ANCORA CON IL RIFIUTO IMMOTIVATO

Post lungo ma necessario.

Mi dicono sia stato pubblicato un libro dove si parla ancora di rifiuto immotivato; inteso nel contesto di separazioni coniugali che fanno seguito a violenza in famiglia o addirittura ad abusi sessuali incestuosi di uno dei due genitori sui figli.
Separazioni che le autrici di questo libro si ostinano, cocciutamente, a definire come separazioni conflittuali; sono le solite che ancora amano l’alienazione parentale ma hanno timore a parlarne e così s’inventano di tutto.

Naturalmente, non perderò il mio tempo a leggere questo inutile libro; mi limito a riportare quanto dichiarato da una della coautrici in una intervista.
«Il rifiuto genitoriale è una condizione di rottura della relazione genitore-figlio a seguito di separazione o divorzio, in assenza di violenza e maltrattamenti. Il rifiuto del figlio verso uno dei due genitori è, in altre parole, immotivato» e ancora: «Attraverso questo libro abbiamo voluto proporre buone prassi specialistiche, per intervenire nei casi di rifiuto immotivato. La nostra proposta di intervento prevede una collaborazione tra Magistratura e intervento psicologico, non tralasciando l’importanza della collaborazione di entrambi i genitori».

Questa nuova mistificazione, e cioè l’esistenza del rifiuto immotivato di frequentare un genitore dopo la separazione coniugale, risale a qualche anno fa ed è stata da me puntualmente criticata e smentita, dapprima con un post sul mio sito, poi nel corso di un convegno a Roma (dalla pagina 8 in poi). Per chi volesse consultare l’articolo del Messaggero, che cito nella mia relazione, il link è questo; da sottolineare l’affermazione senza senso dell’avvocata intervistata: “Aumentano i casi di rifiuto anche perché non esiste il riconoscimento scientifico e giuridico della Pas (sindrome alienazione parentale)“. Più di recente sono intervenuto sulla questione con un post sul mio blog.

Ma per insistere così tanto, pubblicarci un libro, ecc, mi fa pensare che gli interessi economici in ballo siano davvero rilevanti, altrimenti non si spiega tanta pervicacia nel sostenere un concetto, quello di rifiuto immotivato, che è un non senso psicologico, come andrò a spiegare di seguito. Eh sì, se si pensa che una singola CTU viene a costare dai 3.000 ai 4.000 euro, con 3-4 CTU al mese (ma sono molte di più) ci si assicura un bel reddito al quale è difficile rinunciare; per non parlare del cosiddetto indotto delle CTU, test psicologici, centri per il recupero della genitorialità (?), curatori del minore, tutori del minore, comunità per minori, ecc.

Se si aggiunge a tutto questo la circostanza che una delle autrici mostra una certa propensione ad ‘aggiustare’ i risultati dei test psicologici da lei stessa somministrati, come si può vedere dall’immagine a lato, si ha un quadro dellla psicologia romana davvero sconfortante.

Adesso ci riprovano, addirittura con l’avallo dell’Ordine degli psicologi della Regione Lazio e dei Giudici della Sezione famiglia del Tribunale di Roma che, condizionati da questa psicologia di bassa lega, tendono sistematicamente a derubricare la violenza intrafamiliare a conflitto.
Spiace quindi dovere, per l’ennesima volta, riprendere questi temi e cioè rimarcare la differenza abissale che c’è tra conflitto e violenza e la impossibilità logica che possa esistere un comportamento di rifiuto senza una motivazione alla sua origine.
Cominciamo nuovamente dall’ABC, come si fa all’asilo.

CONFLITTO: conflitto, interpersonale s’intende, è una situazione in cui c’è una diversità di vedute tra due o più persone.
Naturalmente, nella famiglia, unita o separata, il conflitto relazionale può riguardare vari aspetti ma, se è solo conflitto, sempre conflitto rimane, cioè una diversità di vedute che in qualche modo trova una sua più o meno pacifica composizione tra i membri della relazione conflittuale.
Non possono trovare composizione, invece, le relazioni familiari fondate sulla violenza, sulla sopraffazione di una parte sull’altra, solitamente dell’uomo sulla donna, o addirittura caratterizzate da abusi sessuali incestuosi.
Passiamo così al secondo paragrafo.

