentale.

Adesso hanno scoperto l’ICD, ovvero la classificazione internazionale delle malattie.
Intendiamoci, i tromboni nostrani sino a poco tempo fa nemmeno sapevano dell’esistenza dell’ICD, né ovviamente sanno ancora cosa sia; è stato il trombone internazionale William Bernet che ne ha fatto cenno per primo.
L’ICD è il sistema di classificazione utilizzato a livello internazionale per codificare tutte le malattie e le cause di morte, in maniera da avere una uniformità classificatoria che consenta rilievi epidemiologici, e quindi maggiori conoscenze sulle malatie stesse e sullo stato di salute della popolazione.
L’ICD è usato esclusivamente dai medici ospedalieri per compilare le SDO, ovvero le schede di dimissione ospedaliera, e anche dai medici del territorio per compilare correttamente i certificati di morte. Questo consente di avere dati uniformi su morbilità e mortalità della popolazione a livello mondiale. L’ICD è infatti il sistema classificativo messo a punto dall’OMS, ovvero dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’ICD non è utilizzato dagli psicologi ma solo dai medici. Gli psicologi non hanno nessuna familiarità con l’ICD; ne parlano a vanvera ma non sanno cosa sia. I medici cominciano a utilizzare l’ICD sin da quando iniziano a lavorare, gli psicologi mai.
Come si vede l’ICD non ha nulla a che fare che le trombonate della PAS o alienazione parentale; perché non ha nulla a che fare con queste trombonate? Perché si è già assodato che PAS e alienazione parentale non sono malattie.
Ma i tromboni insistono, stanno dando l’assalto all’ICD perché vi sia ricompresa l’alienazione parentale; in che modo lo stanno assaltando? Con studi scientifici? Noooooo!!!!! Con e-mail e petizioni!!

Ma signori tromboni, lo sapete, no, che per il riconoscimento scientifico di una determinata condizione come malattia ci vogliono studi scientifici?
Non lo sapete? Il concetto di studio scientifico vi risulta indigesto? E prendetevi del bicarbonato, e soprattutto andate a trombonare altrove.
Ma vediamo cosa sostengono.
Sostengono, i tromboni, che l’alienazione parentale sarebbe sinonimo del problema relazionale adulto-bambino, descritto in una delle bozze dell’ICD con il codice QE52; allo stato attuale sotto il codice QE52 si legge questo.

Ma, comunque, proprio non sanno di cosa stanno parlando.
1) in primo luogo, quella che circola è solo una bozza della classificazione, quindi fino a quando non sarà ufficializzata ogni illazione è priva di senso (ma i tromboni ai ragionamenti senza senso ci sono abituati);
2) in secondo luogo, se nella bozza della classificazione c’è scritto problema relazionale (non alienazione né estraniazione) si tratta di un problema di relazione che esiste tra il bambino e l’adulto, e cioè, eventualmente, tra il bambino che rifiuta e l’adulto che viene rifiutato, non tra il bambino e il genitore che non viene rifiutato;
3) infine, tale problema non è classificato nei capitoli delle malattie ma nel capitolo 24 che si intitola: Fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari.

La bozza della classificazione dell’ICD ci dice quindi che:
1) può esistere un problema relazionale adulto-bambino,
2) tale problema può influenzare lo stato di salute di entrambi,
3) ma non è esso stesso un problema di salute del bambino.

Poi, siamo in Italia, arriva un senatore che parla di estraniazione.
E da dove viene fuori quest’altra cosa?
Beata ignoranza.
Con estraniazione alcuni dei citati tromboni vorrebbero fare riferimento a ciò che si intendeva in passato come alienazione parentale, ma senza più utilizzare la parola alienazione; estraniazione dovrebbe essere la traduzione corretta in italiano della parola inglese estrangement, presente nel capitolo del problema relazionale genitore-bambino del DSM-5.
Bene seguiamo il loro ragionamento; il bambino che rifiuta un genitore è estraniato, non più alienato.
Ma il provare sentimenti di estraneità, verso una persona o verso una situazione, è, in psichiatria, sintomo specifico di un ben preciso disturbo mentale che si chiama disturbo da stress post-traumatico (pag. 314 del DSM-5, codice 309.81, criterio diagnostico D6; nell’ICD-10 codice diagnostico F43.1); questo significa che il bambino che manifesta l’estraniazione verso un genitore ha subito un trauma proprio da quel genitore.
Ciascuno tragga le proprie conclusioni (e i tromboni tacciano una volta per tutte).

