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NEUROSCIENZE (?) IN TRIBUNALE

Il riferimento è alle metodiche cosiddette di svelamento della menzogna, alcune delle quali conosciute come macchina della verità.
Corre l’obbligo, preliminarmente, di precisare che queste cosiddette metodiche, dette anche di lie detection, non hanno nulla di scentifico ma, riprendendo il titolo di un articolo del 2007, si tratta, puramente e semplicemente, di ciarlatanerie.

Riporto brevemente dall’abstract: «Un rivelatore di bugie che può rivelare la menzogna e l’inganno, in qualche modo automatico e perfettamente affidabile, è una vecchia idea che abbiamo spesso incontrato nei libri di fantascienza e fumetti. Tutto questo va molto bene. È quando le macchine che si affermano essere rilevatori di bugie appaiono nel contesto di indagini penali o applicazioni di sicurezza che dobbiamo essere preoccupati

E tra le conclusioni scrivono: «Ciarlataneria, frode, pregiudizio e superstizione sono sempre stati con noi. Se guardiamo indietro nella storia e lo confrontiamo con quello che vediamo oggi c’è poco che ci dà la speranza che il progresso nella scienza diminuisca la quantità di sciocchezze superstiziose che vediamo intorno a noi. L’astrologia, per esempio, sembra essere più popolare che mai e totalmente inalterata nonostante le tante volte che gli astronomi spieghino che è una completa assurdità. Siamo quindi un po’ pessimisti circa la possibilità di rimuovere efficientemente il ciarlatanismo della scienza dal linguaggio forense

Chi ne ha voglia si legga tutto l’articolo.

Oggetto di questo post è una di queste metodiche, alla quale ha dato ampio risalto il quotidiano Avvenire del 30 luglio 2020.

Come si legge, tale metodica si chiama aIAT.
Ho incrociato per la prima volta questo test nel 2011, nel corso di una CTU per l’affidamento di una bambina che rifiutava il padre accusandolo di abusi sessuali; la vicenda penale era stata archiviata grazie anche a questo test che aveva rilevato quanto segue, riporto letteralmente dalla perizia di parte: «Ciò consente di ecludere, nel cervello del sig. xxx, la presenza di una traccia mnestica legata all’evento ABUSO
La bambina però era credibile e il padre nel corso della CTU si lasciò sfuggire una frase che nella sostanza confermava gli abusi sessuali; la bambina era stata giudicata non attendibile sulla base della bufala dell’amnesia infantile, concetto già da me smentito. Questo mi insospettì e perciò approfondii la faccenda.

Il test aIAT deriva da una metodica messa a punto negli USA che si chiama IAT (Implicit Association Test). Si tratta di un test utilizzato in psicologia sociale, per indagare pregiudizi impliciti di genere, di razza, ecc. Qui si può leggere qualcosa di più.
Il test aIAT (autobiographic Implicit Association Test) presume di poter svelare se il soggetto testato sta dicendo la verità oppure sta mentendo, in relazione a determinati fatti.

Senza portarla per le lunghe, riporto dal testo L’alienazione parentale nelle aule giudiziarie, a cura di Cassano G, Corder P e Grimaldi I, Edizioni Maggioli: «La critica più pregnante a questo test viene dal contesto giudiziario, per la precisione da una memoria dei PM nel corso del processo Franzoni; il passo si trova alla pag. 37 del documento citato, nota 56. Si tratta di una vera e propria pietra tombale posta dai magistrati circa l’uso giudiziario del test aIAT, finalizzato a scagionare l’imputato dalle accuse; la falsa scienza non può trovare posto in tribunale

Scrissero infatti i giudici:
«Nella propria memoria i PM,dopo aver ricordato che lo IAT è un formato procedurale di indagine cognitiva (ossia un contenitore) utilizzabile per indagare diversi tipi di concetti psicologi e che ad Annamaria FRANZONI era stata somministrata una nuova applicazione dello IAT, ideata nel 2008 proprio da Sartori, denominata a‐IAT autobiographical IAT) o f‐IAT (forensic IAT), contestavano che la validazione scientifica dello IAT potesse automaticamente essere estesa alla versione ideata da Sartori e, comunque, la possibilità di utilizzo dello IAT in ambito forense, citando anche le obiezioni formulate da una ricercatrice, Valentina Prati, già allieva di Sartori, relative alla facilità di falsificazione dei dati da parte di un utente istruito

La D.ssa Valentina Prati è coautrice di un articolo che porta una critica radicale proprio all’affidabilità del test aIAT.

