Un terzo parere

Di seguito un parere tecnico richiestomi dall’avvocata della madre per confutare una relazione di parte redatta da una nota psicologa, assidua frequentatrice di salotti televisivi e grande sostenitrice della PAS.

La D.ssa … dà atto di aver scritto la propria relazione solo sulla base della narrazione che il sig. .. le ha reso circa la sua vicenda (priva quindi di un minimo di oggettività) ed estrapolando alcuni paragrafi dalla CTU della D.ssa … che utilizza per costruire il “castello in aria” (1) conclusivo della presunta “sindrome di alienazione genitoriale” (più brevemente PAS) dalla quale, a giudizio della D.ssa …, sarebbero affetti il bambino e la madre; convinzione espressa, prudentemente, dalla D.ssa … a livello di mera ipotesi, ma in Tribunale si devono portare certezze, sia pur relative come tutte le certezze scientifiche, e non mere ipotesi, peraltro già sconfessate dalla letteratura scientifica psichiatrica.

La relazione della D.ssa … è viziata da numerosi errori sia metodologici sia sostanziali; difatti:

1) La D.ssa …, a pag. 13, formula al minore la diagnosi di un “Disturbo d’Ansia Reattivo”; la D.ssa … non conosce il minore né lo ha mai sottoposto a visita. È metodologicamente errato, oltre che deontologicamente scorretto, esprimere una valutazione diagnostica senza la conoscenza professionale diretta del soggetto, in particolare quando trattasi di minori (2).

2) Nella suddetta relazione viene espressa una stridente contraddizione, sempre a pag. 13, tra l’affermazione fatta nelle prime righe – “… PAS, disfunzione ad intensa connotazione psicopatologica …” (righi 6 e 7) – e quella nelle righe successive – “… PAS … si fonda … su psicodinamica … a tinteggiatura nevrotica di tipo isteriforme … ma di per sé non rappresenta quadro psicopatologico …” (righi 22 e 23).

3) Nello stesso paragrafo di pag. 13 la D.ssa … esprime un concetto illogico laddove afferma, riferendosi alla già citata PAS, che essa “di per sé non rappresenta quadro psicopatologico accreditato in nosografia” (rigo 23). È lapalissiano che una entità non accreditata in nosografia, nello specifico quella psichiatrica, non può rappresentare un quadro psicopatologico. La nosografia, difatti, è lo studio descrittivo delle malattie; nel campo psichiatrico è lo studio delle entità psicopatologiche. Ciò che è di rilievo psicopatologico viene ricompreso nelle classificazioni nosografiche; tutto ciò che non è compreso nelle classificazioni nosografiche non è, evidentemente, di rilievo psicopatologico.

4) Un primo rilievo sostanziale alla relazione della D.ssa … concerne l’ormai abusato, e usato a sproposito, concetto di amnesia infantile. Per amnesia infantile s’intende la difficoltà di ricordare da adulti episodi della prima e primissima infanzia; questo concetto risale a Sigmund Freud che lo osservò nei pazienti adulti da lui sottoposti a terapia psicanalitica (3). Si tratta quindi di un concetto che va riferito e circoscritto ai soli adulti mentre qui stiamo parlando dei ricordi di un bambino; per tale motivo è fuori luogo parlare di amnesia infantile in questo contesto.

Del resto è lo stesso lavoro citato dalla D.ssa … a sostegno della sua tesi sull’amnesia infantile che la smentisce; a pag. 11 infatti la D.ssa … riporta un grafico (“Figura 1”) con etichette ai due assi cartesiani in inglese ma con didascalia in italiano; nella didascalia si legge:

«Numero degli eventi autobiografici ricordati nei primi 10 anni di vita, tratto da “Distribution of Important and Word-Cued Autobiographical Memories in 20-, 35-, and 70-Year-Old Adults” by D.C. Rubin and M.D. Schulkind, 1997, Psychology and Ag-ing. In ascissa è posta l’età dei soggetti e in ordinata il numero di eventi ricordati alle varie età. Come si vede il numero di eventi ricordati aumenta moltissimo dopo i quattro anni per poi stabilizzarsi dopo i dieci anni» (4).