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IL QUESITO STANDARD

Circola in rete la notifica di un prossimo convegno nel corso del quale sarà presentato il «quesito standard da utilizzare per le consulenze tecniche psicologiche nei procedimenti di separazione e divorzio con affidamento di figli nati sia all’interno che al di fuori del  matrimonio (ed eventuali, relative modifiche), con l’obiettivo di sottoporre ai CTU richieste omogenee per le valutazione da compiere, pur nella diversità delle specifiche situazioni familiari», sottoscritto da «La Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e l’Ordine degli Psicologi del Lazio, all’esito di un lungo lavoro condiviso».

STANDARD
Una delle definizioni di standard è la seguente: «Modello, tipo, norma cui si devono uniformare, o a cui sono conformi, tutti i prodotti e i procedimenti, tutte le attività e le prestazioni, di una stessa serie».
In questa logica le famiglie separande o già separate, pur nella riconosciuta «diversità delle specifiche situazioni familiari», verranno uniformate, alla stregua di prodotti dell’industria, l’industria delle CTU nello specifico, in maniera da pervenire a una artificiosa uniformità.
In che misura tale standardizzazione sia nell’interesse della Giustizia non è, ovviamente, materia di mia competenza.
Non è comunque una novità perché proprio a Roma, in situazioni nettamente differenti, mi sono trovato di fronte a quesiti formulati con il copia-incolla.

Tra l’altro, in due di queste situazioni diverse non vi erano più figli da affidare ma un solo figlio; ma si sa la standardizzazione qualche sacrificio lo richiede. Quesito unico = pensiero unico, valido per tutte le situazioni.

Poi, se si perde qualcosa in termini di giustizia e umanità, pazienza.
Che poi il lungo lavoro condiviso abbia visto la partecipazione di psicologhe use a concludere i propri compitini (leggasi relazioni psicodiagnostiche) aggiungendo, per esempio, all’elaborato di undici pagine una dodicesima pagina come la seguente, lascio al lettore ogni valutazione e considerazione.

Si possono accentuare, si può insistere. In base a quali criteri? Quello del maggior offerente?

A ogni buon conto allego un mio vecchio scritto circa l’utilità o meno di disporre CTU nei casi di affidamento dei minori.

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FRAMMENTI DI CTU E MEDIAZIONI FAMILIARI

«Se tuo marito ti picchia, ti umilia, ti controlla etc. vuol dire che avete una relazione malata ovvero che ne hai colpa al 50% anche tu. A me in CTU hanno detto testualmente: “io non credo alle denunce per principio perché possono essere strumentali, ma anche se ci sono i referti medici delle coltellate bisogna vedere come si è arrivati a quelle coltellate, che relazione c’è dietro..” e poi più avanti “lei ha scelto quest’uomo, noi siamo qui in CTU perché lei l’ha scelto“.»