Ecco l’abstract: «Il test autobiografico Implicit Association Test (aIAT) è stato recentemente introdotto in questa rivista come un nuovo e promettente strumento di rilevamento delle bugie. La relazione iniziale ha rilevato una precisione nel determinare quale dei due eventi autobiografici fosse vera. È stato suggerito che l’aIAT, a differenza di altri test di rilevamento delle bugie, è resistente ai tentativi di ingannarlo. Abbiamo indagato se i partecipanti possono modificare strategicamente le loro prestazioni sull’aIAT. L’esperimento 1 ha dimostrato che i partecipanti colpevoli di un finto furto sono stati in grado di ottenere un risultato di prova innocente. Altri due esperimenti hanno dimostrato che i partecipanti colpevoli possono falsificare l’aIAT senza precedenti esperienza con l’aIATand quando viene fissata una scadenza di risposta. L’aIAT è soggetto alle stesse carenze di altri test di rilevamento delle bugie

Nella sostanza, e semplificando, il test, computerizzato, propone al soggetto una serie di domande, alcune assolutamente vere (es. dati anagrafici) e altre che possono essere vere ma possono essere false. La presunzione alla base del test è che la risposta alle domande assolutamente vere ha un tempo di latenza brevissimo, quasi instantaneo (es., se ci chiedono la nostra data di nascita rispondiamo senza esitazione) mentre se si cerca di mentire alle altre domande (che possono riguardare fatti oggetto di indagine penale) la risposta può avere un tempo di latenza lievemente più lungo, dell’ordine dei millisecondi.
Parafrasando, le bugie (che hanno le gambe corte) hanno però tempi di risposta più lunghi.

Il computer è in grado di calcolare questo scarto nei tempi di risposta e dirci se il soggetto ha dato una risposta falsa ad alcune domande, cioè se ha mentito.
Fin qui tutto normale; ma se il soggetto anche alle domande assolutamente vere risponde con un minimo ritardo il computer non registra alcuno scarto e quindi sentenzia che anche alle domande critiche il soggetto ha risposto sinceramente, cioè non ha mentito.
Il processo penale si può basare su queste autentiche cazzate? Non sarebbe un processo ma una metafora di processo, tanto per citare un concetto caro a un amante di metafore.

Ma, al di là delle considerazioni scientifiche e giuridiche, è particolarmente emblematico che il test aIAT sia stato smascherato da alcuni blog di psicologi, come in questo e questo.

Naturalmente, ritornando all’articolo dell’Avvenire, possiamo certo gioire che la Giustizia abbia riconosciuto l’innocenza di un presunto pedofilo, ma se a quella sentenza la giustizia è pervenuta utilizzando la falsa scienza, credo ci sia poco da gioire.
E certi giornalisti, di certi giornali, dovrebbero informarsi maggioramente prima di disinformare. Se può essere complicato giungere agli articoli scientifici o alle sentenze giudiziarie, è estremamente semplice trovare in rete gli articoli dei blog; se ce l’ho fatta io …

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LA SINPIA E LA PAS

La SINPIA è una società scientifica che raggruppa i medici specialisti in neuropsichiatria infantile; forse è la più importate società scientifica neuropsichiatrica infantile.

La PAS, oggi chiamata alienazione parentale, è la ormai ben nota, e famigerata, falsa malattia, la bufala di Gardner, la fake news diffusa da vari soggetti il cui unico scopo è quello di difendere e scagionare i padri dalle accuse di violenza in famiglia o di abusi sessuali sui figli minori.

Nel 2007 la SINPIA ha pubblicato le Linee guida sugli abusi nei confronti dei minori.
A pagina 10 è riportato quanto segue:
«Una ulteriore forma di abuso psicologico può consistere nella alienazione di una figura genitoriale da parte dell’altra sino alla co-costruzione nel bambino di una “Sindrome di Alienazione Genitoriale” (Gardner, 1984).»

Lasciando perdere per il momento tutte le polemiche sul concetto antiscientifico di PAS e sulla equivoca figura di Gardner, voglio ricordare ai colleghi della SINPIA che nell’ottobre 2012 il Ministro della Salute ha dichiarato che la PAS non ha alcun fondamento scientifico.

Sono passati quasi sei anni dalla dichiarazione del Ministro della Salute sulla non scientificità della PAS ma la SINPIA non ha ancora rimosso quella frase dalle sue Linee guida; la SINPIA non rende un buon servizio alla scienza continando a diffondere quella fake news.

Una ulteriore criticità sul rapporto tra la SINPIA e la PAS è rappresentata dalla presenza sul suo sito istituzionale di un documento anonimo che viene spacciato per un comunicato stampa della SINPIA e come tale ripreso in alcune CTU che hanno visto fortemente penalizzati i bambini che rifiutavano di incontrare il padre e condannate le madri perché ritenute causa di questo rifiuto.

