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L’EMDR È UNA TECNICA PARAIPNOTICA?

Si tratta dell’affermazione fatta da un professionista, neuropsichiatra infantile nonché psichiatra, in un recente video.
Non saprei se si tratti di ignoranza o malafede; comunque è una grossa sciocchezza.
Un video che spiega bene cos’è l’EMDR è a questo link.

Nel 2009 ho partecipato a Milano al corso di formazione nella terapia EMDR, primo livello, condotto da Roger Solomon e Isabel Fernandez, poiché interessato a saperne di più di questa metodica; seguivo infatti i dibattiti sull’EMDR che si svolgevano sulle mailing list psichiatriche, Psichiatryonline e Psychomedia.
Su quest’ultima mailing list, in particolare, si svolse nel 2000 un interessantissimo dibattito con la partecipazione di professionisti di alto livello nel campo della psicoterapia (Paolo Migone, Tullio Carere, e altri), che ovviamente ho archiviato sul pc.

La psichiatria non ha molti strumenti per curare i disturbi da stress post-traumatico (PTSD); gli ansiolitici possono attenuare l’ansia ma non sempre sono efficaci e poi c’è la grossa incognita della dipendenza; gli antidepressivi sono indicati in alcuni casi ma non risolvono il problema. Mi interessava quindi conoscere meglio la tecnica EMDR, non per divenire io stesso terapeuta EMDR ma per poter meglio consigliare i miei pazienti con PTSD e indirizzarli verso una terapia efficace.

EMDR significa Eye Movement Desensitization and Reprocessing, tradotto in italiano come Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti oculari (Shapiro F, EMDR, McGraw-Hill). L’ipnosi non c’entra nulla, il paziente non viene ipnotizzato né gli vengono fornite suggestioni post-ipnotiche; mi sono sottoposto a un percorso di ipnosi, per conoscerla meglio, oltre la lettura dei testi di Milton Erickson, quindi so di cosa sto parlando.

Bessel van der Kolk è il fondatore e direttore medico della Trauma Research Foundation a Brookline, nel Massachusetts ed è anche professore di psichiatria alla Boston University Medical School; qui una sua recente intervista.
Nel 2015 è stato pubblicato in Italia il suo libro, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, che è rapidamente divenuto un best-seller. Van der Kolk è il maggiore esperto sul trauma a livello mondiale; un professionista della salute mentale non può ignorare i suoi studi e le sue ricerche.

Nel capitolo 15 del suo libro, alla pag. 285, van der Kolk parla del trattamento del PTSD con la tecnica dell’EMDR, illustrando alcuni dei suoi casi clinici; formula alcune ipotesi sul meccansismo di azione dell’EMDR e riporta alcuni dati delle sue ricerche.

Pazienti trattati con l’EMDR mostrano alle indagini di neuroimaging (SPECT) l’attivazione del lobo pre-frontale (preposto allo svolgimento dei processi cognitivi e alla regolazione del comportamento), del giro cingolato anteriore (area cerebrale dalle funzioni molto complesse, tra cui il coordinamento sensitivo-emozionale, attenzione esecutiva, ecc) e dei gangli della base (strutture poste alla base del cervello nella parte superiore del mesencefalo, che controllano aspetti attentivi, emozionali e motivazionali dell’attività motoria, oltre che presiedere al controllo dei movimenti volontari).

Interessante è la somiglianza dei movimenti oculari rapidi alternati della tecnica EMDR con i movimenti oculari rapidi della fase di sonno REM; naturalmente la similitudine finisce qui, si possono solo formulare ipotesi, da verificare quando gli strumenti di studio lo consentiranno; come quella, ad es., di una sorta di ri-allocazione delle memorie traumatiche dalla memoria di lavoro agli archivi della memoria remota, ecc. Ma poiché, soprattutto nei bambini, l’efficacia dell’EMDR si ottiene con le stimolazioni tattili alternate destra/sinistra più che con i movimenti oculari, devono essere in gioco altri meccanismi per ora poco indagati e poco indagabili.

In sperimentazioni controllate, l’EMDR si è dimostrato più efficace del placebo ma anche più efficace dei trattamenti farmacologici; nei gruppi EMDR il miglioramento riguardava un paziente su quattro mentre nei gruppi con psicofarmaci il miglioramento era di un paziente su dieci. Ma soprattutto, mentre i pazienti migliorati con i farmaci presentavano una ricaduta a distanza di tempo, i pazienti migliorati con l’EMDR non presentavano ricadute a distanza di tempo, tanto da poter parlare di guarigione.

