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SULL’ABUSO PSICOLOGICO INFANTILE

Capita ancora di leggere, nell’anno di grazia 2018, ormai confinante con il 2019, che l’alienazione parentale sarebbe un abuso psicologico infantile.
Lo si legge in blog & simili afferenti alle associazioni dei padri rifiutati dai figli, lo si legge in articoli pseudoscientifici pubblicati da psicologi giuridici, lo si legge, ahimé, in alcune CTU.
E qui la cosa si fa seria, perché nei testi ufficiali non si legge nulla del genere, quindi vi sono ancora CTU che scrivono falsità scientifiche.

La mia formazione accademica, sia durante il corso di laurea in medicina sia di specializzazione in psichiatria, sia la formazione successiva, per la partecipazione ai concorsi e il superamento dell’esame di idoneità a Primario di psichiatria, si è sempre svolta su testi ufficiali, scritti o curati dai più importamti psichiatri.
Uno tra tutti è il Trattato italiano di psichiatria, un testo in tre volumi curato dai professori Paolo Pancheri, di Roma, e Giovanni Battista Cassano, di Pisa.
In questo testo l’abuso infantile è trattato nella sezione dei “Disturbi ad esordio nell’infanzia e nell’adolescenza”, capitolo 86, pagina 2.983, scritto dal Prof. Nivoli, psichiatra forense, e suoi collaboratori.
L’abuso psicologico è trattato al paragrafo “Maltrattamento psicologico”, alla pagina 2.987. Vengono riportate le diverse tipologie di abuso psicologico, ma non la PAS o alienazione parentale.
Più di recente, nel 2014, è stato pubblicato in italiano il DSM-5, cioè la classificazione statunitense dei disturbi mentali.
L’abuso psicologico è trattato alla pag. 836, e ne sono riportati vari esempi, o condotte che realizzano un abuso psicologico infantile. In nessuna riga io leggo le parole ‘alienazione parentale’.

Ora, questi psicologi giuridici che scrivono certe castronerie nelle CTU dove le leggono? Se le inventano? La psichiatria e la neuropsichiatria infantile sono quelle ufficiali, dei testi unversitari, dei manuali e dei trattati, e delle classificazioni internazionali.
Possibile che si debbano continuare a leggere falsità scientifiche?

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MA GARDNER PROPRIO NON VI FA SCHIFO?

Non dico molto, ma almeno un pochino; mi riferisco ai tanti, psicologi-psichatri-neuropsichiatri infantili in primo luogo, ma anche avvocati, giornalisti, ecc., che ancora lo santificano e sostengono la PAS oggi riesumata come alienazione parentale.

Sto leggendo il libro dell’Avv. Coffari; conoscevo già le opinioni di Gardner sulla pedofilia,  ma leggere quello che di Gardner riporta l’Avv. Coffari davvero dà i brividi.

E ripeto la domanda di cui sopra: egregi colleghi (mi riferisco a psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili), egregi avvocati ed egregi giornalisti/blogger/opinionisti che esaltate Gardner e la sua alienazione parentale, ma qualcosa del pensiero folle di questo personaggio l’avete mai letta? O parlate a vanvera? Tanto per dare aria al cervello ogni tanto?

Ed eccellenti magistrati che con alcune sentenze sull’affidamento dei minori mostrate di aderire acriticamente al pensiero dei sostenitori di Gardner perché non provate a leggere il libro dell’Avv. Coffari? Potreste cominciare a cacciare dai Tribunali chiunque parli ancora di alienazione parentale.
La mia prima nota su Facebook, quando ancora sapevo poco della faccenda, si intitolava “Un orco si aggira per i tribunali dei minorenni”; non posso che riconfermarla adesso con  maggiore forza. Ogni volta che in una CTU si parla di PAS o alienazione parentale, ogni volta che vengono citati Gardner o i fautori nostrani di questo folle concetto, l’orco è già entrato in Tribunale e non ve ne siete accorti.

Ma cosa ho letto di tanto sconvolgente nel libro del’Avv. Coffari?
Dalla pagina 453 in poi l’Avv. Coffari riporta i criteri che Gardner suggeriva di utlizzare per distinguere le denunce vere di abusi sessuali sui minori da quelle false. Questo è materiale che non conoscevo e che l’Avv. Coffari ha trovato acquistando e facendo tradurre i libri di Gardner.

Un primo criterio è questo: se la madre si è rivolta all’autorità giudiziaria o ai Servizi sociali per segnalare/denunciare gli abusi, significa che gli abusi non ci sono mai stati, che la denuncia è falsa. Se invece la madre tace, parla con il marito, cerca un chiarimento, allora vuol dire che gli abusi sono veri.

Gardner ha ancora il coraggio di scrivere: “le madri dei bambini che sono stati realmente abusati sono più propense di apprezzare la relazione padre-bambino, al contrario, le madri che diffondono false accuse sono spesso arrabbiate e non apprezzano l’importanza della relazione padre-figlio”.

Altro criterio indicato da questo autentico maiale è la religiosità della madre; per Gardner se la madre è religiosa, frequenta la chiesa, vuol dire che è una moralista che lancia facilmente false accuse.

Se la madre aderisce o condivide campagne per la prevenzione degli abusi sessuali nell’infanzia, promosse dalle scuole, è una calunniatrice che lancia false accuse.

Se la madre registra ciò che le rivela il figlio significa che l’accusa è falsa.

Se i bambini parlando degli abusi subiti affermano di dire la verità vuol dire che l’accusa è falsa.

Nella sostanza, se gli abusi sono veri la madre non deve denunciarli; se vengono denunciati vuol dire che sono falsi.

Quanto tempo deve ancora trascorrere prima che questa spazzatura lurida e fetente venga gettata in qualche discarica?

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COS’È L’ALIENAZIONE PARENTALE? – I

È una bufala, una fake news, e chi la diffonde è un bufalaro, un illusionista della psicologia. Di recente è comparso su un blog l’ennesimo post che propaganda la fake news; vedo di esaminarlo.