«Non c’è una vittima e un colpevole ma “una persona con un problema ma che va recuperata” e un’altra “che si deve rendere conto del ruolo che ha avuto e non può chiamarsi fuori” e a fronte a questo i figli “che non devono essere coinvolti nel conflitto fra i genitori” per cui chi chiede aiuto, rompe il silenzio e chiede che si ristabilisca la verità viene quindi vista come chi “oltre a non ammettere la propria responsabilità, priva anche i figli dell’unità familiare” e magari del “rapporto continuativo con l’altro genitore” e quindi doppiamente colpevole, rispetto al “semplice” autore delle violenze, di cui si può intuire che sia un pover uomo manipolato…»

«Anch’io ho avuto la stessa esperienza di mediazione familare imposta dal consultorio da un decreto del tribunale dei minorenni. La mediazione familiare necessita della firma condivisa di un patto di mediazione tra le parti che nel nostro caso non è stato possibile stabilire per la violenza verbale del mio ex. A seguito di questo si è proceduto ad una sorta di mediazione obbligatoria priva di patto di mediazione iniziale. Il passato viene visto come una inutile recriminazione e quindi se ci sono state delle violenze semplicemente non vengono considerate. Se i bambini dicono che il padre è violento significa che sono stati adultizzati cioè resi edotti delle malefatte del padre dalla madre cattivona che vuole impedire il rapporto con un padre che, poverino, non riesce a fare il padre a causa della PAS. Non se ne esce. Il risultato è che alla madri tocca scendere a mille compromessi per le continue minacce che riceve dai servizi di toglierle i figli per collocarli dal padre o metterli in comunità.»

Se questi CTU e mediatori familiari sono uomini (o donne) …

PS Continua, cercherò altre testimonianze.

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DDL 735 – I

Ovvero “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di
bigenitorialità”; potete leggerlo qui.

Sottotitolo: un pastrocchio incredibile.

Le norme in materia di Diritto di famiglia vanno sicuramente aggiornate alla luce sia della violenza sempre crescente che emerge nelle relazioni familiari e affettive in genere sia della normativa comunitaria relativa alla violenza di genere e intrafamiliare. Invece i padri separati, che hanno ispirato il DDL, ci propongono il ritorno al codice del 1942, il ritorno al pater familias. Il nuovo che arretra.

La grande assente di questo DDL è proprio la violenza, come se questa parola sia interdetta e il suo solo pronunciarla, o scriverla, possa provocare disastri, maremoti, terremoti, il ritorno di Satana. Nel profluvio di parole di questo DDL, ben 10.537, di articoli, commi e sottocommi, la parola violenza compare solo tre volte, una volta da sola, una nell’espressione ‘violenza domestica’ e una in quella di ‘violenza endofamiliare’. Tutto qui, egregi Senatori che avete sottoscritto questo DDL? Il DDL dei padri separati?

Nel 2011 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha emanato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, detta per brevità Convenzione di Istanbul (CdI) per il semplice motivo che è stata approvata nella città di Istanbul.

Forse alcuni padri separati leggendo la parola Istanbul si saranno allarmati temendo un’invasione islamica, ma coraggio, leggetela, non è una cosa turca, nonostante il nome. Non può nuocere alla vostra salute.

La CdI è stata ratificata dall’Italia con la Legge n. 77 del 2013 e quindi è a tutti gli effetti una legge dello Stato italiano che chiunque ha l’obbligo di osservare e di farla osservare; a maggior ragione i Senatori dello Stato italiano che si apprestano ad apportare modifiche al Diritto di famiglia, dato che la CdI si occupa precipuamente di violenza intra-familiare.
Invece di applicare la CdI e quindi apportare al Codice Civile le modifiche richieste dalla CdI alcuni Senatori presentano un DDL fuorilegge, nel senso che non tiene nel minimo conto quanto previsto dalla CdI in termini di affidamento dei minori, mediazione familiare, ecc. Non solo, per alcuni aspetti, come si vedrà di seguito, è in aperto contrasto con le norme introdotte dalla Legge 77/13.

Qualora il DDL 735 venisse approvato senza le necessarie modifiche richieste dalla normativa comunitaria andrebbe sicuramente incontro a censure da parte della Comunità europea.