Questi lusinghieri risultati hanno portato l’amministrazione USA dei veterani di guerra (Department of Veteran Affairs) ad autorizzare la terapia con la tecnica EMDR per il trattamento del PTSD.
Sostenere quindi che l’EMDR sarebbe una tecnica paraipnotica è una grossa sciocchezza che denota ignoranza della psichiatria, mancata conoscenza degli studi più recenti sul trauma e incapacità di affrontare terapeuticamente le conseguenze di traumi come l’abuso sessuale nell’infanzia.

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LO STRESS E GLI PSICOLOGI GIURIDICI

È, per convenzione, il primo giorno di un nuovo anno, e si dovrebbe evitare di polemizzare; ma non si può evitarlo quando si continuano a vedere le incoerenze di questa categoria di persone.

Eh sì, perché il tizio in questione, si sarà capito che è uno psicologo giuridico, proprio ieri, ultimo giorno di un anno funesto, per motivi non tutti attinenti la pandemia, se ne è venuto fuori col fatto che lo stress psicologico abbassa le difese immunitarie; ciò con un articolo pubblicato da un quotidano online.
Cita all’uopo una paio di studi, rispettivamente del 1991 e del 2002; vorrei informarlo comunque che ce ne sono anche di più recenti.

Vizi privati e pubbliche virtù.

In pubblico (articoli su giornali), difatti, questi soggetti si ammantano di scientificità e competenze; in privato (nelle consulenze tecniche di ufficio-CTU) non si preoccupano affatto dello stress psicologico, e quindi della caduta delle difese immunitarie, che provocano a madri e bambini appioppando loro l’alienazione parentale (o qualcuno dei tanti sinonimi, dalla madre malevola alla madre assorbente), strappando i figli alle madri, rinchiudendo i bambini nelle comunità per minori.

Strani soggetti, che non hanno nemmeno la capacità di assumersi la responsabilità dei propri comportamenti.
Da un canto si fanno vanto di organizzare convegni ECM sull’alienazione parentale.

Dall’altro si sentono denigrati quando qualcuno glielo fa notare e minacciano ritorsioni per un presunto danno all’immagine; perdonate, ma se siete voi stessi che danneggiate la vostra stessa immagine!!!

Niente, devono portarsi addosso un qualche stress remoto, forse una caduta dal seggiolone, che ha compromesso in maniera irrimediabile le loro capacità di ragionamento logico.

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LA CARTA DI NOTO – III PARTE

Come accennato nella seconda parte, nel suo lavoro sulle memorie traumatiche precoci Gaensbauer riporta casi clinici personali e casi di altri autori, con abbondanza di riferimenti bibliografici. Esamina la memoria precoce sulla base dell’età anagrafica dei bambini esaminati. Riporto testualmente alcuni paragrafi di questo importante lavoro.

Memoria da zero a due mesi

Nelle prime settimane di vita il bambino è capace sia di provare una reazione di stress sia di associarla in maniera condizionata a uno stimolo collegato in modo tale da influenzare successivi comportamenti. Riporta questo caso clinico riferitogli da una madre:

«Quando il suo bambino di 3 giorni aveva difficoltà ad allattare, un’infermiera molto aggressiva gli ha tenuto la testa forzandolo ad aprire la bocca, per mettergli il seno della madre in bocca. Il bambino si è sconvolto, aveva conati di vomito, e inarcava la schiena per allontanarsi dal petto della mamma. A questo punto, la balia, che indossava una caratteristica divisa rosa con cuori “rosa fosforescente”, è stata chiamata e ha lasciato la stanza. Quando è ritornata 10 minuti dopo, la madre ha riferito che il bambino “ha visto chi era” e immediatamente ha inarcato la schiena e ha spinto contro il corpo della madre con le gambe con così tanta forza da rotolarsi sul letto.»

Memoria da tre a sei mesi

«Uno studio notevole della conservazione in memoria in questo periodo è quello di Perris, Myers e Clifton. All’età di 6,5 mesi un gruppo di bambini è stato esposto a un test in laboratorio che richiedeva di allungare la mano verso un oggetto che suonava nel buio. I bambini hanno mostrato di ricordarsi quando sono stati esposti a una situazione di stimolo simile due anni dopo, dimostrato dall’allungamento della mano con sempre più successo e una maggiore tolleranza della situazione sperimentale rispetto a gruppi di controllo senza esperienza.»

E ancora:

«Un bambino, ripetutamente e gravemente maltrattato dal suo padre biologico tra l’età di 3 e 10 settimane prima di essere stato affidato, ha mostrato delle reazioni di paura verso gli uomini per molti mesi. Durante il primo mese in affidamento quando suo padre adottivo o suo fratello adottivo adolescente si avvicinavano a lui, piangeva inconsolabilmente. La madre adottiva ha notato anche che trasaliva se lei involontariamente faceva dei gesti improvvisi verso di lui ad esempio mentre gli cambiava il pannolino. Anche se queste reazioni sono diminuite all’interno della famiglia adottiva, a sei mesi quando un maschio adulto che somigliava fisicamente al padre ha tentato di prenderlo in braccio trasaliva immediatamente e iniziava a gridare. A otto mesi durante una visita medica quando il dottore ha fatto un gesto affettuoso con l’intenzione di accarezzargli la testa il bambino ha trasalito così bruscamente che il medico è rimasto sconcertato. Tranne per qualche trasalimento casuale questo tipo di reazione non è mai stato osservato durante una interazione con una donna adulta.»