§ 1. Il Codice Civile
L’art. 337-ter comma 1 sancisce che «il minore ha il diritto» – MA NON IL DOVERE – «di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori», ecc, ecc. La legge è scritta chiaramente: il minore ha un diritto cui fa da contraltare il dovere di entrambi i genitori. Nella prassi psicogiudiziaria questo concetto è stato del tutto ribaltato, per cui il diritto è diventato degli adulti, in particolare dei padri, mentre per il minore quello che era un suo diritto è diventato un dovere, quello di mantenere rapporti anche con il genitore violento o che ha compiuto abusi sessuali sul figlio.

Perché la questione vera è tutta qui, la negazione delle violenze e degli abusi sessuali sui minori, che disperatamente la psicologia giuridica cerca di occultare con concetti ai limiti dell’oscenità (‘oscenità’ qui è intesa nel senso che a questa parola conferisce Jean Baudrillard), ribaltando il principio di realtà.

Il ricorso al concetto di alienazione parentale (in passato sindrome di alienazione genitoriale) si osserva ogniqualvolta una donna vittima/testimone di violenza in famiglia e violenza assistita sui figli minori, o a conoscenza di abusi sessuali del padre sui figli, fa istanza di separazione coniugale denunciando questi fatti, documentandoli con referti medici e/o psicologici, testimonianze, audio-videoregistrazioni, ecc.

Alla richiesta di separazione, e alle eventuali denunce in sede penale, l’ex-coniuge, quando non la ammazza, denuncia che la ex-moglie ostacola il suo rapporto con i figli, senza però produrre alcuna prova di questo ostacolo al rapporto con i figli; ovviamente i figli, a loro volta vittime/testimoni di violenza o di abusi sessuali, non hanno il minimo desiderio di continuare a relazionarsi con il loro carnefice, anche se si tratta del loro padre.

Con il concetto di alienazione parentale gli psicologi giuridici, e ovviamente gli avvocati che difendono i padri accusati di violenze e/o abusi, cercano in primo luogo di screditare la testimonianza dei minori ma anche la testimonianza delle madri che cercano di proteggere i figli dalle violenze e dagli abusi sessuali; in secondo luogo cercano di ribaltare, di falsificare la realtà, presentando il carnefice come vittima della cosiddetta alienazione e le vittime come carnefici che cercano di ostacolare il rapporto dei figli con i padri.

Naturalmente, non potendo provare questa ipotesi processuale, gli avvocati fanno richiesta di una CTU psicologica che possa dimostrare, trovare le prove di quanto da loro sostenuto. Ma una CTU, sia pure psicologica, non è un mezzo di prova, non può essere utilizzata da una parte processuale per sopperire alla mancanza di prove. L’invenzione della PAS da parte di Gardner aveva proprio questo scopo: sopperire alla mancanza di prove del presunto lavaggio del cervello dei minori tirando in ballo una malattia inesistente

«In materia di procedimento civile, la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze», come riporta consolidata giurisprudenza.

È pur vero che esiste un orientamento giurisprudenziale di diversa natura: «In tema di consulenza tecnica di ufficio, il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche» (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3990).

Ma qui casca l’asino, come si suol dire.

La famigerata alienazione parentale altro non è che la riesumazione della defunta sindrone di alienazione genitoriale, per usare una felice espressione di Nadia Somma; non condivido questa visione tanato-psicologica della psicologia giuridica.

Il Ministro della Salute nel 2012 ha dichiarato che la PAS non ha alcun fondamento scientifico; di conseguenza privi di validità scientifica sono, analogamente, tutti quei concetti che fanno riferimento al medesimo costrutto, e cioè al concetto che i bambini che rifiutano un genitore siano condizionati dall’altro genitore. Si sta quindi parlando della stessa cosa.

Ma è possibile dimostrare questo presunto condizionamento? Come si fa a dimostrarlo sotto il profilo giuridico? E come si fa a dimostrarlo sotto il profilo psicologico?

Circa l’aspetto giuridico della questione ci viene in soccorso la sentenza della Corte Costituzionale n. 96 del 1981, sul reato di plagio (è indubbio che questa cosiddetta alienazione parentale ricalca il concetto di plagio che, se è giornalisticamente plausibile lo è molto meno sul piano giudiziario). Senza ripetere cose già scritte rimando alle stesse. Riporto solo un breve stralcio di questa sentenza: «Presupponendo la natura psichica dell’azione plagiante è chiaro che questa, per raggiungere l’effetto di porre la vittima in stato di totale soggezione, dovrebbe essere esercitata da persona che possiede una vigoria psichica capace di compiere un siffatto risultato. Non esistono però elementi o modalità per potere accertare queste particolari ed eccezionali qualità … Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l’asservimento totale di una persona».

Per gli aspetti psicologici è evidente che non esiste, a meno di essere in possesso di capacità divinatorie, cosa in cui gli psicologi giuridici sembrano essere particolarmente versati, la possibilità di dimostrare questo condizionamento psicologico; sono possibili illazioni, prive però di validità logica oltre che scientifica, ma non la certezza. E in tribunale si devono portare certezze non illazioni, non opinioni personali. Anche le risultanze dei test psicologici, che hanno un valore obiettivo ma non certo oggettivo, non sono in grado di dare certezze in merito al presunto condizionamento.

Mentre le violenze e, meno spesso, gli abusi sessuali sono fatti oggettivi e documentati, provati, il presunto condizionamento psicologico, altrimenti chiamato alienazione parentale, resta nell’ambito delle illazioni e delle opinioni soggettive.