Per taluni aspetti presenterebbe profili di incostituzionalità:
– Art 10, comma 1: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
– Art. 117, comma 1: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Inoltre verrebbe disapplicato in sede giudiziaria come da Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penali: «L’obbligo di interpretazione conforme è ancora più pregnante riguardo alle norme elaborate nell’Unione Europea, atteso che il principio del primato del diritto comunitario impone al giudice nazionale l’obbligo di applicazione integrale per dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella comunitaria. Ove sorgano questioni di conflitto con una norma interna, il giudice deve disapplicare la norma interna» (Sentenza 29 gennaio 2016 n. 10959).

Come dicevo in apertura, un incredibile pastrocchio.
Ma, onestamente, si può mai ritenere che chi ha sfasciato la propria famiglia in malo modo (violenza o abusi sessuali incestuosi) possa costruire qualcosa di buono per la società?

Mi permetto di consigliare ai sigg.i Senatori della Commissione Giustizia di documentarsi meglio su tali questioni, non su Wikipedia o sui blog dei padri separati ma su testi seri:

A) Sulla violenza in famiglia: “Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale“, di Marco Cavina, Professore Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno all’Universtià di Bologna.

B) Sulla violenza di genere: “Crimini contro le donne“, del giudice Fabio Roia.

C) Sui conflitti tra padri e figli: “Non sei più mio padre” e “Come uccidere il padre“, di Eva Cantarella, storica dell’antichità e del Diritto antico.

D) Sugli abusi sessuali incestuosi sui minori: “Rompiamo il silenzio“, dell’avv. Girolamo Andrea Coffari, Presidente del Movimento per l’Infanzia; “Abuso sessuale sui minori. Scenari, dinamiche, testimonianze“, di Giuliana Olzai.

Come ha scritto Norbert Wiener, il padre della Cibernetica, «Per rispettare il futuro bisogna essere consapevoli del passato; e se le ragioni dove questa consapevolezza del passato è reale si sono ridotte a una punta di spillo, tanto peggio per noi, per i nostri figli e per i figli dei nostri figli» (Norbert Wiener, Introduzione alla cibernetica, Universale Scientifica Boringhieri, 1970).
Chi ha scritto quel DDL mostra di non avere nessuna consapevolezza della storia della famiglia e del Diritto di famiglia e ci porterà al disastro sociale.

VAI ALLA SECONDA PARTE

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MA GARDNER PROPRIO NON VI FA SCHIFO?

Non dico molto, ma almeno un pochino; mi riferisco ai tanti, psicologi-psichatri-neuropsichiatri infantili in primo luogo, ma anche avvocati, giornalisti, ecc., che ancora lo santificano e sostengono la PAS oggi riesumata come alienazione parentale.

Sto leggendo il libro dell’Avv. Coffari; conoscevo già le opinioni di Gardner sulla pedofilia,  ma leggere quello che di Gardner riporta l’Avv. Coffari davvero dà i brividi.

E ripeto la domanda di cui sopra: egregi colleghi (mi riferisco a psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili), egregi avvocati ed egregi giornalisti/blogger/opinionisti che esaltate Gardner e la sua alienazione parentale, ma qualcosa del pensiero folle di questo personaggio l’avete mai letta? O parlate a vanvera? Tanto per dare aria al cervello ogni tanto?

Ed eccellenti magistrati che con alcune sentenze sull’affidamento dei minori mostrate di aderire acriticamente al pensiero dei sostenitori di Gardner perché non provate a leggere il libro dell’Avv. Coffari? Potreste cominciare a cacciare dai Tribunali chiunque parli ancora di alienazione parentale.
La mia prima nota su Facebook, quando ancora sapevo poco della faccenda, si intitolava “Un orco si aggira per i tribunali dei minorenni”; non posso che riconfermarla adesso con  maggiore forza. Ogni volta che in una CTU si parla di PAS o alienazione parentale, ogni volta che vengono citati Gardner o i fautori nostrani di questo folle concetto, l’orco è già entrato in Tribunale e non ve ne siete accorti.

