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NON È UNA PATOLOGIA

  Il riferimento è alla cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale (PAS) ribattezzata alienazione parentale in seguito alla dichiarazione del Ministro della Salute e alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione; sulla stessa linea si pronunciò il Tribunale di Milano non ammettendo una CTU basata sulla PAS. Di recente, sempre il Tribunale di Milano si è pronunciando in un’altra vicenda affermando che il comportamento, cosiddetto, alienante della madre non è una patologia ma è un comportamento illecito.

Dopo tutte queste autorevoli pronunce, sia di parte medica sia di parte giuridica, dovrebbe essere chiaro a tutti, psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili, che la cosiddetta alienazione parentale non è una patologia.

Chiarito questo concetto fondamentale vediamo di chiarire alcune altre cose.

Una prima cosa che non si comprende è perché si continuino a disporre CTU nei casi di rifiuto del minore visto che quello che si tratta di accertare non è una eventuale patologia ma solo un comportamento illecito; una CTU psicologica o psichiatrica è comprensibile qualora ci sia la necessità, ai fini della decisione giudiziaria, di accertare eventuali patologie di cui siano portatrici le parti. È il caso, per esempio, della valutazione della capacità civile che può essere inficiata da una infermità psichica, o della valutazione di una invalidità lavorativa, del danno biologico risarcibile, o, nel penale, di accertare una infermità che riduca l’imputabilità.

In tutti questi casi la CTU, o perizia, ha un senso per fornire al Giudice l’ausilio di cognizioni tecniche che non possiede; è così nei casi di patologie da accertare. Ma se si tratta solo di accertare dei comportamenti illeciti? Qual è l’utilità del CTU? Cosa può dire un CTU in merito a comportamenti illeciti? A meno che non sia specializzato in “illecitologia”, mi si consenta il neologismo. Ma questa specializzazione non fa parte degli ordinamenti accademici attuali né è oggetto di insegnamento nelle facoltà mediche e psicologiche.

Parlando di comportamento illecito siamo quindi in un ambito squisitamente giuridico.

Ma a questo punto s’impongono una serie di punti fermi dai quali non si può debordare, pena la commissione di altri e più gravi illeciti.

Il primo di questi punti è il seguente: il fatto che si osserva in alcune separazioni, impropriamente definite conflittuali, è il rifiuto del minore verso la relazione con un genitore (di solito il padre); dico impropriamente definite conflittuali perché queste sono separazioni che fanno seguito a presunta violenza in famiglia o a presunti abusi sessuali sul minore.

Entrambe queste due ultime situazioni ricadono nell’ambito di applicabilità della Convenzione di Istanbul, art. 26 e soprattutto art. 31 per il quale al momento di stabilire l’affidamento dei minori si devono tenere nel debito conto gli episodi di violenza che si sono verificati in costanza di matrimonio e dopo la separazione coniugale. Tenere nel debito conto significa che il genitore violento, sia come coniuge o ex-coniuge sia come genitore, non è un buon genitore.

In alcune di queste separazioni si osserva quindi il rifiuto del minore verso un genitore; questo è il fatto. Questo fatto trova la sua spiegazione nel comportamento illecito dell’altro genitore (alienazione parentale, condizionamento del minore, o altro) o può essere altrimenti spiegato?

In una nota sentenza, che rappresenta un vero trattato di logica, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce che un evento (il fatto) “può trovare la sua causa alternativamente in diversi fattori” (Cass. Pen., n. 43786/2010).

È quindi sbagliato, sul piano logico, affermare che il rifiuto del minore verso trova la sua causa solo ed esclusivamente nel comportamento illecito dell’altro genitore. Non prendo nemmeno in esame l’ipotesi di alcuni che parlano di rifiuto immotivato perché ipotesi del tutto insensata.

Di fronte al fatto-rifiuto deve quindi darsi luogo a un’indagine causale che, per citare ancora la Cassazione deve necessariamente essere “quella della pluralità delle cause”.

Il secondo punto attiene alla teoria dell’attaccamento, di Bowlby.