Quindi, secondo il modo di ragionare degli psicologi giuridici, il giudice in presenza di prove di violenza e in assenza di prove del presunto condizionamento dovtebbe accantonare le prove delle violenze, o degli abusi, e presumere il condizionamento dal rifiuto; ma, come ancora già scritto più volte, il rifiuto non è la prova del presunto condizionamento ma ne è, eventualmente la conseguenza, così come può essere la conseguenza delle violenze e degli abusi sessuali. Dalla presenza del rifiuto si può, quindi, legittimamente presumere sia il condizionamento sia le violenze; del primo esistono illazioni, delle seconde esistono prove.

Logica vorrebbe  che le prove siano prevalenti sulle illazioni; nel mondo alla rovescia della psicologia giuridica le illazioni valgono più delle prove.

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AL CUORE NON SI COMANDA

Collegata alle questioni falsamente scientifiche dell’alienazione parentale, amnesia infantile, false memorie è quella dei cosiddetti incontri protetti o incontri in ambiente protetto o come altro diavolo li chiamano; si tratta nella sostanza della coercizione per il bambino a incontrare il padre con il quale rifiuta la relazione. La terapia della minaccia, nella sostanza.

Al di là della questione, di psicologia spicciola, evidentemente sconosciuta a certi soloni della psicologia giuridica, che la maniera migliore per far odiare una cosa a un bambino o a un adolescente è quella di imporgliela contro la sua volontà, c’è una questione ancora più grave.

L’imposizione al bambino di incontri in un ambiente protetto con il genitore rifiutato, comunque la si voglia denominare, oltre a non produrre il risultato atteso, e cioè quello di riavvicinare il bambino al genitore, spesso si rivela controproducente; difatti allontana ancora di più i due poiché questa imposizione viene vissuta dal bambino come ulteriore costrizione da parte del padre e dei suoi ‘alleati’ e quindi acuisce il suo rifiuto.

Agente del cambiamento, e cioè del miglioramento dei rapporti padre-figlio può essere solo il padre modificando il suo comportamento verso il figlio; imporre gli affetti per sentenza giudiziaria è uno di quei classici paradossi che la psicologia conosce bene e che sono altamente patogeni per la psiche. Per usare un luogo comune, “al cuore non si comanda”.

In maniera più tecnica, la prescrizione “sii affettuoso con tuo padre” è una prescrizione paradossale, analoga al famoso “sii spontaneo”. Se il bambino obbedisce a questa prescrizione deve necessariamente violarla, cioè non essere spontaneo; ma se il bambino si impone di essere spontaneo disobbedisce alla prescrizione, cioè non è più spontaneo. Intrappolato in questo paradosso il bambino si avvia gradualmente verso la strada della psicosi, come amplissima letteratura specialistica psicologica e psichiatrica ha dimostrato.

Mi riferisco agli studi e alle ricerche della psichiatria sistemica familiare la cui bibliografia è immensa. Mi limito a riportare:

– Watzlavick P, Beavin JH, Jackson DD, Pragmatica della comunicazione umana. Casa Editrice Astrolabio, 1971.
– Watzlavick P, Weakland JH, Fisch R, La realtà della realtà. Casa Editrice Astrolabio, 1974.
– Selvini Palazzoli M, Boscolo L, Cecchin G, Prata G, Paradosso e controparadosso. Raffaello Cortina Editore, 1975.
– Bateson G, Verso un’ecologia della mente. Adelphi edizioni, 1976.
– Watzlavick P, La realtà della realtà. Casa Editrice Astrolabio, 1976.
– Watzlavick P, Istruzioni per rendersi infelici. Saggi Universale Economica Feltrinelli, 2010.

Se si vuole far diventare psicotico un bambino la strada è proprio quella di intrappolarlo in paradossi del genere.

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MA LA PSICOLOGIA GIURIDICA ESISTE?

La domanda mi è venuta spontanea, come si suol dire, leggendo e ascoltando alcune esternazioni di coloro che si auto-definiscono psicologi giuridici. Hanno creato siti internet, blog, fondazioni, corsi di alta formazione, ecc, tutti ossessivamente declamanti la medesima giaculatoria: “L’alienazione parentale esiste”.

Ora, è questione di psicologia spicciola, questo reiterato reclamizzare, quasi una monomania delirante, la giaculatoria di cui sopra ha più l’aria di convincere se stessi prima di convincere gli altri su quello che vanno sostenendo.

Non solo; ci lasciano capire, in questo modo, che la psicologia giuridica trova la sua ragione di essere soltanto nell’esistenza della cosiddetta alienazione parentale, ex-PAS, e che senza di essa anche la psicologia giuridica cesserebbe di esistere.

La psicologia giuridica è quindi stata fondata alcuni anni fa solo per propagandare la PAS, (sindrome di alienazione genitoriale), ora alienazione parentale, e non per altri nobili scopi; dopo che la PAS è stata dichiarata priva di validità scientifica dal Ministro della Salute, per non correre il rischio di estinguersi la psicologia giuridica si è abbarbicata su questa nuova invenzione, l’alienazione parentale.

L’operazione PAS/alienazione parentale somiglia molto a quelle operazioni commerciali in cui un’autorità sanitaria dispone il divieto di vendita di un prodotto perché adulterato; il produttore lo ritira dal commercio e poi lo rimette in vendita cambiando solo l’etichetta. In casi del genere si parla di truffa, di frode commerciale. Nel caso che c’interessa potremmo parlare di truffa, di frode scientifica?

Per non correre il rischio di essere nuovamente smentiti a livello scientifico ne affermano ora l’esistenza a prescindere; un po’ come la scie chimiche, esistono, basta crederci e chi non ci crede è un complottista, o, come si esprimono loro, un negazionista dell’alienazione parentale.

Il termine ‘negazionismo’ ha un chiaro riferimento alla shoah e cioè a un fatto storico drammatico, l’olocausto degli ebrei a opera del nazismo; il suo uso perverso da parte dei sostenitori dell’alienazione parentale, dimostra l’assoluta mancanza di sensibilità umana, e di capacità di ragionamento logico, di questi soggetti poiché anche nell’ipotesi di reale e concreto condizionamento di un bambino a opera di un genitore, ci troveremmo, nel singolo caso giudiziario, di fronte a un reato, il maltrattamento psicologico del minore (art. 572 CP) e non a un fatto storico verso il quale vi possano essere posizioni negazioniste.