Ma cosa ho letto di tanto sconvolgente nel libro del’Avv. Coffari?
Dalla pagina 453 in poi l’Avv. Coffari riporta i criteri che Gardner suggeriva di utlizzare per distinguere le denunce vere di abusi sessuali sui minori da quelle false. Questo è materiale che non conoscevo e che l’Avv. Coffari ha trovato acquistando e facendo tradurre i libri di Gardner.

Un primo criterio è questo: se la madre si è rivolta all’autorità giudiziaria o ai Servizi sociali per segnalare/denunciare gli abusi, significa che gli abusi non ci sono mai stati, che la denuncia è falsa. Se invece la madre tace, parla con il marito, cerca un chiarimento, allora vuol dire che gli abusi sono veri.

Gardner ha ancora il coraggio di scrivere: “le madri dei bambini che sono stati realmente abusati sono più propense di apprezzare la relazione padre-bambino, al contrario, le madri che diffondono false accuse sono spesso arrabbiate e non apprezzano l’importanza della relazione padre-figlio”.

Altro criterio indicato da questo autentico maiale è la religiosità della madre; per Gardner se la madre è religiosa, frequenta la chiesa, vuol dire che è una moralista che lancia facilmente false accuse.

Se la madre aderisce o condivide campagne per la prevenzione degli abusi sessuali nell’infanzia, promosse dalle scuole, è una calunniatrice che lancia false accuse.

Se la madre registra ciò che le rivela il figlio significa che l’accusa è falsa.

Se i bambini parlando degli abusi subiti affermano di dire la verità vuol dire che l’accusa è falsa.

Nella sostanza, se gli abusi sono veri la madre non deve denunciarli; se vengono denunciati vuol dire che sono falsi.

Quanto tempo deve ancora trascorrere prima che questa spazzatura lurida e fetente venga gettata in qualche discarica?

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NON È UNA PATOLOGIA

Il riferimento è alla cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale (PAS) ribattezzata alienazione parentale in seguito alla dichiarazione del Ministro della Salute e alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione; sulla stessa linea si pronunciò il Tribunale di Milano non ammettendo una CTU basata sulla PAS. Di recente, sempre il Tribunale di Milano si è pronunciato in un’altra vicenda affermando che il comportamento, cosiddetto, alienante della madre non è una patologia ma è un comportamento illecito.
Dopo tutte queste autorevoli pronunce, sia di parte medica sia di parte giuridica, dovrebbe essere chiaro a tutti, psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili, che la cosiddetta alienazione parentale non è una patologia.

Chiarito questo concetto fondamentale vediamo di chiarire alcune altre cose.
Una prima cosa che non si comprende è perché si continuino a disporre CTU nei casi di rifiuto del minore visto che quello che si tratta di accertare non è una eventuale patologia ma solo un comportamento illecito; una CTU psicologica o psichiatrica è comprensibile qualora ci sia la necessità, ai fini della decisione giudiziaria, di accertare eventuali patologie di cui siano portatrici le parti. È il caso, per esempio, della valutazione della capacità civile che può essere inficiata da una infermità psichica, o della valutazione di una invalidità lavorativa, del danno biologico risarcibile, o, nel penale, di accertare una infermità che escluda l’imputabilità.

In tutti questi casi la CTU, o perizia, ha un senso per fornire al Giudice l’ausilio di cognizioni tecniche che egli non possiede; è così nei casi di patologie da accertare. Ma se si tratta solo di accertare dei comportamenti illeciti? Qual è l’utilità del CTU? Cosa può dire un CTU in merito a comportamenti illeciti? A meno che non sia specializzato in “illecitologia”, mi si consenta il neologismo. Ma questa specializzazione non fa parte degli ordinamenti accademici attuali né è oggetto di insegnamento nelle facoltà mediche e psicologiche.

Parlando di comportamento illecito siamo quindi in un ambito squisitamente giuridico.

Ma a questo punto s’impongono una serie di punti fermi dai quali non si può debordare, pena la commissione di altri e più gravi illeciti.