Un esempio è il seguente dove la CTU ha fatto il copia-incolla del documento anonimo; il Tribunale è quello di Civitavecchia.


Queste autentiche scempiaggini, copia-incollate, sono entrate nel processo e hanno portato a questa sentenza.


Al di là delle autentiche sciocchezze scritte in questo documento anonimo, come già rilevato dal blog Infobigenitorialità, resta il fatto sconcertante della presenza sul sito istituzionale di una Società scientifica di un documento anonimo spacciato per un comunicato stampa della medesima Società scientifica; l’unica persona autorizzata a emettere comunicati stampa di una Società scientifica è il rappresentante legale della stessa, e cioè il suo Presidente, come si può vedere in questo comunicato stampa autentico che viene emesso su carta intestata della SINPIA e firmato dal Presidente o dall’Ufficio stampa.

Cosa ci fa un documento anonimo, spacciato per comunicato stampa, sul sito della SINPIA?
L’Ufficio stampa della SINPIA è stato occupato da qualche massone sostenitore della falsa malattia?

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LA CARTA DI NOTO – V PARTE

È venuto ora il momento di analizzare criticamente i singoli punti del documento, dopo le critiche alla premessa.

1) al primo punto si parla degli esperti e delle altre figure coinvolte nella raccolta della testimonianza del minore che debbono possedere competenze specifiche. Qui bisogna intendersi per bene e scoprire le insidie nascoste in questo concetto.

La prima insidia sta proprio nel termine esperto: chi ha conferito al cosiddetto esperto la qualifica di esperto? Sulla base di quali criteri?

In tema di accertamenti peritali (CTU o perizia) il tipo di esperienza che viene richiesta al perito è soprattutto l’esperienza clinica, quella cioè che si acquisisce dopo anni di lavoro con i pazienti, sia ospedaliera (l’aggettivo clinico rimanda a kliné, il letto del malato) sia ambulatoriale; è solo l’esperienza clinica quella che fa di un medico, o uno psicologo, un esperto nel suo campo di competenza.

Come scrive il prof. Fornari «in ambito psico-forense occorre non confondere le evidenze scientifiche che emergono dagli strumenti diagnostici di volta in volta utilizzati con il metodo seguito, perché solo questo e non certo l’uso di uno strumento piuttosto di un altro offre garanzia di “scientificità” all’elaborato peritale. Ancora una volta la clinica è sovrana con un’attrezzatura mentale sua propria» (Fornari U, Trattato di psichiatria forense, pag. 636. UTET Giuridica, 2015).

E veniamo al secondo requisito: l’esperto e le altre figure professionali coinvolte nella raccolta della testimonianza del minore debbono possedere competenze specifiche; lapalissiano.

Come si acquisiscono queste competenze specifiche? Con l’aggiornamento continuo, gli eventi formativi, i master, ecc.

Ma se i docenti di questi eventi formativi che dovrebbero fornire competenze specifiche sono quegli stessi professionisti che diffondono falsità scientifiche (PAS o alienazione parentale, amnesia infantile, false memorie, ecc.) quali competenze possono mai acquisire i discenti? Acquisiranno competenze su falsità scientifiche che poi vengono riversate nelle CTU e nelle perizie e che diventano verità giudiziaria. Di seguito alcuni esempi tratti da relazioni peritali.

Si tratta di due diversi professionisti, che compaiono tra i firmatari della Carta di Noto IV, che si sono espressi sul medesimo caso, ovvero un caso di presunto abuso sessuale; ovviamente, archiviazione, bambina costretta a incontrare il padre, madre alienante, ecc. Per fortuna nessun giudice ha disposto l’invio in comunità, nonostante le ripetute istanze del padre, ma è stato mantenuto il collocamento dalla madre; prosegue, però, la tortura degli incontri protetti, la psicoterapia obbligatoria, ecc. Il tutto partendo da una falsità scientifica e cioè che la bambina fosse una smemorata e quello che diceva le fosse stato detto dalla madre.

Di fronte a queste falsità scientifiche gli Ordini professionali nicchiano; ma possibile che i giudici non abbiano nulla da rilevare? Che i Presidenti dei Tribunali non ritengano di richiamare gli iscritti agli Albi dei periti e dei consulenti tecnici a un maggiore rigore scientifico pena la cancellazione dagli Albi medesimi? Che i Rettori delle Università dove questi professionisti hanno incarichi di insegnamento non ritengano di revocarli a fronte delle falsità scientifiche diffuse e insegnate agli studenti?
E i signori Ministri, rispettivamente della Giustizia, dell’Istruzione e della Salute, non hanno proprio nulla da dire?

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