Reato che, come tutti i reati previsti dal codice penale, necessita, perché se ne affermi l’esistenza in quello specifico caso giudiziario, di prove concrete e incontrovertibili, al di là di ogni ragionevole dubbio, e non di petizioni di principio.

Difatti, un conto è affermare che i reati (es. furto, rapina, omicidio) esistono, altro conto è dimostrarlo nello specifico caso giudiziario. Così, un conto è affermare che un condizionamento psicologico di un figlio è possibile, altro è dimostrarlo nel processo. Credo che nessun giudice condannerebbe una persona senza la prova che quella persona sia responsabile del fatto-reato che le viene imputato.

Naturalmente, loro assumono quale prova dell’avvenuto condizionamento il rifiuto che talvolta alcuni figli mostrano verso la relazione con un genitore; e qui dimostrano ancora una volta, la loro scarsa capacità di ragionare logicamente, oppure la loro clamorosa malafede.

Il rifiuto può essere la conseguenza di un condizionamento psicologico ma non è la sua prova, la sua dimostrazione; questo tipo di ragionamento, quello cioè di invertire i termini logici del discorso, di ritenere la conseguenza di un fatto come prova di quel fatto, somiglia molto al tipico ragionamento dei deliranti che assumono l’identità di due proposizioni sulla base dell’identità dei predicati e non dei soggetti.

Un tipico esempio è il seguente:

Io sono un uomo;
Napoleone è un uomo;
io sono Napoleone.

È chiaro a tutti noi che le due proposizioni (‘io sono un uomo’ e ‘Napoleone è un uomo’) sono differenti perché differente ne è il soggetto; il predicato però è il medesimo (‘un uomo’). Nel delirio, ma anche nel sogno, nel pensiero pre-logico dei bambini, nell’inconscio, le due proposizioni vengono assunte come identiche sulla base dell’identità del predicato, e così uno si convince di essere Napoleone.

Nel caso della cosiddetta alienazione parentale il ragionamento che gli psicologi giuridici (non so quanto consapevolmente e quanto in malafede), e i padri separati (questi ultimi in sicura malafede) fanno è il seguente:

Il figlio rifiuta il padre;
il rifiuto è la prova del condizionamento;
chi ha condizionato il figlio è la madre.

Un’azione (l’atto del rifiutare) che può essere la conseguenza di un fatto (il presunto condizionamento) viene assunta come prova del fatto stesso; l’errore logico, il corto circuito logico, è quello di scambiare la conseguenza per la prova.

Un ragionamento corretto, sotto il profilo logico è invece il seguente:

Il bambino rifiuta il padre;
il rifiuto può essere la conseguenza di un condizionamento psicologico
ma può essere anche la conseguenza dei comportamenti del padre.
Abbiamo elementi concreti che dimostrino il condizionamento?
Abbiamo elementi concreti che dimostrino che il padre
ha dei comportamenti incongrui verso il figlio
che portano quest’ultimo a rifiutarlo?

L’analisi da svolgere nella eventuale CTU è proprio di questo tipo, un’analisi causale, per riprendere una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, spesso citata a sproposito dai professionisti che sostengono l’alienazione parentale (cosiddetta sentenza Cozzini); in quella sentenza i Giudici della Cassazione hanno ribadito il principio giuridico, oltre che logico, per il quale un evento trova la sua motivazione in una molteplicità di cause.

Dico eventuale CTU perché se i giudici si attenessero a quelli che sono principi giuridici consolidati, nei casi di rifiuto non ci sarebbe bisogno di disporre alcuna CTU; si tratta di questioni giuridiche da risolvere, magari complesse, ma sempre di natura giuridica e non psicologica. Accertare i fatti è compito della Giustizia, non della Psicologia sia pure giuridica.

In questi anni la psicologia giuridica non ha fatto altro che falsificare la realtà, dapprima enfatizzando come scientifica una presunta malattia (la PAS) che scientifica non era (e non lo dico io ma, autorevolmente, lo ha dichiarato il Ministro della Salute nel 2012); poi manipolando l’informazione con l’affermare che non più di PAS si doveva parlare ma di alienazione parentale, lasciando però inalterata la sostanza della questione; poi dicendo che anche se l’alienazione parentale non è descritta nel DSM-5 vi è presente sotto forma di spirito; poi affermando che è distribuita nel DSM-5 tra varie categorie diagnostiche; poi “ma chi se ne frega del DSM-5”.

Ma la Giustizia ha bisogno di questa Psicologia?

Una psicologia alla quale difetta proprio il logos, e cioè il pensiero razionale, la capacità di ragionare in base alla logica.

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LA CARTA DI NOTO – IV PARTE

Nella terza parte ho dimostrato che uno dei teoremi della psicologia giuridica, e cioè che i bambini non avrebbero memoria (quella che loro chiamano amnesia infantile) è totalmente privo di qualsiasi fondamento scientifico; tutti gli studi dimostrano il contrario.

Adesso vediamo di parlare dell’altro loro teorema, i cosiddetti falsi ricordi o false memorie.

La frase incriminata del loro più recente documento è la seguente: “È probabile che eventuali vuoti nel ricordo siano colmati con elementi coerenti con l’avvenimento oggetto del ricordo inferiti da informazioni disponibili, per quanto non direttamente percepiti durante l’esperienza originaria.

Non parlano più esplicitamente di false memorie, si sono fatti più attenti, usano delle circonlocuzioni, si servono della comunicazione persuasiva, ma il senso è sempre lo stesso: i bambini sono suggestionabili, sui bambini possono essere impiantate con facilità false memorie.