Secondo la teoria dell’attaccamento, sinora non confutata, il bambino possiede una predisposizione biologica a sviluppare un legame di attaccamento nei confronti di chi si prende cura di lui. L’organizzazione del sistema dell’attaccamento comincia nelle fasi precoci della vita e raggiunge la sua piena maturazione al termine del primo anno di vita. La figura principale di attaccamento è la madre seguita poi dal padre e da altre persone che ruotano intorno alla vita del bambino.

Il bambino ha la predisposizione biologica a stabilire legami di attaccamento con gli adulti che gli danno sicurezza; ma se il comportamento dell’adulto verso il bambino è ambivalente, il legame di attaccamento ne risentirà.

La maggior parte degli studi sull’attaccamento riguardano il legame madre-bambino ma è indubbio che un comportamento poco consono del padre avrà delle ripercussioni negative sul legame di attaccamento dei figli, che può giungere anche al rifiuto della relazione.

Ecco, su questo dovrebbero impegnarsi gli psicologi invece di andare alla ricerca di malattie inesistenti.

Il terzo punto è quello che riguarda la sostanza del presunto condizionamento del minore, altrimenti detto alienazione parentale; dovrebbe essere ormai acclarato che non si tratta di una malattia, di una patologia. Assodato questo, vediamo di capirci qualcosa di più.

La Corte Costituzionale nella storica sentenza che portò all’abrogazione del reato di plagio così si espresse: “La formulazione letterale dell’art. 603 prevede pertanto un’ipotesi non verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato non essendo né individuabili né accertabili le attività che potrebbero concretamente esplicarsi per ridurre una persona in totale stato di soggezione, né come sarebbe oggettivamente qualificabile questo stato, la cui totalità, legislativamente dichiarata, non è mai stata giudizialmente accertata. Presupponendo la natura psichica dell’azione plagiante è chiaro che questa, per raggiungere l’effetto di porre la vittima in stato di totale soggezione, dovrebbe essere esercitata da persona che possiede una vigoria psichica capace di compiere un siffatto risultato. Non esistono però elementi o modalità per potere accertare queste particolari ed eccezionali qualità né è possibile ricorrere ad accertamenti di cui all’art. 314 c.p.p. (oggi art. 220 cpp) non essendo ammesse nel nostro ordinamento perizie sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l’asservimento totale di una persona” (Corte Cost., sentenza n. 96/1981).

Per chi sa leggere, i concetti sono abbastanza chiari.

Nel commentare questa sentenza il Prof. Giovanni Flora, Docente di Diritto penale, esaminando la cosiddetta azione plagiante ha scritto: “Specificando ulteriormente, questa non potrà che assumere veste di continuità ed essere dolosamente indirizzata a determinare un vero e proprio stato di isolamento dagli altri del soggetto passivo con impedimento ad attingere a fonti diverse da quelle imposte dallo stesso soggetto attivo e con deterioramento della capacità di autodeterminazione”.

I bambini che sarebbero alienati dalle madri sino al punto di rifiutare la relazione con il padre sono bambini isolati dai coetanei, dal contesto di vita scolastico, ludico, ecc? O sono bambini socievoli, con ottimo inserimento scolastico ed extra-scolastico, e come tali non condizionabili, non manipolabili, non alienabili?

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LA SINDROME DI MÜNCHAUSEN PER PROCURA – Aggiornamento

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Di questa condizione me ne sono già occupato1; di recente è stata trattata dal Prof. Ugo Fornari2 e di essa c’è anche l’aggiornamento del DSM-53.

Cominciamo da quest’ultimo.

Il capitolo è quello del “Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati” (pag 357), paragrafo del “Disturbo fittizio” (pag. 375).

Non è più chiamata sindrome di Münchausen per procura ma Disturbo fittizio provocato ad altri (precedentemente disturbo fittizio per procura); la denominazione ufficiale è quindi quest’ultima e non più quella di sindrome di Münchausen per procura. I criteri diagnostici sono i seguenti:

A. Falsificazione di segni o sintomi fisici o psicologici, o induzione di un infortunio o di una malattia in un altro individuo, associato a un inganno accertato.