Il primo di questi punti è il seguente: il fatto che si osserva in alcune separazioni, impropriamente definite conflittuali, è il rifiuto del minore verso la relazione con un genitore (di solito il padre); dico impropriamente definite conflittuali perché queste sono separazioni che fanno seguito a violenza in famiglia o ad abusi sessuali sul minore.
Entrambe queste due ultime situazioni ricadono nell’ambito di applicabilità della Convenzione di Istanbul, art. 26 e soprattutto art. 31 per il quale al momento di stabilire l’affidamento dei minori si devono tenere nel debito conto gli episodi di violenza che si sono verificati in costanza di matrimonio e dopo la separazione coniugale. Tenere nel debito conto significa che il genitore violento, sia come coniuge o ex-coniuge sia come genitore, non è un buon genitore.

In alcune di queste separazioni si osserva quindi il rifiuto del minore verso un genitore; questo è il fatto. Questo fatto trova la sua spiegazione nel comportamento illecito dell’altro genitore (alienazione parentale, condizionamento del minore, o altro) o può essere altrimenti spiegato?

In una nota sentenza, che rappresenta un vero trattato di logica, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce che un evento (il fatto) «può trovare la sua causa alternativamente in diversi fattori» (Cass. Pen., n. 43786/2010).
È quindi sbagliato, sul piano logico, affermare che il rifiuto del minore trova la sua causa solo ed esclusivamente nel comportamento illecito dell’altro genitore; non prendo nemmeno in esame l’ipotesi di alcuni che parlano di rifiuto immotivato perché ipotesi del tutto insensata.

Di fronte al fatto-rifiuto deve quindi darsi luogo a un’indagine causale che, per citare ancora la Cassazione, deve necessariamente essere «quella della pluralità delle cause».

Il secondo punto attiene alla teoria dell’attaccamento, di Bowlby.
Secondo la teoria dell’attaccamento, sinora non confutata, il bambino possiede una predisposizione biologica a sviluppare un legame di attaccamento nei confronti di chi si prende cura di lui. L’organizzazione del sistema dell’attaccamento comincia nelle fasi precoci della vita e raggiunge la sua piena maturazione al termine del primo anno di vita. La figura principale di attaccamento è la madre seguita poi dal padre e da altre persone che ruotano intorno alla vita del bambino.
Il bambino ha la predisposizione biologica a stabilire legami di attaccamento con gli adulti che gli danno sicurezza; ma se il comportamento dell’adulto verso il bambino è ambivalente, il legame di attaccamento ne risentirà.
La maggior parte degli studi sull’attaccamento riguardano il legame madre-bambino ma è indubbio che esiste anche un legame di attaccamento padre-bambino e che un comportamento poco consono del padre avrà delle ripercussioni negative sul legame di attaccamento dei figli, che può giungere anche al rifiuto della relazione con il padre.
Ecco, su questo dovrebbero impegnarsi gli psicologi invece di andare alla ricerca di malattie inesistenti.

Il terzo punto è quello che riguarda la sostanza del presunto condizionamento del minore, altrimenti detto alienazione parentale; dovrebbe essere ormai acclarato che non si tratta di una malattia, di una patologia. Assodato questo, vediamo di capirci qualcosa di più.

La Corte Costituzionale nella storica sentenza che portò all’abrogazione del reato di plagio così si espresse: «La formulazione letterale dell’art. 603 prevede pertanto un’ipotesi non
verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato non essendo né individuabili
né accertabili le attività che potrebbero concretamente esplicarsi per ridurre una
persona in totale stato di soggezione, né come sarebbe oggettivamente qualificabile
questo stato, la cui totalità, legislativamente dichiarata, non è mai stata giudizialmente accertata. Presupponendo la natura psichica dell’azione plagiante è chiaro che questa, per raggiungere l’effetto di porre la vittima in stato di totale soggezione, dovrebbe essere esercitata da persona che possiede una vigoria psichica capace di compiere un siffatto risultato. Non esistono però elementi o modalità per potere accertare queste particolari ed eccezionali qualità né è possibile ricorrere ad accertamenti di cui all’art. 314 c.p.p. (oggi art. 220 cpp) non essendo ammesse nel nostro ordinamento perizie sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l’asservimento totale di una persona» (Corte Cost., sentenza n. 96/1981).

