Archivio della categoria: Perizie e CTU

LA CARTA DI NOTO – V PARTE

È venuto ora il momento di analizzare criticamente i singoli punti del documento, dopo le critiche alla premessa.

1) al primo punto si parla degli esperti e delle altre figure coinvolte nella raccolta della testimonianza del minore che debbono possedere competenze specifiche. Qui bisogna intendersi per bene e scoprire le insidie nascoste in questo concetto.

La prima insidia sta proprio nel termine esperto: chi ha conferito al cosiddetto esperto la qualifica di esperto? Sulla base di quali criteri?

In tema di accertamenti peritali (CTU o perizia) il tipo di esperienza che viene richiesta al perito è soprattutto l’esperienza clinica, quella cioè che si acquisisce dopo anni di lavoro con i pazienti, sia ospedaliera (l’aggettivo clinico rimanda a kliné, il letto del malato) sia ambulatoriale; è solo l’esperienza clinica quella che fa di un medico, o uno psicologo, un esperto nel suo campo di competenza.

Come scrive il prof. Fornari «in ambito psico-forense occorre non confondere le evidenze scientifiche che emergono dagli strumenti diagnostici di volta in volta utilizzati con il metodo seguito, perché solo questo e non certo l’uso di uno strumento piuttosto di un altro offre garanzia di “scientificità” all’elaborato peritale. Ancora una volta la clinica è sovrana con un’attrezzatura mentale sua propria» (Fornari U, Trattato di psichiatria forense, pag. 636. UTET Giuridica, 2015).

E veniamo al secondo requisito: l’esperto e le altre figure professionali coinvolte nella raccolta della testimonianza del minore debbono possedere competenze specifiche; lapalissiano.

Come si acquisiscono queste competenze specifiche? Con l’aggiornamento continuo, gli eventi formativi, i master, ecc.

Ma se i docenti di questi eventi formativi che dovrebbero fornire competenze specifiche sono quegli stessi professionisti che diffondono falsità scientifiche (PAS o alienazione parentale, amnesia infantile, false memorie, ecc.) quali competenze possono mai acquisire i discenti? Acquisiranno competenze su falsità scientifiche che poi vengono riversate nelle CTU e nelle perizie e che diventano verità giudiziaria. Di seguito alcuni esempi tratti da relazioni peritali.

Si tratta di due diversi professionisti, che compaiono tra i firmatari della Carta di Noto IV, che si sono espressi sul medesimo caso, ovvero un caso di presunto abuso sessuale; ovviamente, archiviazione, bambina costretta a incontrare il padre, madre alienante, ecc. Per fortuna nessun giudice ha disposto l’invio in comunità, nonostante le ripetute istanze del padre, ma è stato mantenuto il collocamento dalla madre; prosegue, però, la tortura degli incontri protetti, la psicoterapia obbligatoria, ecc. Il tutto partendo da una falsità scientifica e cioè che la bambina fosse una smemorata e quello che diceva le fosse stato detto dalla madre.

Di fronte a queste falsità scientifiche gli Ordini professionali nicchiano; ma possibile che i giudici non abbiano nulla da rilevare? Che i Presidenti dei Tribunali non ritengano di richiamare gli iscritti agli Albi dei periti e dei consulenti tecnici a un maggiore rigore scientifico pena la cancellazione dagli Albi medesimi? Che i Rettori delle Università dove questi professionisti hanno incarichi di insegnamento non ritengano di revocarli a fronte delle falsità scientifiche diffuse e insegnate agli studenti?
E i signori Ministri, rispettivamente della Giustizia, dell’Istruzione e della Salute, non hanno proprio nulla da dire?

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LA CARTA DI NOTO – IV PARTE

Nella terza parte ho dimostrato che uno dei teoremi della psicologia giuridica, e cioè che i bambini non avrebbero memoria (quella che loro chiamano amnesia infantile) è totalmente privo di qualsiasi fondamento scientifico; tutti gli studi dimostrano il contrario.

Adesso vediamo di parlare dell’altro loro teorema, i cosiddetti falsi ricordi o false memorie.

La frase incriminata del loro più recente documento è la seguente: “È probabile che eventuali vuoti nel ricordo siano colmati con elementi coerenti con l’avvenimento oggetto del ricordo inferiti da informazioni disponibili, per quanto non direttamente percepiti durante l’esperienza originaria.

Non parlano più esplicitamente di false memorie, si sono fatti più attenti, usano delle circonlocuzioni, si servono della comunicazione persuasiva, ma il senso è sempre lo stesso: i bambini sono suggestionabili, sui bambini possono essere impiantate con facilità false memorie.