B. L’individuo presenta un’altra persona (vittima) agli altri come malata, menomata o ferita.

C. Il comportamento ingannevole è palese anche in assenza di evidenti vantaggi.

D. Il comportamento non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, come il disturbo delirante o un altro disturbo psicotico.

Il DSM aggiunge che la prevalenza del disturbo è di circa l’1% in ambito ospedaliero, l’esordio avviene nella prima età adulta (e non dopo la separazione coniugale) spesso dopo il ricovero di un figlio, e come esempi riporta la presenza di falsi sintomi neurologici, la contraffazione di un test di laboratorio, la falsificazione di cartelle cliniche, l’ingestione di sostanze per simulare una malattia (insulina, warfarin), ecc.

Se stiamo alla lettera dei criteri diagnostici, chi nelle separazioni presenta i figli come malati di un disturbo fittizio, la cosiddetta alienazione parentale, non sono le madri ma i padri, ma sorvoliamo.

Vediamo cosa aggiunge il prof. Fornari.

Questa condizione viene trattata a pag 673 del testo citato, e risulta “caratterizzata da patologie multiple (ipoevolutismo somatico, dismorfismi di varia natura, manifestazioni ematiche, respiratoria, gastrointestinali, otorinolaringoiatriche, disfunzioni a carico di vari organi e apparati) denunciate come presenti nella storia clinica del bambino, da una sintomatologia persistente o ricorrente (sepsi, diarree, febbri, crisi epilettiche, esami di laboratorio artatamente alterati, ecc.) raccontata dalla madre (più frequentemente) o dal padre e da un conseguente accanimento terapeutico, che non trova giustificazione clinica alcuna”.

Di solito” prosegue il Prof. Fornari, “il bambino, che è accompagnato da diversi medici con frequenza eccessiva e immotivata e con richieste prescrittive e angoscianti da parte di un genitore erroneamente convinto che il proprio figlio sia malato, collude con il genitore e simula la malattia, i cui sintomi scompaiono quando il bambino è separato dal genitore che ‘fabbrica’ e ‘manipola’ la sua condizione di malattia”.

Cosa accade nelle separazioni cosiddette conflittuali4?

Il bambino, o la bambina, presenta dei comportamenti sessualizzati precoci, oppure confida alla madre di essere stato/a oggetto di attenzioni particolari da parte del padre.

La madre, preoccupata da tutto ciò, fa vedere il figlio, o la figlia, da uno psicologo o da un ginecologo per essere rassicurata su quanto ha osservato o le è stato rivelato.

A questo punto, da parte dei consulenti del padre, viene fatta la diagnosi di sindrome di Münchausen per procura con l’obiettivo di screditare il comportamento della madre, dimostrare che si tratta di un genitore patologico, inaffidabile. Naturalmente, quanto più vere sono le accuse dei figli tanto maggiore sarà l’accanimento del padre e dei suoi consulenti per screditare le accuse di abusi sessuali.

Il Prof. Fornari conclude scrivendo che “La storia clinica del minore è quindi il principale documento di cui deve entrare in possesso il consulente, prima di procedere nelle sue indagini e di formulare giudizi tanto pesanti quanto errati definendo come maltrattanti e patologici, e quindi non idonei nelle loro funzioni, certi genitori che tali non sono”.

Come procedono invece certi consulenti?

Avendo come unico obiettivo quello di difendere il padre pedofilo (cosa per la quale si fanno pagare a peso d’oro) devono in ogni modo screditare la testimonianza del minore; per cui, senza mai sottoporre a visita madre e bambino, senza conoscere la storia clinica, si lanciano in ardite ricostruzioni diagnostiche virtuali che incantano gli operatori del Diritto, soprattutto quando sostenute da una marea di titoli ostentati nella loro carta intestata, che occupano mezza pagina.

Di seguito un esempio emblematico.