Su che cosa basano questo secondo teorema? Sul nulla. Esiste in giro un loro studio che risale al 2004, svolto in una classe di scuola elementare su 53 bambini; ma è privo di validità scientifica tanto che nemmeno loro lo citano più.

In pratica, nella classe si presentò uno sperimentatore dicendo di essere un giornalista che rivolse alcune domande ai bambini e svolgendo con loro alcuni giochetti; dopo una settimana un’altra sperimentatrice si è presentata nella scuola dicendo che il giornalista aveva smarrito la registrazione e che quindi voleva ricostruire l’evento con l’aiuto del bambini, ponendo loro domande suggestive. Risultò che solo il 15% dei bambini aggiunse dei particolari di fantasia; risultato che viene da loro fortemente enfatizzato per dimostrare che i bambini nella ricostruzione di un evento possono introdurvi degli elementi di fantasia. Omettono però di dire che nell’85% dei casi i bambini non hanno aggiunto alla ricostruzione dell’evento alcun elemento di fantasia.

Se ne dovrebbe dedurre che quando i bambini riferiscono di violenze o abusi sessuali sono, evidentemente, credibili, nell’85% dei casi.

Ma dimenticano di riferirsi alla letteratura internazionale che dimostra una cosa fondamentale: è possibile indurre in alcuni casi il falso ricordo di episodi tutto sommato plausibili, ma non è possibile, in nessun caso, indurre il falso ricordo di un evento non plausibile, come ad es. quello di un abuso sessuale subito nell’infanzia.

Uno degli studi più significativi in tal senso è quello di Pedzek e Hodge.

Le autrici si sono proposte di studiare la possibilità di impiantare false memorie mediante la descrizione a due gruppi di bambini di due eventi veri e di due eventi falsi che loro avrebbero vissuto all’età di quattro anni.

Come falsi eventi da descrivere ai bambini sono stati scelti un evento plausibile (essersi persi in un supermercato) e un evento non plausibile (aver subito un clistere).

Dallo studio è risultato in primo luogo che la maggioranza dei bambini (54%) non ha ricordato nessuno dei due falsi eventi; che alcuni bambini si sono lasciati suggestionare dal racconto, ricordando di essersi persi in un supermercato da piccoli (evento plausibile) ma nessuno ha ricordato di aver subito un clistere (evento non plausibile).

Le autrici concludono che la possibilità di impiantare false memorie nei bambini è legata alla plausibilità dell’evento e ciò sarebbe in relazione alla presenza in memoria di uno script sulla precedente conoscenza di quel tipo di evento (es. per averne sentito parlare anche se occorso ad altri bambini), mentre è risultato che non è possibile impiantare nei bambini la falsa memoria di un evento non plausibile (nello studio l’aver subito un clistere da piccoli).

Credo che questo studio faccia piazza pulita del teorema della psicologia giuridica sulle false memorie per il quale la testimonianza del bambino vittima di abusi sessuali viene screditata sulla base della presunta facile suggestionabilità dei bambini.

Si deve pertanto ritenere che la testimonianza dei bambini sulle violenze, dirette o assistite, e sugli abusi sessuali subiti siano veritiere sino a prova di falso; tale prova di falso non può essere la PAS o alienazione parentale, non può essere il problema relazionale, non può essere la teoria del rifiuto immotivato del minore. Né possono esserlo altre loro invenzioni, come l’adattamento alla situazione della CTU di test (LTPc, aIAT, ecc) nati originariamente per misurare altre variabili; solo spazzatura pseudoscientifica.

Nei post successivi analizzerò i singoli punti del documento Carta di Noto IV.

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LA CARTA DI NOTO – III PARTE

Come accennato nella seconda parte, nel suo lavoro sulle memorie traumatiche precoci Gaensbauer riporta casi clinici personali e casi di altri autori, con abbondanza di riferimenti bibliografici. Esamina la memoria precoce sulla base dell’età anagrafica dei bambini esaminati. Riporto testualmente alcuni paragrafi di questo importante lavoro.

Memoria da zero a due mesi

Nelle prime settimane di vita il bambino è capace sia di provare una reazione di stress sia di associarla in maniera condizionata a uno stimolo collegato in modo tale da influenzare successivi comportamenti. Riporta questo caso clinico riferitogli da una madre:

«Quando il suo bambino di 3 giorni aveva difficoltà ad allattare, un’infermiera molto aggressiva gli ha tenuto la testa forzandolo ad aprire la bocca, per mettergli il seno della madre in bocca. Il bambino si è sconvolto, aveva conati di vomito, e inarcava la schiena per allontanarsi dal petto della mamma. A questo punto, la balia, che indossava una caratteristica divisa rosa con cuori “rosa fosforescente”, è stata chiamata e ha lasciato la stanza. Quando è ritornata 10 minuti dopo, la madre ha riferito che il bambino “ha visto chi era” e immediatamente ha inarcato la schiena e ha spinto contro il corpo della madre con le gambe con così tanta forza da rotolarsi sul letto.»

Memoria da tre a sei mesi

«Uno studio notevole della conservazione in memoria in questo periodo è quello di Perris, Myers e Clifton. All’età di 6,5 mesi un gruppo di bambini è stato esposto a un test in laboratorio che richiedeva di allungare la mano verso un oggetto che suonava nel buio. I bambini hanno mostrato di ricordarsi quando sono stati esposti a una situazione di stimolo simile due anni dopo, dimostrato dall’allungamento della mano con sempre più successo e una maggiore tolleranza della situazione sperimentale rispetto a gruppi di controllo senza esperienza.»