Per chi sa leggere, i concetti sono abbastanza chiari.
Nel commentare questa sentenza il Prof. Giovanni Flora, Docente di Diritto penale, esaminando la cosiddetta azione plagiante ha scritto: «Specificando ulteriormente, questa non potrà che assumere veste di continuità ed essere dolosamente indirizzata a determinare un vero e proprio stato di isolamento dagli altri del soggetto passivo con impedimento ad attingere a fonti diverse da quelle imposte dallo stesso soggetto attivo e con deterioramento della capacità di autodeterminazione».

I bambini che sarebbero alienati dalle madri sino al punto di rifiutare la relazione con il padre sono bambini isolati dai coetanei, dal contesto di vita scolastico, ludico, ecc? O sono bambini socievoli, con ottimo inserimento scolastico ed extra-scolastico, e come tali non condizionabili, non manipolabili, non alienabili?

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COS’È L’ALIENAZIONE PARENTALE? – I

È una bufala, una fake news, e chi la diffonde è un bufalaro, un illusionista della psicologia. Di recente è comparso su un blog l’ennesimo post che propaganda la fake news; vedo di esaminarlo.

§ 1. Il Codice Civile
L’art. 337-ter comma 1 sancisce che «il minore ha il diritto» – MA NON IL DOVERE – «di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori», ecc, ecc. La legge è scritta chiaramente: il minore ha un diritto cui fa da contraltare il dovere di entrambi i genitori. Nella prassi psicogiudiziaria questo concetto è stato del tutto ribaltato, per cui il diritto è diventato degli adulti, in particolare dei padri, mentre per il minore quello che era un suo diritto è diventato un dovere, quello di mantenere rapporti anche con il genitore violento o che ha compiuto abusi sessuali sul figlio.

Perché la questione vera è tutta qui, la negazione delle violenze e degli abusi sessuali sui minori, che disperatamente la psicologia giuridica cerca di occultare con concetti ai limiti dell’oscenità (‘oscenità’ qui è intesa nel senso che a questa parola conferisce Jean Baudrillard), ribaltando il principio di realtà.

Il ricorso al concetto di alienazione parentale (in passato sindrome di alienazione genitoriale) si osserva ogniqualvolta una donna vittima/testimone di violenza in famiglia e violenza assistita sui figli minori, o a conoscenza di abusi sessuali del padre sui figli, fa istanza di separazione coniugale denunciando questi fatti, documentandoli con referti medici e/o psicologici, testimonianze, audio-videoregistrazioni, ecc.

Alla richiesta di separazione, e alle eventuali denunce in sede penale, l’ex-coniuge, quando non la ammazza, denuncia che la ex-moglie ostacola il suo rapporto con i figli, senza però produrre alcuna prova di questo ostacolo al rapporto con i figli; ovviamente i figli, a loro volta vittime/testimoni di violenza o di abusi sessuali, non hanno il minimo desiderio di continuare a relazionarsi con il loro carnefice, anche se si tratta del loro padre.

Con il concetto di alienazione parentale gli psicologi giuridici, e ovviamente gli avvocati che difendono i padri accusati di violenze e/o abusi, cercano in primo luogo di screditare la testimonianza dei minori ma anche la testimonianza delle madri che cercano di proteggere i figli dalle violenze e dagli abusi sessuali; in secondo luogo cercano di ribaltare, di falsificare la realtà, presentando il carnefice come vittima della cosiddetta alienazione e le vittime come carnefici che cercano di ostacolare il rapporto dei figli con i padri.