«Terr ha descritto una bambina che ha subito degli abusi sessuali prima dell’età di sei mesi che poco prima dell’età di tre anni ha fatto una serie di ricostruzioni sessuali con le bambole compresa la penetrazione vaginale, compatibili con delle foto pornografiche scattate durante il suo abuso sessuale.»

Memoria da sette a diciotto mesi

«Bauer e Wewerka sono giunte alla conclusione che “non è necessario nel momento in cui viene vissuto un evento che ci sia disponibile una codificazione verbale per far sì che l’evento venga ricordato a lungo termine o che successivamente il ricordo dell’evento venga esposto verbalmente”. Altri ricercatori hanno documentato che il linguaggio si può sovrapporre su precedenti memorie preverbali. Un esempio drammatico è la relazione di Myers, Clifton e Clarkson di una bambina di quasi tre anni che durante una visita in laboratorio ha indovinato l’immagine dietro ad uno pannello. L’ultima volta che aveva visto l’immagine era stato due anni prima quando aveva 40 settimane di età.»

«All’età di 23 mesi un bambino che era stato coinvolto in un grave incidente stradale a nove mesi, è riuscito a rappresentare usando bambole e giocattoli la sequenza dell’incidente, compreso come era stata colpita la macchina, come si era rovesciata e poi atterrata. Un altro bambino che all’età di 13 mesi era stato portato su un’ambulanza al pronto soccorso per via di un overdose di droga, a 26 mesi ha fatto una rappresentazione di certi dettagli specifici del viaggio in ambulanza e del trattamento al pronto soccorso. Il terzo caso coinvolgeva un ragazzo che era stato gravemente abusato sia fisicamente sia sessualmente da suo padre durante un periodo di una settimana, all’età di 7 mesi. Quando aveva 8 anni, durante una seduta di terapia con il terapista e sua madre adottiva, all’improvviso il bambino è entrato in uno stato delirante e dissociato durante il quale ha drammaticamente ricreato con il suo proprio corpo l’esperienza dell’abuso. Questo comprendeva, urlare dalla paura, dimenarsi a terra con il sedere in aria, cercare di trascinarsi sotto il divano per scappare dal terapista (che in quel momento stava vivendo come se fosse suo padre), e usare le parole per descrivere come gli stava facendo male. Il quarto caso era quello di una bambina che a 12 mesi aveva visto sua madre uccisa da una lettera esplosiva. Sia con le azioni sia con i giocattoli, ha ricreato delle rappresentazioni di diversi elementi importanti dell’accaduto, durante una valutazione all’età di 4 anni e mezzo. Quando le è stato chiesto come era morta sua madre, è improvvisamente caduta a terra e si è rotolata in modo frenetico. Più avanti ha improvvisamente portato giù la mano su uno scenario di gioco che ricreava la situazione appena prima dell’esplosione, buttando giù bambole e mobili con un gesto che riusciva a cogliere delle qualità fondamentali dell’esplosione. A 6 anni, durante una seduta di terapia con un altro terapista e alla presenza dei genitori adottivi, la bambina ha fornito ulteriori dettagli verbali sull’aspetto di sua madre dopo la bomba, un dato di cui i suoi genitori non erano a conoscenza ma che è stato successivamente confermato dalla polizia.»

Memoria da diciotto a ventiquattro mesi

«Tante ricerche e prove cliniche hanno documentato l’abilità dei bambini tra l’età di 18 mesi e 2 anni, una volta che hanno raggiunto la fluenza verbale, a percepire, ricordare e poi descrivere degli eventi vissuti. Nelson, Fivush e i loro colleghi hanno dimostrato in numerosi studi che l’esordio della memoria autobiografica, come tradizionalmente viene concettualizzata, si osserva intorno a questa fascia d’età. Molte relazioni cliniche hanno documentato la presenza di ricordi duraturi degli eventi traumantici in bambini di questa età che sono verbalmente fluenti. Usher e Neisser hanno dimostrato che si possono ricordare alcuni eventi affettivamente significativi che accadono nel secondo anno di vita, quale la nascita di un fratello o un ricovero in ospedale anche fino all’età adulta.»

Credo ce ne sia abbastanza per destinare in discarica certa spazzatura pseudo-scientifica. Nella quarta parte l’analisi della teoria della suggestionabilità dei bambini.

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