E ancora:

«Un bambino, ripetutamente e gravemente maltrattato dal suo padre biologico tra l’età di 3 e 10 settimane prima di essere stato affidato, ha mostrato delle reazioni di paura verso gli uomini per molti mesi. Durante il primo mese in affidamento quando suo padre adottivo o suo fratello adottivo adolescente si avvicinavano a lui, piangeva inconsolabilmente. La madre adottiva ha notato anche che trasaliva se lei involontariamente faceva dei gesti improvvisi verso di lui ad esempio mentre gli cambiava il pannolino. Anche se queste reazioni sono diminuite all’interno della famiglia adottiva, a sei mesi quando un maschio adulto che somigliava fisicamente al padre ha tentato di prenderlo in braccio trasaliva immediatamente e iniziava a gridare. A otto mesi durante una visita medica quando il dottore ha fatto un gesto affettuoso con l’intenzione di accarezzargli la testa il bambino ha trasalito così bruscamente che il medico è rimasto sconcertato. Tranne per qualche trasalimento casuale questo tipo di reazione non è mai stato osservato durante una interazione con una donna adulta.»

«Terr ha descritto una bambina che ha subito degli abusi sessuali prima dell’età di sei mesi che poco prima dell’età di tre anni ha fatto una serie di ricostruzioni sessuali con le bambole compresa la penetrazione vaginale, compatibili con delle foto pornografiche scattate durante il suo abuso sessuale.»

Memoria da sette a diciotto mesi

«Bauer e Wewerka sono giunte alla conclusione che “non è necessario nel momento in cui viene vissuto un evento che ci sia disponibile una codificazione verbale per far sì che l’evento venga ricordato a lungo termine o che successivamente il ricordo dell’evento venga esposto verbalmente”. Altri ricercatori hanno documentato che il linguaggio si può sovrapporre su precedenti memorie preverbali. Un esempio drammatico è la relazione di Myers, Clifton e Clarkson di una bambina di quasi tre anni che durante una visita in laboratorio ha indovinato l’immagine dietro ad uno pannello. L’ultima volta che aveva visto l’immagine era stato due anni prima quando aveva 40 settimane di età.»

«All’età di 23 mesi un bambino che era stato coinvolto in un grave incidente stradale a nove mesi, è riuscito a rappresentare usando bambole e giocattoli la sequenza dell’incidente, compreso come era stata colpita la macchina, come si era rovesciata e poi atterrata. Un altro bambino che all’età di 13 mesi era stato portato su un’ambulanza al pronto soccorso per via di un overdose di droga, a 26 mesi ha fatto una rappresentazione di certi dettagli specifici del viaggio in ambulanza e del trattamento al pronto soccorso. Il terzo caso coinvolgeva un ragazzo che era stato gravemente abusato sia fisicamente sia sessualmente da suo padre durante un periodo di una settimana, all’età di 7 mesi. Quando aveva 8 anni, durante una seduta di terapia con il terapista e sua madre adottiva, all’improvviso il bambino è entrato in uno stato delirante e dissociato durante il quale ha drammaticamente ricreato con il suo proprio corpo l’esperienza dell’abuso. Questo comprendeva, urlare dalla paura, dimenarsi a terra con il sedere in aria, cercare di trascinarsi sotto il divano per scappare dal terapista (che in quel momento stava vivendo come se fosse suo padre), e usare le parole per descrivere come gli stava facendo male. Il quarto caso era quello di una bambina che a 12 mesi aveva visto sua madre uccisa da una lettera esplosiva. Sia con le azioni sia con i giocattoli, ha ricreato delle rappresentazioni di diversi elementi importanti dell’accaduto, durante una valutazione all’età di 4 anni e mezzo. Quando le è stato chiesto come era morta sua madre, è improvvisamente caduta a terra e si è rotolata in modo frenetico. Più avanti ha improvvisamente portato giù la mano su uno scenario di gioco che ricreava la situazione appena prima dell’esplosione, buttando giù bambole e mobili con un gesto che riusciva a cogliere delle qualità fondamentali dell’esplosione. A 6 anni, durante una seduta di terapia con un altro terapista e alla presenza dei genitori adottivi, la bambina ha fornito ulteriori dettagli verbali sull’aspetto di sua madre dopo la bomba, un dato di cui i suoi genitori non erano a conoscenza ma che è stato successivamente confermato dalla polizia.»

Memoria da diciotto a ventiquattro mesi

«Tante ricerche e prove cliniche hanno documentato l’abilità dei bambini tra l’età di 18 mesi e 2 anni, una volta che hanno raggiunto la fluenza verbale, a percepire, ricordare e poi descrivere degli eventi vissuti. Nelson, Fivush e i loro colleghi hanno dimostrato in numerosi studi che l’esordio della memoria autobiografica, come tradizionalmente viene concettualizzata, si osserva intorno a questa fascia d’età. Molte relazioni cliniche hanno documentato la presenza di ricordi duraturi degli eventi traumantici in bambini di questa età che sono verbalmente fluenti. Usher e Neisser hanno dimostrato che si possono ricordare alcuni eventi affettivamente significativi che accadono nel secondo anno di vita, quale la nascita di un fratello o un ricovero in ospedale anche fino all’età adulta.»

Credo ce ne sia abbastanza per destinare in discarica certa spazzatura pseudo-scientifica. Nella quarta parte l’analisi della teoria della suggestionabilità dei bambini.

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LA CARTA DI NOTO – I PARTE

Sta circolando in rete un documento sottoscritto da alcuni psicologi, tre-quattro avvocati e un giudice di Cassazione, intitolato Carta di Noto IV.

Premettendo che documenti di questo tipo non hanno alcuna valenza prescrittiva o normativa, come chiarito da alcune sentenze della Suprema Corte di Cassazione, non si può non rilevare che tra i firmatari si ritrovano alcuni tra i più accaniti sostenitori della falsa malattia, la bufala di Gardner, il medico che fu soprannominato “autentico mostro americano”, il difensore della pedofilia da lui ritenuta la normalità, un’antica tradizione, addirittura.

Si tratta di quel Richard Alan Gardner che nel 1985, proprio per via della sua teoria della PAS, venne espulso dalla Columbia University di New York, dove era solo un medico volontario non remunerato (leggere in fondo all’articolo la correzione aggiunta al necrologio), senza alcun incarico di insegnamento o di diagnosi e cura, con la motivazione che era ignorante nella disciplina di psichiatria e incapace di ragionare secondo il metodo scientifico; motivazione che si riverbera necessariamente su chi ha sostenuto la PAS e sostiene adesso l’alienazione parentale.