Su che cosa basano questo secondo teorema? Sul nulla. Esiste in giro un loro studio che risale al 2004, svolto in una classe di scuola elementare su 53 bambini; ma è privo di validità scientifica tanto che nemmeno loro lo citano più.

In pratica, nella classe si presentò uno sperimentatore dicendo di essere un giornalista che rivolse alcune domande ai bambini e svolgendo con loro alcuni giochetti; dopo una settimana un’altra sperimentatrice si è presentata nella scuola dicendo che il giornalista aveva smarrito la registrazione e che quindi voleva ricostruire l’evento con l’aiuto del bambini, ponendo loro domande suggestive. Risultò che solo il 15% dei bambini aggiunse dei particolari di fantasia; risultato che viene da loro fortemente enfatizzato per dimostrare che i bambini nella ricostruzione di un evento possono introdurvi degli elementi di fantasia. Omettono però di dire che nell’85% dei casi i bambini non hanno aggiunto alla ricostruzione dell’evento alcun elemento di fantasia.

Se ne dovrebbe dedurre che quando i bambini riferiscono di violenze o abusi sessuali sono, evidentemente, credibili, nell’85% dei casi.

Ma dimenticano di riferirsi alla letteratura internazionale che dimostra una cosa fondamentale: è possibile indurre in alcuni casi il falso ricordo di episodi tutto sommato plausibili, ma non è possibile, in nessun caso, indurre il falso ricordo di un evento non plausibile, come ad es. quello di un abuso sessuale subito nell’infanzia.

Uno degli studi più significativi in tal senso è quello di Pedzek e Hodge.

Le autrici si sono proposte di studiare la possibilità di impiantare false memorie mediante la descrizione a due gruppi di bambini di due eventi veri e di due eventi falsi che loro avrebbero vissuto all’età di quattro anni.

Come falsi eventi da descrivere ai bambini sono stati scelti un evento plausibile (essersi persi in un supermercato) e un evento non plausibile (aver subito un clistere).

Dallo studio è risultato in primo luogo che la maggioranza dei bambini (54%) non ha ricordato nessuno dei due falsi eventi; che alcuni bambini si sono lasciati suggestionare dal racconto, ricordando di essersi persi in un supermercato da piccoli (evento plausibile) ma nessuno ha ricordato di aver subito un clistere (evento non plausibile).

Le autrici concludono che la possibilità di impiantare false memorie nei bambini è legata alla plausibilità dell’evento e ciò sarebbe in relazione alla presenza in memoria di uno script sulla precedente conoscenza di quel tipo di evento (es. per averne sentito parlare anche se occorso ad altri bambini), mentre è risultato che non è possibile impiantare nei bambini la falsa memoria di un evento non plausibile (nello studio l’aver subito un clistere da piccoli).

Credo che questo studio faccia piazza pulita del teorema della psicologia giuridica sulle false memorie per il quale la testimonianza del bambino vittima di abusi sessuali viene screditata sulla base della presunta facile suggestionabilità dei bambini.

Si deve pertanto ritenere che la testimonianza dei bambini sulle violenze, dirette o assistite, e sugli abusi sessuali subiti siano veritiere sino a prova di falso; tale prova di falso non può essere la PAS o alienazione parentale, non può essere il problema relazionale, non può essere la teoria del rifiuto immotivato del minore. Né possono esserlo altre loro invenzioni, come l’adattamento alla situazione della CTU di test (LTPc, aIAT, ecc) nati originariamente per misurare altre variabili; solo spazzatura pseudoscientifica.

Nei post successivi analizzerò i singoli punti del documento Carta di Noto IV.

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LA CARTA DI NOTO – III PARTE

Come accennato nella seconda parte, nel suo lavoro sulle memorie traumatiche precoci Gaensbauer riporta casi clinici personali e casi di altri autori, con abbondanza di riferimenti bibliografici. Esamina la memoria precoce sulla base dell’età anagrafica dei bambini esaminati. Riporto testualmente alcuni paragrafi di questo importante lavoro.

Memoria da zero a due mesi

Nelle prime settimane di vita il bambino è capace sia di provare una reazione di stress sia di associarla in maniera condizionata a uno stimolo collegato in modo tale da influenzare successivi comportamenti. Riporta questo caso clinico riferitogli da una madre:

«Quando il suo bambino di 3 giorni aveva difficoltà ad allattare, un’infermiera molto aggressiva gli ha tenuto la testa forzandolo ad aprire la bocca, per mettergli il seno della madre in bocca. Il bambino si è sconvolto, aveva conati di vomito, e inarcava la schiena per allontanarsi dal petto della mamma. A questo punto, la balia, che indossava una caratteristica divisa rosa con cuori “rosa fosforescente”, è stata chiamata e ha lasciato la stanza. Quando è ritornata 10 minuti dopo, la madre ha riferito che il bambino “ha visto chi era” e immediatamente ha inarcato la schiena e ha spinto contro il corpo della madre con le gambe con così tanta forza da rotolarsi sul letto.»