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In questa vicenda, che risale a qualche anno fa, c’era già stata una CTU che aveva escluso la presenza della PAS. Poiché occorreva screditare la testimonianza del minore il padre si rivolse a un consulente che senza visitare né la madre né il minore, si lanciò in questa e altre ardite diagnosi virtuali, per cui alla fine la madre si trovò appioppate oltre questa diagnosi anche quella di madre malevola5 e di genitore alienante, e il minore quella di PAS e di essere uno smemorato (cosiddetta amnesia infantile6).

2Fornari U (2015), Trattato di Psichiatria Forense. UTET Giuridica, Milano.

3APA (2014), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore.

4Come già detto e scritto più volte, vengono spacciate per conflittuali quelle separazioni coniugali che fanno seguito a violenza in famiglia o abusi sessuali incestuosi sui bambini.

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OSSERVAZIONI CRITICHE in merito al paragrafo “La sindrome da alienazione parentale” del Trattato di Psichiatria Forense di Ugo Fornari

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Il paragrafo citato è ricompreso nel capitolo “Accertamenti psicologici e psichiatrici nella minore età”; purtroppo ogni volta che ci si approccia alla teoria della PAS non è difficile cadere nella disinformazione data la grande mole di notizie esistenti non sempre di certa obiettività scientifica. Informazione non veritiera cui non fa eccezione lo scritto in oggetto.

La prima informazione non veritiera è la seguente: «La PAS … proposta dallo psichiatra statunitense Richard A. Gardner».

Ebbene, Gardner non era psichiatra, lui stesso nelle sue note biografiche non ne fa cenno1; non si è specializzato né in pschiatria, né in psichiatria infantile né in medicina legale.

Di Gardner viene citato l’articolo del 1985 ma si omette di precisare che tale articolo comparve su una rivista di opinioni, l’Academy Forum della AAPDP2, e non su una rivista scientifica.

Già da questi elementi preliminari si comprende che tale teoria è solo l’opinione personale di un medico senz’arte né parte, che non meriterebbe nemmeno la citazione in un trattato di psichiatria forense.

Seconda informazione che si presta a fraintendimenti: «Si tratta di una patologia relazionale …»; il concetto di patologia relazionale è fuorviante. Patologia rimanda a malattia, sofferenza; possono ammalarsi le persone ma non le relazioni. Le relazioni possono essere disfunzionali ma non patologiche. L’espressione è giornalistica più che medica, ed è comunque imprecisa.

L’autore riporta che Gardner affermava che in presenza di reali abusi la nozione di PAS non è applicabile, ma omette di segnalare l’illogicità del pensiero di Gardner laddove egli considera come primo ‘sintomo’ della PAS proprio le denunce di abusi sessuali (campagna di denigrazione); a questo punto, per Gardner, le denunce di abusi sessuali sono, allo stesso tempo, criterio di esclusione della PAS ma anche primo sintomo della PAS. L’illogicità è evidente.

Ma ancora più illogica è un’altra affermazione di Gardner, e cioè che, secondo lui, la maggior parte delle denunce di abusi sessuali sono vere ma se fatte nel corso della separazione sono false3.

L’autore riporta, e non poteva essere diversamente, i famigerati otto sintomi della PAS; omette però di precisare che quelle otto descrizioni non sono affatto sintomi; sintomo in medicina, e per analogia in psichiatria, è ciò che il paziente riferisce al medico, sintomo è ciò che fa star male una persona e la porta a recarsi da un medico per dirgli cosa lo fa star male. Non è che il medico incontrando una persona per strada gli possa dire che ha dei sintomi; il medico non può sapere quali sintomi ha la persona che ha di fronte fino a quando non è la stessa persona a parlargliene. Il medico può cogliere alcuni segni di una malattia o di una sindrome, ma non i sintomi. E facciamo le solite precisazioni, che però l’autore conosce bene.

Sintomo è, in medicina come in psichiatria, un qualcosa che provoca sofferenza soggettiva, che fa star male (es. non dormire la notte, sentirsi spossato, sempre stanco, sentire delle voci inesistenti, ecc).

Segno è ciò che il medico rileva oggettivamente durante la visita medica o, in psichiatria, il colloquio clinico.