Poiché vi è una stridente contraddizione tra il titolo dell’articolo citato, dal quale si evince che lo studio è stato condotto su soggetti adulti dell’età rispettivamente di 20, 35 e 73 anni di età, e il commento al grafico secondo il quale l’età dei soggetti esaminati andrebbe da 0 a 10 anni di età, lo scrivente ha consultato l’articolo originale (5). Ebbene il grafico dell’articolo originale è il seguente:

Come si vede, la didascalia originale è nettamente diversa da quella italiana; gli autori hanno rappresentato con una scala logaritmica la distribuzione dei ricordi nella prima decade di vita dei soggetti studiati, e cioè di adulti rispettivamente di 20, 35 e 70 anni di età; in questo studio non sono stati inseriti minori ma solo soggetti adulti, pertanto le considerazioni riportate dalla D.ssa … sono fuori luogo e il grafico da lei riportato è una grossolana contraffazione dell’originale.

Il richiamo al concetto di amnesia infantile, nel caso in discussione, è anche inopportuno per un altro ordine di ragioni; nel caso di YYY non abbiamo a che fare con un bambino che non ricorda alcune cose (ché in tale caso sarebbe anche potuto essere appropriato dire che non ricorda certe cose per via dell’amnesia infantile) ma di un bambino che riferisce dei ricordi. A prescindere dalla veridicità o meno di questi ricordi, non è per niente sostenibile la tesi che il bambino ha certi ricordi per via dell’amnesia infantile. Se c’è ricordo non c’è amnesia, se c’è amnesia non ci può essere ricordo! A questa logica non si sfugge; non si può affermare che c’è un particolare tipo di ricordo perché c’è amnesia per lo stesso ricordo. O l’uno o l’altra; e se il soggetto ha dei ricordi circa un determinato episodio vuol dire che non ha amnesia per lo stesso episodio.

Nel caso di eventi traumatici, o comunque a valenza traumatizzante, il ricordo permane, ed è indelebile, sin dalla primissima infanzia; si riporta uno per tutti il lavoro di Gaensbauer (6) che dimostra la presenza di ricordi di fatti a valenza traumatizzante anche in bambini di pochi mesi. L’autore cita il caso di una bambina che aveva subito abusi sessuali all’età di sei mesi e che poco prima dei tre anni di età ha ricostruito esattamente l’abuso subito (7).

Né è possibile che venga creato, o indotto, il falso ricordo di un evento traumatizzante.

Petruccelli e coll. (8) s’interrogano su quale tipo di falso ricordo possa essere indotto; citano l’esperimento di psicologi americani, Kathy Pezdek e coll. (9), del racconto fatto ad adolescenti di falsi eventi della loro infanzia, quali l’essersi persi in un centro commerciale e l’aver subito un clistere da piccoli. Lo studio concluse che appena il 15% dei ragazzi sottoposti all’esperimento dell’induzione del falso ricordo ammise di essersi perso in un centro commerciale nell’infanzia ma nessuno ammise di aver subito un clistere da piccolo. L’elemento discriminante, concludono gli autori, sembra essere la plausibilità dell’evento che si vuole inculcare come falso ricordo.

La D.ssa … è in errore quando scrive (pag. 11) che “non può essere credibile che YYY possa minimamente ricordarsi a cinque anni degli eventi presumibilmente avvenuti quando lo stesso aveva solo un anno”. In primo luogo, come emerge dalla lettura degli atti, YYY all’età di 4-5 anni riferiva eventi traumatici di cui era stato vittima quando aveva 2-3 anni. In secondo luogo la letteratura sulle memorie precoci è concorde, come surriferito, nel ritenere che il ricordo di eventi traumatici sia molto precoce e resti indelebile nella mente, né è possibile indurre il falso ricordo di un evento traumatico. L’affermazione categorica della D.ssa … è pertanto inammissibile.

5) Un secondo rilievo sostanziale alla relazione della D.ssa … concerne, come dire, proprio il core della stessa, vale a dire il concetto di PAS, o sindrome di alienazione genitoriale. Come ben noto agli operatori del diritto, nel 2013 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sull’utilizzo in ambito giudiziario di concetti scientifici, con la sentenza del 20 marzo 2013 n° 7041, affermando, in riferimento proprio alla PAS:

Di certo non può ritenersi che, soprattutto in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare”.

Il mondo scientifico medico-psichiatrico internazionale e nazionale ha sempre rigettato questo concetto sin dalla sua formulazione perché non basato su studi accurati ma solo sul parere del suo ideatore, il Dr Richard Alan Gardner (10), e dei suoi epigoni; parere non sostenuto da studi scientifici pubblicati in riviste di rilievo internazionale, come è consuetudine nella ricerca medica, ma solo dalle affermazioni di Gardner a carattere fideistico; nel corso delle sue conferenze, infatti, era solito rivolgersi all’uditorio con l’espressione: “Miei fedeli” (11).