Memoria da tre a sei mesi

«Uno studio notevole della conservazione in memoria in questo periodo è quello di Perris, Myers e Clifton. All’età di 6,5 mesi un gruppo di bambini è stato esposto a un test in laboratorio che richiedeva di allungare la mano verso un oggetto che suonava nel buio. I bambini hanno mostrato di ricordarsi quando sono stati esposti a una situazione di stimolo simile due anni dopo, dimostrato dall’allungamento della mano con sempre più successo e una maggiore tolleranza della situazione sperimentale rispetto a gruppi di controllo senza esperienza.»

E ancora:

«Un bambino, ripetutamente e gravemente maltrattato dal suo padre biologico tra l’età di 3 e 10 settimane prima di essere stato affidato, ha mostrato delle reazioni di paura verso gli uomini per molti mesi. Durante il primo mese in affidamento quando suo padre adottivo o suo fratello adottivo adolescente si avvicinavano a lui, piangeva inconsolabilmente. La madre adottiva ha notato anche che trasaliva se lei involontariamente faceva dei gesti improvvisi verso di lui ad esempio mentre gli cambiava il pannolino. Anche se queste reazioni sono diminuite all’interno della famiglia adottiva, a sei mesi quando un maschio adulto che somigliava fisicamente al padre ha tentato di prenderlo in braccio trasaliva immediatamente e iniziava a gridare. A otto mesi durante una visita medica quando il dottore ha fatto un gesto affettuoso con l’intenzione di accarezzargli la testa il bambino ha trasalito così bruscamente che il medico è rimasto sconcertato. Tranne per qualche trasalimento casuale questo tipo di reazione non è mai stato osservato durante una interazione con una donna adulta.»

«Terr ha descritto una bambina che ha subito degli abusi sessuali prima dell’età di sei mesi che poco prima dell’età di tre anni ha fatto una serie di ricostruzioni sessuali con le bambole compresa la penetrazione vaginale, compatibili con delle foto pornografiche scattate durante il suo abuso sessuale.»

Memoria da sette a diciotto mesi

«Bauer e Wewerka sono giunte alla conclusione che “non è necessario nel momento in cui viene vissuto un evento che ci sia disponibile una codificazione verbale per far sì che l’evento venga ricordato a lungo termine o che successivamente il ricordo dell’evento venga esposto verbalmente”. Altri ricercatori hanno documentato che il linguaggio si può sovrapporre su precedenti memorie preverbali. Un esempio drammatico è la relazione di Myers, Clifton e Clarkson di una bambina di quasi tre anni che durante una visita in laboratorio ha indovinato l’immagine dietro ad uno pannello. L’ultima volta che aveva visto l’immagine era stato due anni prima quando aveva 40 settimane di età.»

«All’età di 23 mesi un bambino che era stato coinvolto in un grave incidente stradale a nove mesi, è riuscito a rappresentare usando bambole e giocattoli la sequenza dell’incidente, compreso come era stata colpita la macchina, come si era rovesciata e poi atterrata. Un altro bambino che all’età di 13 mesi era stato portato su un’ambulanza al pronto soccorso per via di un overdose di droga, a 26 mesi ha fatto una rappresentazione di certi dettagli specifici del viaggio in ambulanza e del trattamento al pronto soccorso. Il terzo caso coinvolgeva un ragazzo che era stato gravemente abusato sia fisicamente sia sessualmente da suo padre durante un periodo di una settimana, all’età di 7 mesi. Quando aveva 8 anni, durante una seduta di terapia con il terapista e sua madre adottiva, all’improvviso il bambino è entrato in uno stato delirante e dissociato durante il quale ha drammaticamente ricreato con il suo proprio corpo l’esperienza dell’abuso. Questo comprendeva, urlare dalla paura, dimenarsi a terra con il sedere in aria, cercare di trascinarsi sotto il divano per scappare dal terapista (che in quel momento stava vivendo come se fosse suo padre), e usare le parole per descrivere come gli stava facendo male. Il quarto caso era quello di una bambina che a 12 mesi aveva visto sua madre uccisa da una lettera esplosiva. Sia con le azioni sia con i giocattoli, ha ricreato delle rappresentazioni di diversi elementi importanti dell’accaduto, durante una valutazione all’età di 4 anni e mezzo. Quando le è stato chiesto come era morta sua madre, è improvvisamente caduta a terra e si è rotolata in modo frenetico. Più avanti ha improvvisamente portato giù la mano su uno scenario di gioco che ricreava la situazione appena prima dell’esplosione, buttando giù bambole e mobili con un gesto che riusciva a cogliere delle qualità fondamentali dell’esplosione. A 6 anni, durante una seduta di terapia con un altro terapista e alla presenza dei genitori adottivi, la bambina ha fornito ulteriori dettagli verbali sull’aspetto di sua madre dopo la bomba, un dato di cui i suoi genitori non erano a conoscenza ma che è stato successivamente confermato dalla polizia.»