VIOLENZA: la violenza può essere fisica, psicologica, economica, ecc.
Parlare di conflitto in situazioni di violenza e di sopraffazione di una parte sull’altra denota la non conoscenza delle dinamiche relazionali, quando non la malafede.
Non parliamo, poi, se in quella famiglia ci sono stati abusi sessuali!
E hanno persino l’ardire, i professionisti di cui sopra, di sostenere che i bambini esposti a, o vittime essi stessi di, violenze o abusi sessuali non debbano manifestare il rifiuto di frequentare il genitore responsabile di comportamenti così esecrabili; perché sarebbe un rifiuto immotivato.
Non sfuggirà, nemmeno al più sprovveduto degli psicologi, che nella relazione conflittuale le due parti sono su un piano di parità relazionale mentre nelle relazioni basate sulla violenza il partner violento colloca se stesso sempre in una posizione di superiorità rispetto all’altro (posizione one-up secondo la terminologia sistemica). E questo lo si vede facilmente dalla svalutazione sistematica delle parole e delle azioni dell’altro, dalla denigrazione verso l’altro, dalla imposizione del proprio punto di vista sempre e comunque, anche ricorrendo a minacce di vario tipo.

Se oltre alla violenza psicologica, di cui sopra, c’è anche violenza fisica, allegata e descritta in maniera lineare e coerente da chi l’ha subita, quando non provata da referti medici, e violenza economica provata, quest’ultima, dal fatto stesso che una delle due parti non è disposta a farsi carico delle spese di mantenimento dei figli, il rifiuto, di questi ultimi di frequentare il genitore violento, è più che motivato.
Dice, ma non spetta al CTU accertare la violenza; certo che no, beata ingenuità. Sostenendo però che il rifiuto sia immotivato il CTU effettua comunque un accertamento, sia pure in negativo, della allegata violenza.

Mi spiego meglio: se l’accertamento di un fatto non mi compete io, in quanto CTU, su quel fatto non mi pronuncio affatto, né in positivo (“sì il rifiuto è motivato dalla violenza“) né in negativo (“no il rifiuto non è motivato dalla violenza“). Ma se io sostengo che il rifiuto è immotivato, per il fatto stesso di aver fatto un’affermazione del genere ho effettuato un accertamento in negativo della violenza o dell’abuso sessuale; sto negando cioè che il rifiuto è motivato dalla violenza o dall’abuso sessuale. Sto quindi contraddicendo la premessa dalla quale sono partito, e cioè che non compete a me l’accertamento della violenza.

Del resto cosa affermano nella su citata intervista? «In assenza di violenza e maltrattamenti …»; si sono quindi arrogate il diritto, pre-giudiziale, di giudicare che non c’è stata violenza pur quando dichiarata da una delle parti o dai bambini.

RIFIUTO: acclarato quindi che non compete al CTU, sia esso psicologo, psichiatra o neuropsichiatra infantile, accertare se tra le motivazioni del rifiuto dei figli di frequentare un genitore, ci sia la violenza di quel genitore sull’altro e sui figli stessi, e ciò, come già detto, né in positivo (“sì il rifiuto è motivato dalla violenza“) né in negativo (“no il rifiuto non è motivato dalla violenza“), non può il CTU da un lato sostenere che il rifiuto è immotivato ma poi affermare che è indotto, motivato dal presunto condizionamento dell’altro genitore sui figli.

È lapalissiano che se il rifiuto verso un genitore fosse davvero immotivato non potrebbe trovare come motivazione neanche il presunto condizionamento del minore da parte dell’altro genitore.

Dice, ma allora cosa deve fare il CTU in presenza del rifiuto? Premesso che la CTU è del tutto inutile in questi casi, così come inutili sono i test psicologici, a mio modesto parere il CTU deve limitarsi a segnalare al Giudice la presenza del rifiuto e l’eventuale allegazione di violenze o abusi sessuali quali possibili cause del rifiuto stesso. Dopodiché spetta all’autorità giudiziaria l’ulteriore accertamento, con gli strumenti istruttori propri del processo (testimonianze, registrazioni, documentazioni, ecc).

Nelle tante CTU che ho seguito, in presenza o leggendo tutti gli atti, sistematicamente i CTU ma anche i Servizi sociali svalutano la parole dei bambini, con affermazioni quali “forse ti sei sbagliato“, “forse hai frainteso“, ecc. Qui e qui un esempio di incontri cosiddetti protetti da parte dei Servizi sociali.