Sindrome è, in medicina, «un gruppo di sintomi segni e dati di alterata morfologia e/o funzione, correlati da peculiarità anatomiche, fisiologiche, biochimiche4»; in psichiatria parliamo di sindromi, anche se il termine non è proprio corretto, per indicare condizioni di ansia o di depressione (sindrome ansiosa, sindrome depressiva, sindrome ansioso-depressiva) che andrebbero meglio qualificate, magari come disturbi dell’adattamento, ecc. Ma c’è sempre una persona che riporta al medico dei sintomi che gli causano disagio psichico.

I sintomi dei disturbi mentali sono stati codificati magistralmente da Karl Jaspers nel suo testo, Psicopatologia generale; nessuno dei cosiddetti sintomi indicati da Gardner si ritrova nel testo di Jaspers. Anzi, è il contrario: per Gardner è sintomo di disturbo mentale la mancanza di ambivalenza mentre per Jaspers è sintomo la presenza di ambivalenza (es. schizofrenia); e, ancora, per Gardner è sintomo l’assenza di senso di colpa mentre per Jaspers è sintomo di psicopatologia la presenza di senso di colpa (es. grave depressione).

Ma ciò che non viene evidenziato nel paragrafo citato è che le otto descrizioni di Gardner non sono affatto sintomi, né segni di una sindrome, non fanno parte della semeiologia medica o psichiatrica. Si tratta di pure invenzioni di Gardner che non trovano riscontro nella letteratura medica o psichiatrica.

A pag. 676 si legge: «È superfluo segnalare il danno psicologico … che questa sindrome può causare nel bambino». Quale danno di grazia?

Conosco personalmente alcuni bambini ai quali fu diagnosticata la PAS; tutelati e protetti dalle loro madri, sono adesso ragazzi in perfetta buona salute, con ottimo inserimento sociale; c’è il piccolo campione di calcio, il promettente musicista, ragazze che si avviano verso splendide carriere universitarie. Se la PAS causa tutto ciò mi dispiace non aver avuto da piccolo un po’ di PAS.

Celie a parte, egregio prof. Fornari, la PAS, o il suo derivato tossico alienazione parentale, sono pura invenzione che hanno la finalità di occultare le violenze in famiglia e gli abusi sessuali sui minori5.

Le dirò di più: «La regolare ricorrenza tra diagnosi di PAS e violenze o abusi in famiglia porterebbe quasi a ritenere il ricorso alla teoria della PAS (o alienazione parentale o disturbo relazionale) indizio consistente della presenza, nella famiglia separata o che si sta separando, di violenze o abusi sessuali. La PAS (o alienazione parentale o disturbo relazionale) consente al presunto maltrattante o presunto abusante di difendersi dal processo e non nel processo6».

* Fornari U (2015), Trattato di Psichiatria Forense, pagg 674-676. UTET Giuridica, Milano.

1 Gardner fornisce alcune note autobiografiche nel suo libro autopubblicato The Psychoterapeutic Tecnics of Richard A. Gardner, riportato da Vaccaro S e Barea Payueta C, La presunta sindrome di alienazione genitoriale – Uno strumento che perpetua il maltrattamento e l’abuso, EdIt, Firenze, 2011. http://www.editpress.it/cms/book/pas-presunta-sindrome-di-alienazione-genitoriale

4 Coppo M, Un metodo per la diagnosi. http://www.andreamazzeo.it/docu/coppo.pdf

5 CRISMA M, ROMITO P (2007), L’occultamento delle violenze sui minori: il caso della Sindrome da Alienazione Parentale. RivistadiSessuologia,31(4):260. http://www.eurogiovani.provincia.pu.it/fileadmin/grpmnt/1037/materiale_dott.ssa_Romito_3.pdf

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6 Mazzeo A (2016), Ragioni negatorie dell’esistenza scientifica di una sindrome di alienazione parentale e strategie per il contrasto della perizia, capitolo del libro “Il minore nel conflitto genitoriale – Dalla sindrome di alienazione parentale alla legge sulle unioni civili”, di Cassano G (a cura di), Giuffrè Editore.

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