Naturalmente, non potendo provare questa ipotesi processuale, gli avvocati fanno richiesta di una CTU psicologica che possa dimostrare, trovare le prove di quanto da loro sostenuto. Ma una CTU, sia pure psicologica, non è un mezzo di prova, non può essere utilizzata da una parte processuale per sopperire alla mancanza di prove. L’invenzione della PAS da parte di Gardner aveva proprio questo scopo: sopperire alla mancanza di prove del presunto lavaggio del cervello dei minori tirando in ballo una malattia inesistente

«In materia di procedimento civile, la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze», come riporta consolidata giurisprudenza.

È pur vero che esiste un orientamento giurisprudenziale di diversa natura: «In tema di consulenza tecnica di ufficio, il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche» (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3990).

Ma qui casca l’asino, come si suol dire.

La famigerata alienazione parentale altro non è che la riesumazione della defunta sindrone di alienazione genitoriale, per usare una felice espressione di Nadia Somma; non condivido questa visione tanato-psicologica della psicologia giuridica.

Il Ministro della Salute nel 2012 ha dichiarato che la PAS non ha alcun fondamento scientifico; di conseguenza privi di validità scientifica sono, analogamente, tutti quei concetti che fanno riferimento al medesimo costrutto, e cioè al concetto che i bambini che rifiutano un genitore siano condizionati dall’altro genitore. Si sta quindi parlando della stessa cosa.

Ma è possibile dimostrare questo presunto condizionamento? Come si fa a dimostrarlo sotto il profilo giuridico? E come si fa a dimostrarlo sotto il profilo psicologico?

Circa l’aspetto giuridico della questione ci viene in soccorso la sentenza della Corte Costituzionale n. 96 del 1981, sul reato di plagio (è indubbio che questa cosiddetta alienazione parentale ricalca il concetto di plagio che, se è giornalisticamente plausibile lo è molto meno sul piano giudiziario). Senza ripetere cose già scritte rimando alle stesse. Riporto solo un breve stralcio di questa sentenza: «Presupponendo la natura psichica dell’azione plagiante è chiaro che questa, per raggiungere l’effetto di porre la vittima in stato di totale soggezione, dovrebbe essere esercitata da persona che possiede una vigoria psichica capace di compiere un siffatto risultato. Non esistono però elementi o modalità per potere accertare queste particolari ed eccezionali qualità … Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l’asservimento totale di una persona».

Per gli aspetti psicologici è evidente che non esiste, a meno di essere in possesso di capacità divinatorie, cosa in cui gli psicologi giuridici sembrano essere particolarmente versati, la possibilità di dimostrare questo condizionamento psicologico; sono possibili illazioni, prive però di validità logica oltre che scientifica, ma non la certezza. E in tribunale si devono portare certezze non illazioni, non opinioni personali. Anche le risultanze dei test psicologici, che hanno un valore obiettivo ma non certo oggettivo, non sono in grado di dare certezze in merito al presunto condizionamento.

Mentre le violenze e, meno spesso, gli abusi sessuali sono fatti oggettivi e documentati, provati, il presunto condizionamento psicologico, altrimenti chiamato alienazione parentale, resta nell’ambito delle illazioni e delle opinioni soggettive.

Quindi, secondo il modo di ragionare degli psicologi giuridici, il giudice in presenza di prove di violenza e in assenza di prove del presunto condizionamento dovtebbe accantonare le prove delle violenze, o degli abusi, e presumere il condizionamento dal rifiuto; ma, come ancora già scritto più volte, il rifiuto non è la prova del presunto condizionamento ma ne è, eventualmente la conseguenza, così come può essere la conseguenza delle violenze e degli abusi sessuali. Dalla presenza del rifiuto si può, quindi, legittimamente presumere sia il condizionamento sia le violenze; del primo esistono illazioni, delle seconde esistono prove.

Logica vorrebbe  che le prove siano prevalenti sulle illazioni; nel mondo alla rovescia della psicologia giuridica le illazioni valgono più delle prove.

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