Memoria da diciotto a ventiquattro mesi

«Tante ricerche e prove cliniche hanno documentato l’abilità dei bambini tra l’età di 18 mesi e 2 anni, una volta che hanno raggiunto la fluenza verbale, a percepire, ricordare e poi descrivere degli eventi vissuti. Nelson, Fivush e i loro colleghi hanno dimostrato in numerosi studi che l’esordio della memoria autobiografica, come tradizionalmente viene concettualizzata, si osserva intorno a questa fascia d’età. Molte relazioni cliniche hanno documentato la presenza di ricordi duraturi degli eventi traumantici in bambini di questa età che sono verbalmente fluenti. Usher e Neisser hanno dimostrato che si possono ricordare alcuni eventi affettivamente significativi che accadono nel secondo anno di vita, quale la nascita di un fratello o un ricovero in ospedale anche fino all’età adulta.»

Credo ce ne sia abbastanza per destinare in discarica certa spazzatura pseudo-scientifica. Nella quarta parte l’analisi della teoria della suggestionabilità dei bambini.

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LA CARTA DI NOTO – II PARTE

Come già detto nella prima parte, in questa seconda parte mi propongo di analizzare il contenuto del documento Carta di Noto IV.

Il sottotitolo riporta: Linee guida per l’esame del minore.

Primo problema: le linee guida vengono proposte dalle maggiori società scientifiche per ciascuna disciplina medica sulla base delle evidenze scientifiche più aggiornate, corredate della bibliografia più significativa che ha consentito di formulare le linee guida medesime, con indicazione degli studi clinici che hanno consentito di pervenire a quei suggerimenti clinico-terapeutici. A mero titolo di esempio riporto il link alle linee guida per il trattamento precoce della schizofrenia.

Nel documento proposto mancano del tutto i requisiti indispensabili per definire un documento come linea guida; più avanti viene definito come protocollo che fa propri i principi delle linee guida nazionali. Se è un protocollo perché sottotitolarlo come linee guida? Si tratta di due cose diverse.

Il documento si apre con queste parole:

«La memoria non è una riproduzione precisa degli eventi percepiti in quanto essa è un processo dinamico e (ri)costruttivo. Il processo mnestico è molto sensibile alle influenze esterne che possono interferire a livello della codifica, del consolidamento e/o del richiamo. Gli effetti dei processi di costruzione della memoria autobiografica assumono una particolare rilevanza nei bambini, a causa della loro maggiore suggestionabilità, della loro dipendenza dal contesto ambientale e dalla difficoltà nel corretto monitoraggio della fonte di informazioni (esperienza vissuta, assistita o narrata).»

Riferimenti bibliografici circa queste affermazioni? Zero. Studi clinici? Meno di zero. Dovremmo credere loro sulla parola.

Ancora più problematico il secondo periodo:

«È probabile che eventuali vuoti nel ricordo siano colmati con elementi coerenti con l’avvenimento oggetto del ricordo inferiti da informazioni disponibili, per quanto non direttamente percepiti durante l’esperienza originaria. L’amnesia infantile può essere totale, prima dello sviluppo del linguaggio (primi due anni di vita), o parziale, nel periodo in cui il bambino non ha ancora acquisito piena competenza linguistica (sino ai tre anni e mezzo circa). In ogni caso, i ricordi riferiti a questa fase evolutiva, per essere considerati accurati e credibili, devono essere corroborati da riscontri indipendenti ed estrinseci.»

È probabile in che misura? Dieci per cento? Mille per cento?

L’amnesia infantile (ancora questo concetto!!) può essere totale nei primi due anni di vita? Non mi risulta che i bambini sino ai due anni di età siano degli smemorati.