Il prof. Paul Fink, recentemente scomparso, già Presidente dell’Associazione Psichiatrica Americana e uno dei coordinatori della terza edizione della classificazione americana dei disturbi mentali (DSM-III-R), definì sbrigativamente la teoria della PAS come “scienza spazzatura” (junk science).

Di recente in Italia, nell’ottobre del 2012, si è espresso sulla questione il Ministro della Salute per voce del Sottosegretario alla Salute di allora, il prof. Adelfio Elio Cardinale, già Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità e illustre studioso di chiara fama internazionale, affermando categoricamente che (12):

Sebbene la PAS sia stata denominata arbitrariamente dai suoi proponenti con il termine «disturbo», in linea con la comunità scientifica internazionale, l’Istituto superiore di sanità non ritiene che tale costrutto abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici”.

Reiterare questo concetto dopo queste autorevoli pronunce (Ministro per la Salute e Suprema Corte di Cassazione) che lo hanno rigettato perché non scientifico, è indice di scarso aggiornamento scientifico e costituisce precisa violazione del Codice deontologico (58).

Questa inesistente condizione è stata sconfessata sin dalla sua nascita dalla comunità scientifica internazionale, mai ricompresa nelle due classificazioni internazionali delle malattie (l’ICD dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e il DSM dell’Associazione Psichiatrica Americana), inesistente nei testi e trattati di psichiatria, definita come “pericolosa per i minori e per la stessa Giustizia penale” dal NDAA (National District Attorney Association), Associazione Nazionale degli Avvocati Americani, come affermato in un articolo pubblicato dalla rivista ufficiale della APRI (American Prosecutors Research Institute), Istituto di Ricerca dei Procuratori Americani (13); si tratta di un inganno retorico inventato negli USA verso la metà degli anni ’80 da un medico, morto suicida accoltellandosi con un grosso coltello da macellaio dopo essersi imbottito di droga (14), e che venne definito dai media statunitensi come un “autentico mostro americano” (necrologio di Gardner sul The Independent del 31 maggio 2003 – 15) che torna periodicamente a galla in alcune vicende separative, tirato in ballo da una delle parti per tentare di volgere a proprio favore l’esito del processo.

6) A pag. 14 la D.ssa … arriva addirittura a prevedere che “… YYY sviluppi, in età post-adolescenziale, possibile quadro psicopatologico attinente a grave Disturbo di Personalità, o a Disturbo Dissociativo di tipo disaffettivo, ovvero a Psiconevrosi depressiva”.

Anche qui lo scrivente deve rilevare che le affermazioni della D.ssa … non trovano riscontro nella trattatistica psichiatrica corrente; difatti:

a) I disturbi di personalità sono trattati dal DSM-5 (16) da pag 747 a pag 793; orbene, per nessun tipo di disturbo di personalità viene indicato come fattore di rischio la cosiddetta PAS.

b) I disturbi dissociativi sono trattati da pag 337 a pag 356 del manuale, e tra essi lo scrivente non ha trovato il tipo disaffettivo, e comunque la PAS non è nominata tra i possibili fattori di rischio per un disturbo dissociativo.

c) Il concetto di psiconevrosi depressiva è alquanto obsoleto, non è utilizzato modernamente in psichiatria, e anche qui, nel capitolo dei disturbi dell’umore, da pag 143 a pag 216 del manuale, non si ritrova la PAS tra i possibili fattori di rischio.

Orbene, se 36.000 psichiatri nel mondo intero (a tanto ammonta il numero di psichiatri che hanno messo a punto il DSM-5) sono concordi nel ritenere, sulla base degli studi condotti, che tra le cause dei disturbi citati non rientra la cosiddetta PAS, possiamo dare credito al parere personale, per quanto rispettabile, di una psicologa che non cita nemmeno un lavoro a sostegno delle sue affermazioni?

In conclusione, si dissente totalmente dalle affermazioni della D.ssa … così come si dissente dalle sue conclusioni.

Non ha senso alcuno la proposta di sottoporre il minore a una nuova CTU; una nuova CTU sarebbe destabilizzante, fonte di ulteriore sofferenza per un bambino che è stato già periziato in sede civile dalla dott.ssa …, in sede penale dal dott. … e dalla dott.ssa …, poi soggetto a una psicoterapia su indicazione dei Servizi Sociali di …, nel periodo compreso tra … … e l’… …, condotta dalla D.ssa ….