Non sfuggirà, al lettore attento, che la relazione che le istituzioni (CTU, Servizi sociali, curatori, tutori, gli stessi magistrati) stabiliscono con madri e bambini mostra una certa analogia con le relazioni basate sulla violenza (posizione one-up).
E proprio sul rifiuto è da registrare, ma queste psicologhe sono di memoria breve, l’illuminato parere di illustri giuristi che sul rifiuto si sono così espressi:

«Accreditati studi scientifici frutto di ricerche di psicobiologia nel campo delle neuroscienze affettive insegnano che quando un bambino si sente a disagio con un genitore ed evita la frequentazione con lo stesso, nella quasi totalità dei casi lo fa perché ha paura e la paura – un’emozione primaria, istintiva, non condizionata – è in genere provocata dal comportamento violento (fisico o anche solo verbale) del genitore rifiutato, se non addirittura da abusi sessuali o atteggiamenti che mettono il minore a disagio».

I giuristi conoscono gli studi scientifici di psicobiologia nel campo delle neuroscienze affettive, queste psicologhe non ne hanno, evidentemente, mai sentito parlare.
E passiamo così al terzo paragrafo.

COMPORTAMENTO:
Il rifiuto, verso una situazione, una persona, un ambiente è un comportamento; cos’è il comportamento?
La Treccani online lo definisce come «Il complesso coerente di atteggiamenti assunti in reazione a determinati stimoli».
Il comportamento è l’«Insieme stabile di azioni e reazioni di un organismo a una stimolazione proveniente dall’ambiente esterno (stimolo) o dall’interno dell’organismo stesso (motivazione)»; così Umberto Galimberti nella sua Enciclopedia di psicologia.
E Virgilio Lazzeroni nell’Enciclopedia Medica Italiana: «Considerato dal behaviorism come “un insieme di reazioni adattive obiettivamente osservabili che un organismo, generalmente provvisto di sistema nervoso, compie in risposta a stimoli del pari osservabili che provengono dall’ambiente in cui vive” (Tilquin, 1948), il comportamento è oggi inteso quale una funzione dell’organismo manifestantesi nelle diverse specie, indipendentemente dalla complessità del sistema nervoso, come una risposta (R) che adatta l’organismo stesso al variare delle condizioni interne ed esterne originanti lo stimolo (S)».

Il comportamento, anche quello di rifiuto, è sempre una risposta dell’organismo a uno stimolo; quindi è sempre motivato.

Credo di non avere altro da aggiungere.

Se si vuole ottenere una diversa risposta (R) occorre modificare lo stimolo (S) che ha provocato quella risposta. Ciò che deve modificarsi, quindi, non è il comportamento di rifiuto del bambino (R) ma il comportamento violento o abusante del genitore (S) che ha causato il comportamento di rifiuto. Se ne deduce che è del tutto inutile rinchiudere il bambino in una comunità per minori, per “fargli cambiare idea” sul genitore violento o abusante; è solo una tortura psicologica. È il genitore rifiutato che deve modificare il suo comportamento verso il figlio se vuole ottenere la cessazione del rifiuto.

LA CASISTICA
Nell’articolo di cui in apertura vengono citate alcune percentuali di una casistica delle autrici del libro; riporto di seguito alcuni dati di una mia casistica personale.
I casi di separazioni da me seguiti sono 107; i minori coinvolti sono 137, 76 maschietti (55,47%) e 61 femminucce (44,53%).
Il genitore rifiutato è il padre dal 97,8% dei bambini (133), la madre dal rimanente 2,92% dei bambini (4); in nessun caso ho osservato quello che le autrici del libro chiamano rifiuto ‘incrociato’ (un figlio rifiuta il padre e un altro la madre, nella stessa famiglia).
Da sottolineare che tra i minori che rifiutavano il padre sono ricompresi anche tre bambini uccisi dal padre, uno durante un cosiddetto incontro protetto e altri due mentre pernottavano dal padre.
Il motivo del rifiuto è la violenza per 107 bambini (78,10%), l’abuso sessuale per 12 bambini (8,76%) e la trascuratezza o il disinteresse per 59 bambini (43,07%); molto spesso la trascuratezza o il disinteresse sono associati alla violenza o all’abuso sessuale, solo per 14 bambini il rifiuto è stato causato dalla sola trascuratezza o disinteresse del genitore (es. mancato ricordo delle ricorrenze, onomastico, compleanno, ecc, non seguirli nel percorso di studi o negli svaghi, ecc).
In nessuno dei casi da me esaminati ho osservato un rifiuto immotivato.