Una volta per tutte: il concetto di amnesia infantile è stato introdotto da Freud. Con questo concetto Freud si riferiva alla tipica amnesia che, nelle persone adulte, riguarda gli anni della prima o primissima infanzia. Mai Freud ha scritto che riguarda la eventuale mancanza di memoria dei bambini. Questa è una vera e propria falsità scientifica sulla base della quale i bambini che denunciano abusi sessuali, o violenze, non vengono creduti; questa falsità scientifica entra nelle sentenze e diviene verità giudiziaria. Ma sempre falsità scientifica rimane. Non so se ai giudici vada bene far diventare verità giudiziaria le falsità scientifiche.

Sull’amnesia infantile, comunque, mi sono già espresso; rimando pertanto a quello scritto. Aggiungo solo che il sito citato, quello sulla testimonianza del minore non esiste più; che si siano resi conto che pubblicavano delle bufale? A ogni buon conto è archiviato sul webarchive, l’ultimo snapshot è del 27 marzo 2015.

Se si parla di esame della testimonianza del minore è chiaro che si parla di minori vittime di violenza o di abusi sessuali; il tipo di memoria implicato in questi ricordi non coincide esattamente con la memoria autobiografica, cioè il ricordo di eventi personali non traumatici.

Uno dei massimi studiosi delle memorie precoci traumatiche è il prof. Theodore J. Gaensbauer; in un suo articolo del 2002 riporta le sue esperienze cliniche con i ricordi traumatici di bambini a partire dall’età neonatale. Rimando alla terza parte per la descrizione di questo importante lavoro sulle memorie traumatiche precoci.

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LA CARTA DI NOTO – I PARTE

Sta circolando in rete un documento sottoscritto da alcuni psicologi, tre-quattro avvocati e un giudice di Cassazione, intitolato Carta di Noto IV.

Premettendo che documenti di questo tipo non hanno alcuna valenza prescrittiva o normativa, come chiarito da alcune sentenze della Suprema Corte di Cassazione, non si può non rilevare che tra i firmatari si ritrovano alcuni tra i più accaniti sostenitori della falsa malattia, la bufala di Gardner, il medico che fu soprannominato “autentico mostro americano”, il difensore della pedofilia da lui ritenuta la normalità, un’antica tradizione, addirittura.

Si tratta di quel Richard Alan Gardner che nel 1985, proprio per via della sua teoria della PAS, venne espulso dalla Columbia University di New York, dove era solo un medico volontario non remunerato (leggere in fondo all’articolo la correzione aggiunta al necrologio), senza alcun incarico di insegnamento o di diagnosi e cura, con la motivazione che era ignorante nella disciplina di psichiatria e incapace di ragionare secondo il metodo scientifico; motivazione che si riverbera necessariamente su chi ha sostenuto la PAS e sostiene adesso l’alienazione parentale.

Ritrovare quindi tra i firmatari di questo documento, che si propone di fornire delle linee guida, sia pur prive di valore prescrittivo, per l’esame del minore vittima di abusi sessuali gli stessi che sostengono ancora, contro ogni evidenza scientifica, contro il parere del Ministro della Salute, contro ogni logica e buon senso, la teoria della PAS o alienazione parentale, non può non far sorgere più di qualche dubbio sulla validità del documento stesso proprio sul piano scientifico.

È di tutta evidenza, difatti e come ripetutamente scritto, che la mera enunciazione teorica, sganciata dai fatti oggetto del processo, della possibilità che il minore nel fare le affermazioni che fa e nell’esprimere il rifiuto verso la frequentazione con un genitore al momento della separazione dei suoi genitori, possa essere condizionato o manipolato psicologicamente dall’altro genitore (quella che loro chiamano alienazione) non equivale alla dimostrazione concreta e oggettiva di tale presunto condizionamento. Ma è questo che loro scrivono nelle CTU e sostengono nelle memorie processuali; si assiste al paradosso giudiziario per cui al genitore accusato di violenze o abusi sessuali viene garantita la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio mentre al genitore accusato di manipolazione viene garantita la certezza di colpevolezza a prescindere, e la condanna dopo un giudizio sommario.

Così come è di tutta evidenza che la presenza del rifiuto del minore non è affatto la prova del condizionamento o manipolazione psicologica (che loro chiamano alienazione) ma tuttalpiù ne è la sua conseguenza; la prova deve essere prodotta con i mezzi propri del processo. Non si riesce proprio a comprendere, sul piano logico-razionale, perché dalla presenza del rifiuto si debba presumere il condizionamento e non si possa presumere, cosa molto più logica e naturale, che il rifiuto sia espressione della paura che il bambino ha del genitore rifiutato. Naturalmente a questo punto sarebbe d’obbligo spendere qualche riga sulla concezione del padre quale pater familias, di derivazione del Diritto romano e che evidentemente ancora informa i moderni codici e la psicologia inconscia di alcuni magistrati; ma il discorso ci porterebbe troppo lontano.