Ritrovare quindi tra i firmatari di questo documento, che si propone di fornire delle linee guida, sia pur prive di valore prescrittivo, per l’esame del minore vittima di abusi sessuali gli stessi che sostengono ancora, contro ogni evidenza scientifica, contro il parere del Ministro della Salute, contro ogni logica e buon senso, la teoria della PAS o alienazione parentale, non può non far sorgere più di qualche dubbio sulla validità del documento stesso proprio sul piano scientifico.

È di tutta evidenza, difatti e come ripetutamente scritto, che la mera enunciazione teorica, sganciata dai fatti oggetto del processo, della possibilità che il minore nel fare le affermazioni che fa e nell’esprimere il rifiuto verso la frequentazione con un genitore al momento della separazione dei suoi genitori, possa essere condizionato o manipolato psicologicamente dall’altro genitore (quella che loro chiamano alienazione) non equivale alla dimostrazione concreta e oggettiva di tale presunto condizionamento. Ma è questo che loro scrivono nelle CTU e sostengono nelle memorie processuali; si assiste al paradosso giudiziario per cui al genitore accusato di violenze o abusi sessuali viene garantita la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio mentre al genitore accusato di manipolazione viene garantita la certezza di colpevolezza a prescindere, e la condanna dopo un giudizio sommario.

Così come è di tutta evidenza che la presenza del rifiuto del minore non è affatto la prova del condizionamento o manipolazione psicologica (che loro chiamano alienazione) ma tuttalpiù ne è la sua conseguenza; la prova deve essere prodotta con i mezzi propri del processo. Non si riesce proprio a comprendere, sul piano logico-razionale, perché dalla presenza del rifiuto si debba presumere il condizionamento e non si possa presumere, cosa molto più logica e naturale, che il rifiuto sia espressione della paura che il bambino ha del genitore rifiutato. Naturalmente a questo punto sarebbe d’obbligo spendere qualche riga sulla concezione del padre quale pater familias, di derivazione del Diritto romano e che evidentemente ancora informa i moderni codici e la psicologia inconscia di alcuni magistrati; ma il discorso ci porterebbe troppo lontano.

Così come è ancora di tragica evidenza che l’utilizzo di tali concetti porta alla manipolazione dei processi, nei quali una falsità scientifica (la PAS o alienazione parentale e più di recente il disturbo relazionale) diviene verità giudiziaria che non segue più la procedura stabilita dai codici ma si incammina sulla via dell’abuso e dell’arbitrio.

Fatta questa doverosa premessa passo a valutare la tenuta scientifica del documento; ciò sarà oggetto della seconda parte.

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IL REGNO DELLA PAS E LA CONFUSIONE DELLE MENTI

Gli uomini si agglomerano sulla stupidità

come la limatura di ferro sulla calamita.

(citaz. da autore innominabile)

Nella sua ultima conferenza a Francoforte, prima di suicidarsi, il Dr Richard Alan Gardner, il ciarlatano che per tutta la sua vita si spacciò per professore universitario alla Columbia University dove era solo un volontario non retribuito1, un autentico mostro americano2, concludendo il suo intervento parlò di instaurazione del “regno della PAS”3; il suo delirio era ormai al culmine, sino ad assumere connotati mistici.

La storia, il mondo scientifico giuridico e psicologico-psichiatrico hanno fatto giustizia dei deliri del Dr Gardner accantonando la teoria della PAS come uno dei tanti orrori del XX secolo responsabile di una sorta di olocausto dei bambini sacrificati sull’altare del padre; nel XXI secolo i deliri del Dr Gardner hanno ripreso fiato alimentati da una disinformazione scientificamente, e scientemente, architettata da un settore della psicologia che si avvale di tecniche di manipolazione di massa come la PNL e la comunicazione persuasiva.

Lo spunto per questo post nasce da una conversazione intercettata su Facebook nella quale l’ennesima psicologa, presuntuosetta e arrogantella, accusando chi criticava il concetto di alienazione parentale di essere persone arretrate di ameno quarant’anni, se ne è venuta fuori con il solito meme: l’alienazione parentale è un fenomeno che esiste e si osserva nelle separazioni conflittuali.

Ora, tralasciando la questione filosofica, evidentemente ignota alla presuntuosetta arrogantella, che ci mette in guardia dal confondere ciò che appare (il fenomeno) con la realtà oggettiva, quello che si osserva in alcune separazioni, impropriamente definite conflittuali4, il fatto, è il rifiuto del o dei figli di frequentare un genitore; definire questo rifiuto come alienazione parentale significa assumere una posizione acritica in favore di una possibile teoria esplicativa. Confondere il fatto con una teoria che si propone di spiegare quel fatto è indice di scarse capacità di ragionamento logico.

Se nel corso della separazione i figli rifiutano la relazione con un genitore le motivazioni possono, sì, trovarsi nella presunta manipolazione da parte dell’altro genitore (cosiddetta alienazione parentale) ma possono anche trovarsi nel comportamento del genitore rifiutato verso i figli stessi.

Sostenere che il rifiuto sia causato sempre e solo dalla manipolazione è come dire, per fare un esempio di facile comprensione, che tutti gli incidenti stradali sono provocati dalla guida in stato di ebbrezza alcolica. Non ha senso. Solo alcuni incidenti sono provocati dalla guida in stato di ubriachezza; analogamente, solo in alcuni casi il rifiuto è provocato dalla manipolazione psicologica.

Nei processi per l’affidamento dei figli minori il rifiuto viene assunto come prova della manipolazione, secondo lo sciocco sillogismo: se c’è rifiuto c’è manipolazione; ma così non è e mi meraviglia molto questo secondo errore di logica.