Così come aberrante pare allo scrivente la proposta della controparte di allontanare il minore dalla madre; la madre, lo si deduce dalla lettura degli atti, rappresenta per YYY un riferimento affettivo importante, è la sua figura di attaccamento primario, capace di rassicurarlo e alleviare le sue ansie. Sicuramente è importante per il minore recuperare il rapporto con il padre, ma questo deve avvenire in maniera spontanea e genuina, senza forzature, rispettando i suoi tempi, i suoi timori, le sue paure. Bisogna dare a YYY il tempo che gli è necessario per elaborare il trauma e recuperare nel suo intimo il rapporto con la figura paterna; solo a quel punto sarà pronto a relazionarsi col padre. Un padre che vuole davvero bene a suo figlio sa aspettare i tempi giusti.

NOTE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

  1. La definizione della PAS come “castello in aria” non è dello scrivente ma è un concetto espresso sin dal lontano 2010 dalla Associazione Spagnola di Neuropsichiatria (AEN – Associación Española de Neuropsiquiatria), la massima Società scientifica spagnola di Psichiatri e Neuropsichiatri, in una dichiarazione contro l’uso clinico e legale della cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale. Il documento è reperibile all’indirizzo internet: http://www.aen.es/docs/Pronunciamiento_SAP.pdf; Attualmente al link: http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/aen_sap.pdf
  2. Art. 8 delle Linee guida deontologiche per la psicologia forense: Lo psicologo forense esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su documentazione adeguata e attendibile. Nei procedimenti che coinvolgono un minore è da considerare deontologicamente scorretto esprimere un parere sul bambino senza averlo esaminato. https://bit.ly/2QgX0Ul
  3. Freud S (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale, in La vita sessuale, pag. 73. Universale Scientifica Boringhieri, Torino, 1970.
  4. L’immagine, con la medesima didascalia è stata prelevata da questo sito: http://testimonianzaminori.psy.unipd.it/07.html
  5. https://bit.ly/3xeYv62
  6. Gaensbauer TJ (2002), Representations of trauma in infancy: clinical and theoretical implications for the understanding of early memory. Infant Mental Health Journal, Vol. 23(3), 259–277. Nell’abstract l’Autore scrive: “The clinical data, reinforced by research findings, indicate that preverbal children, even in the first year of life, can establish and retain some form of internal representation of a traumatic event over significant periods of time”. Online al link:https://bit.ly/3tHwrWA
  7. Terr (1988) described a child sexually abused before six months of age who, at just under three years of age, carried out a variety of sexual enactments with dolls, including vaginal penetration, that were consistent with pornographic photos taken in the course of her sexual abuse. In Gaensbauer, già cit.
  8. Petruccelli F, Verrastro V, Santilli M (2007), Memoria e suggestionabilità nell’età evolutiva. Franco Angeli.
  9. Pezdek K, Finger K, Hodge D (1997), Planting false childhood memories: The role of event plausibility. Psychological Science, 8, 437-441. https://bit.ly/3nayPmc
  10. Il Dr Gardner, contrariamente alla vulgata corrente che lo vorrebbe, alternativamente, psicologo o psichiatra o neuropsichiatra infantile o psicologo-psichiatra forense, era un medico statunitense che ha svolto la sua professione come consulente nelle cause di separazione e divorzi; un breve profilo biografico, mi si perdoni l’autocitazione, è tracciato qui: http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/gardner.pdf
  11. Vaccaro S, Barea Payeta C (2011) La presunta sindrome di alienazione genitoriale: uno strumento che perpetua la violenza e il maltrattamento. EdIt, Firenze. Online all’indirizzo:https://bit.ly/2QODVZk
  12. https://bit.ly/3gBGCbx
  13. Codice deontologico degli psicologi, art. 5: “Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera”.
  14. Rivera Ragland E & Fields H (2003), Parental Alienation Syndrome: What Professionals Need to Know – Part 2 of 2. Update – Volume 16, Number 6. Scrivono nelle conclusioni: “PAS is an unproven theory that can threaten the integrity of the criminal justice system and the safety of abused children”. Online all’indirizzo: http://www.ndaa.org/ncpca_update_v16_no7.html
  15. Circostanze risultanti dal referto autoptico: https://bit.ly/3xiiS23
  16. https://bit.ly/3sR5dfb
  17. American Psychiatric Association (2014), Manuale diagnostico e statistico del disturbi mentali, quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano.

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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