Così come è ancora di tragica evidenza che l’utilizzo di tali concetti porta alla manipolazione dei processi, nei quali una falsità scientifica (la PAS o alienazione parentale e più di recente il disturbo relazionale) diviene verità giudiziaria che non segue più la procedura stabilita dai codici ma si incammina sulla via dell’abuso e dell’arbitrio.

Fatta questa doverosa premessa passo a valutare la tenuta scientifica del documento; ciò sarà oggetto della seconda parte.

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IL REGNO DELLA PAS E LA CONFUSIONE DELLE MENTI

Gli uomini si agglomerano sulla stupidità

come la limatura di ferro sulla calamita.

(citaz. da autore innominabile)

Nella sua ultima conferenza a Francoforte, prima di suicidarsi, il Dr Richard Alan Gardner, il ciarlatano che per tutta la sua vita si spacciò per professore universitario alla Columbia University dove era solo un volontario non retribuito1, un autentico mostro americano2, concludendo il suo intervento parlò di instaurazione del “regno della PAS”3; il suo delirio era ormai al culmine, sino ad assumere connotati mistici.

La storia, il mondo scientifico giuridico e psicologico-psichiatrico hanno fatto giustizia dei deliri del Dr Gardner accantonando la teoria della PAS come uno dei tanti orrori del XX secolo responsabile di una sorta di olocausto dei bambini sacrificati sull’altare del padre; nel XXI secolo i deliri del Dr Gardner hanno ripreso fiato alimentati da una disinformazione scientificamente, e scientemente, architettata da un settore della psicologia che si avvale di tecniche di manipolazione di massa come la PNL e la comunicazione persuasiva.

Lo spunto per questo post nasce da una conversazione intercettata su Facebook nella quale l’ennesima psicologa, presuntuosetta e arrogantella, accusando chi criticava il concetto di alienazione parentale di essere persone arretrate di ameno quarant’anni, se ne è venuta fuori con il solito meme: l’alienazione parentale è un fenomeno che esiste e si osserva nelle separazioni conflittuali.

Ora, tralasciando la questione filosofica, evidentemente ignota alla presuntuosetta arrogantella, che ci mette in guardia dal confondere ciò che appare (il fenomeno) con la realtà oggettiva, quello che si osserva in alcune separazioni, impropriamente definite conflittuali4, il fatto, è il rifiuto del o dei figli di frequentare un genitore; definire questo rifiuto come alienazione parentale significa assumere una posizione acritica in favore di una possibile teoria esplicativa. Confondere il fatto con una teoria che si propone di spiegare quel fatto è indice di scarse capacità di ragionamento logico.

Se nel corso della separazione i figli rifiutano la relazione con un genitore le motivazioni possono, sì, trovarsi nella presunta manipolazione da parte dell’altro genitore (cosiddetta alienazione parentale) ma possono anche trovarsi nel comportamento del genitore rifiutato verso i figli stessi.

Sostenere che il rifiuto sia causato sempre e solo dalla manipolazione è come dire, per fare un esempio di facile comprensione, che tutti gli incidenti stradali sono provocati dalla guida in stato di ebbrezza alcolica. Non ha senso. Solo alcuni incidenti sono provocati dalla guida in stato di ubriachezza; analogamente, solo in alcuni casi il rifiuto è provocato dalla manipolazione psicologica.

Nei processi per l’affidamento dei figli minori il rifiuto viene assunto come prova della manipolazione, secondo lo sciocco sillogismo: se c’è rifiuto c’è manipolazione; ma così non è e mi meraviglia molto questo secondo errore di logica.

Riprendendo l’esempio dell’incidente stradale, l’eventuale ubriachezza del conducente deve essere dimostrata con prove idonee, non è sufficiente presumerla dal fatto che ci sia stato l’incidente. Analogamente, l’eventuale manipolazione deve essere dimostrata con prove idonee, non è sufficiente presumerla dal fatto che ci sia il rifiuto. In questo modo si fa una giustizia sommaria, indegna di un paese civile.

Il rifiuto non è la prova della manipolazione ma, eventualmente, la sua conseguenza; così come l’incidente non è la prova dell’ubriachezza del conducente ma, eventualmente, la sua conseguenza.

Si tratta di questioni di logica elementare e mi meraviglia molto che operatori del diritto e delle discipline psy compiano questi errori di ragionamento senza avvertirne la pericolosa illogicità.

3Vaccaro S, Barea C (2011), PAS – Presunta sindrome di alienazione genitoriale. Uno strumento che perpetua il maltrattamento e la violenza, pag. 160. EdIt, Firenze. http://www.editpress.it/cms/book/pas-presunta-sindrome-di-alienazione-genitoriale

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DA UNA CTU DI UNO PSICHIATRA E UNA PSICOLOGA DEL CENTRO-ITALIA

«Riteniamo che per descrivere la situazione di questo sistema familiare possiamo utilizzare i termini di alienazione parentale dove non intendiamo riferirci ad una sindrome ma ad una problematica individuale del figlio legata ad una difficoltà relazionale tra i tre membri della famiglia: bambino, madre e padre, alla quale possono contribuire i membri della famiglia allargata. Anche se in misura che può essere diversa come intenzioni, motivazioni e comportamenti, ognuno dei componenti il gruppo familiare fornisce il proprio personale contributo in misura variabile da caso a caso. I segni di tale condizione sono il rifiuto ingiustificato e comunque talora solo parzialmente motivato da parte del figlio di frequentare uno dei due genitori Infatti, da quello che emerge nella famiglia sottoposta a consulenza c’è un profondo disturbo relazionale. La recente pubblicazione del DSM V e ICD 11 sono orientati a farlo rientrare e definirlo all’interno della categoria dei “Disturbi Relazionali”. Il Prof. Giovanni Battista Camerini suggerisce una serie di considerazioni da utilizzare nelle CTU nei casi in cui si riscontrasse quella che è stata precedentemente definita “PAS – Sindrome di Alienazione Genitoriale” alla luce dell’uscita del nuovo DSM 5. Tra i Problemi Relazionali, il DSM-V descrive i Problemi legati all’Educazione Genitoriale e, all’interno di questi, il Bambino affetto da Distress da Relazione Genitoriale (V61.29): “Questa categoria dovrebbe essere usata quando il focus dell’attenzione clinica è rappresentato dai negativi effetti della discordia nella relazione tra i genitori (per esempio alti livelli di conflittualità, di distress, o di denigrazione) su un bambino della famiglia, inclusi gli effetti sui disturbi mentali o su altre condizioni mediche nel bambino”.
Qualora la relazione tra i genitori sia contraddistinta soprattutto da un’azione di denigrazione dell’uno nei confronti dell’altro, questa condizione corrisponde alla nozione di Parental Alienation secondo la definizione di Bernet (2008) ripresa da Cavedon e Magro (2010) a partire dalla originaria teorizzazione di Gardner (1985). Si tratta quindi, nel presente specifico caso, di indicare i comportamenti della signora XX coerenti con l’ipotesi in questione. Quanto riportato in precedenza a proposito dell’incontro successivo alla frequentazione del minore presso l’abitazione paterna descrive bene questi aspetti. – sollecitazione di un’alleanza – legame simbiotico – suggestione nel minore del disagio psicologico legato alla frequentazione con il padre. Sul piano clinico, va rilevato quanto il DSM-V specifica a proposito dei Problemi Relazionali: “Un problema relazionale può sollecitare un’attenzione clinica in ragione del fatto che il soggetto cerca un’assistenza sanitaria o per un problema che riguarda il decorso, la prognosi o il trattamento di un disturbo mentale o di un’altra condizione medica”. Questi problemi richiedono spesso un intervento psicosociale in una prospettiva clinica e preventiva. Si rimanda a tale proposito al documento redatto dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) – maggio 2013 -: “La comunità scientifica è concorde nel ritenere che l’alienazione di un genitore non rappresenti di per sé un disturbo individuale a carico del figlio ma piuttosto un grave fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicoaffettivo del minore stesso”. La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ritiene opportuno esprimere il proprio parere in merito ad affermazioni disconfermanti in alcuni procedimenti legali circa la nozione di PAS (Parental Alienation Syndrome). In primo luogo, al di là dell’opportunità che l’autorità giudiziaria si sostituisca alla comunità scientifica nel rilasciare giudizi su argomenti altamente specialistici, si ritiene che il problema relativo all’esistenza o meno di una “sindrome” legata all’alienazione di una figura genitoriale venga posto in modo incongruo.

Fenomeni come il mobbing, lo stalking ed il maltrattamento esistono ed assumono valenze giuridiche a prescindere dal riconoscimento di disturbi identificabili come sintomatici. Colpisce, inoltre, come la Suprema Corte di Cassazione abbia espresso il proprio parere secondo il quale ha stabilito i criteri di scientificità di una teoria tra cui la “generale accettazione” della teoria stessa da parte della comunità di esperti. Sotto questo profilo, si sottolinea come esista una vasta letteratura nazionale ed internazionale che conferma la scientificità del fenomeno della Parental Alienation, termine questo da preferirsi a quello di PAS; negli Stati Uniti ad esempio tale costrutto ha superato i criteri fissati dalle Frye e Daubert Rules per essere riconosciuti come scientificamente validi dalle competenti autorità giudiziarie. La nozione di Alienazione Parentale è inoltre riconosciuta come possibile causa di maltrattamento psicologico dalle Linee Guida in tema di abuso sui minori della SINPIA (2007). La SINPIA ribadisce come sia importante adottare le precauzioni e le misure necessarie, come impongono le recenti sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per garantire il diritto del minore alla bigenitorialità e tutelarlo dagli ostacoli che lo possono minacciare.»

Vediamo adesso le bestialità contenute in questa CTU.

La prima bestialità è l’utilizzo dell’espressione “sistema familiare” riferita a una famiglia separata; il concetto di sistema familiare è stato introdotto dalle teorie sistemico-relazionali con riferimento a famiglie non separate in cui c’era un membro (di solito un figlio) affetto da schizofrenia, quindi per definizione un soggetto adulto psicotico.

Seconda bestialità: il concetto di alienazione parentale. Precisano che non intendono più riferirsi alla vecchia PAS ma nelle considerazioni successive nominano la PAS almeno una decina di volte. La coerenza non è il loro forte, evidentemente. Su queste acrobazie linguistiche si è già scritto.

Terza bestialità: supportano la bestialità precedente con la citazione di scritti di psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili che sostengono tenacemente la PAS e l’alienazione parentale, ma nemmeno un cenno alla letteratura di segno contrario. Onestà scientifica vuole che parlando di concetti controversi si citino i pareri favorevoli e contrari e poi si spieghi, in maniera logica e razionale, la propria scelta per l’una o l’altra visione. Ma per la PAS o alienazione parentale non vi è alcuna controversia visto che è stata dichiarata priva di basi scientifiche dal Ministro della Salute nel 2012 (la CTU è del 2014).

Quarta bestialità: in un paragrafo questa alienazione parentale viene assegnata alla categoria dei Disturbi relazionali del DSM-5 (categoria che non esiste nel DSM-5), in un paragrafo successivo scompare il disturbo relazionale e compare il problema relazionale. Di una competenza professionale unica. Secondo me questi non sanno nemmeno cos’è il DSM-5.

Quinta bestialità: il pietoso copia-incolla fatto senza vergogna, per esempio dall’anonimo comunicato SINPIA, accatastando assieme concetti che non hanno nulla in comune (mobbing, stalking, ecc).

Arriviamo adesso al vero e propro falso in perizia e quindi alla frode processuale: vi si afferma che “negli USA il costrutto della Parental alienation ha superato i criteri delle Frye e Daubert rules”. Questo è del tutto falso, come ha dimostrato la D.ssa Jennifer Houlth nella sua tesi di dottorato in Diritto. Questa circostanza è stata ben evidenziata al Giudice, ma evidentemente le cose dovevano andare in un certo modo e a nulla valeva rimarcare le bestialità e le falsità.

Com’è finita, o meglio non è ancora finita, questa vicenda? Lo leggete qua.

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PERIZIE E CTU

Inauguro questa sezione del blog per parlare di perizie e CTU, in particolare quelle svolte in un particolare settore che riguarda nel penale i processi di abusi sessuali sui minori e nel civile le vicende di separazione e affidamento dei minori.

Nel corso della mia carriera professionale ne ho svolte tantissime di consulenze, preferibilmente di parte (per motivi che non sto qui a specificare non ho mai richiesto l’iscrizione all’albo dei consulenti tecnici dei tribunali), in vari campi, dall’invalidità lavorativa al risarcimento danni per incidenti stradali, nel campo del mobbing, stalking, ecc.

Il particolare settore delle perizie e consulenze per abusi sessuali sui minori, separazioni e affidamento minori mi vede impegnato da alcuni anni e in questi pochi anni ho visto di tutto; superficialità, approssimazione, incoerenza, incompetenza, ignoranza, a volte vere e proprie falsità spacciate per scienza.

A questo punto credo sia il caso di cominciare a rendere pubbliche alcune di queste bestialità e soprattutto di organizzarsi per contrastare efficacemente questo tipo di CTU.

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