Riprendendo l’esempio dell’incidente stradale, l’eventuale ubriachezza del conducente deve essere dimostrata con prove idonee, non è sufficiente presumerla dal fatto che ci sia stato l’incidente. Analogamente, l’eventuale manipolazione deve essere dimostrata con prove idonee, non è sufficiente presumerla dal fatto che ci sia il rifiuto. In questo modo si fa una giustizia sommaria, indegna di un paese civile.

Il rifiuto non è la prova della manipolazione ma, eventualmente, la sua conseguenza; così come l’incidente non è la prova dell’ubriachezza del conducente ma, eventualmente, la sua conseguenza.

Si tratta di questioni di logica elementare e mi meraviglia molto che operatori del diritto e delle discipline psy compiano questi errori di ragionamento senza avvertirne la pericolosa illogicità.

3Vaccaro S, Barea C (2011), PAS – Presunta sindrome di alienazione genitoriale. Uno strumento che perpetua il maltrattamento e la violenza, pag. 160. EdIt, Firenze. http://www.editpress.it/cms/book/pas-presunta-sindrome-di-alienazione-genitoriale

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DA UNA CTU DI UNO PSICHIATRA E UNA PSICOLOGA DEL CENTRO-ITALIA

«Riteniamo che per descrivere la situazione di questo sistema familiare possiamo utilizzare i termini di alienazione parentale dove non intendiamo riferirci ad una sindrome ma ad una problematica individuale del figlio legata ad una difficoltà relazionale tra i tre membri della famiglia: bambino, madre e padre, alla quale possono contribuire i membri della famiglia allargata. Anche se in misura che può essere diversa come intenzioni, motivazioni e comportamenti, ognuno dei componenti il gruppo familiare fornisce il proprio personale contributo in misura variabile da caso a caso. I segni di tale condizione sono il rifiuto ingiustificato e comunque talora solo parzialmente motivato da parte del figlio di frequentare uno dei due genitori Infatti, da quello che emerge nella famiglia sottoposta a consulenza c’è un profondo disturbo relazionale. La recente pubblicazione del DSM V e ICD 11 sono orientati a farlo rientrare e definirlo all’interno della categoria dei “Disturbi Relazionali”. Il Prof. Giovanni Battista Camerini suggerisce una serie di considerazioni da utilizzare nelle CTU nei casi in cui si riscontrasse quella che è stata precedentemente definita “PAS – Sindrome di Alienazione Genitoriale” alla luce dell’uscita del nuovo DSM 5. Tra i Problemi Relazionali, il DSM-V descrive i Problemi legati all’Educazione Genitoriale e, all’interno di questi, il Bambino affetto da Distress da Relazione Genitoriale (V61.29): “Questa categoria dovrebbe essere usata quando il focus dell’attenzione clinica è rappresentato dai negativi effetti della discordia nella relazione tra i genitori (per esempio alti livelli di conflittualità, di distress, o di denigrazione) su un bambino della famiglia, inclusi gli effetti sui disturbi mentali o su altre condizioni mediche nel bambino”.
Qualora la relazione tra i genitori sia contraddistinta soprattutto da un’azione di denigrazione dell’uno nei confronti dell’altro, questa condizione corrisponde alla nozione di Parental Alienation secondo la definizione di Bernet (2008) ripresa da Cavedon e Magro (2010) a partire dalla originaria teorizzazione di Gardner (1985). Si tratta quindi, nel presente specifico caso, di indicare i comportamenti della signora XX coerenti con l’ipotesi in questione. Quanto riportato in precedenza a proposito dell’incontro successivo alla frequentazione del minore presso l’abitazione paterna descrive bene questi aspetti. – sollecitazione di un’alleanza – legame simbiotico – suggestione nel minore del disagio psicologico legato alla frequentazione con il padre. Sul piano clinico, va rilevato quanto il DSM-V specifica a proposito dei Problemi Relazionali: “Un problema relazionale può sollecitare un’attenzione clinica in ragione del fatto che il soggetto cerca un’assistenza sanitaria o per un problema che riguarda il decorso, la prognosi o il trattamento di un disturbo mentale o di un’altra condizione medica”. Questi problemi richiedono spesso un intervento psicosociale in una prospettiva clinica e preventiva. Si rimanda a tale proposito al documento redatto dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) – maggio 2013 -: “La comunità scientifica è concorde nel ritenere che l’alienazione di un genitore non rappresenti di per sé un disturbo individuale a carico del figlio ma piuttosto un grave fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicoaffettivo del minore stesso”. La Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ritiene opportuno esprimere il proprio parere in merito ad affermazioni disconfermanti in alcuni procedimenti legali circa la nozione di PAS (Parental Alienation Syndrome). In primo luogo, al di là dell’opportunità che l’autorità giudiziaria si sostituisca alla comunità scientifica nel rilasciare giudizi su argomenti altamente specialistici, si ritiene che il problema relativo all’esistenza o meno di una “sindrome” legata all’alienazione di una figura genitoriale venga posto in modo incongruo.

Fenomeni come il mobbing, lo stalking ed il maltrattamento esistono ed assumono valenze giuridiche a prescindere dal riconoscimento di disturbi identificabili come sintomatici. Colpisce, inoltre, come la Suprema Corte di Cassazione abbia espresso il proprio parere secondo il quale ha stabilito i criteri di scientificità di una teoria tra cui la “generale accettazione” della teoria stessa da parte della comunità di esperti. Sotto questo profilo, si sottolinea come esista una vasta letteratura nazionale ed internazionale che conferma la scientificità del fenomeno della Parental Alienation, termine questo da preferirsi a quello di PAS; negli Stati Uniti ad esempio tale costrutto ha superato i criteri fissati dalle Frye e Daubert Rules per essere riconosciuti come scientificamente validi dalle competenti autorità giudiziarie. La nozione di Alienazione Parentale è inoltre riconosciuta come possibile causa di maltrattamento psicologico dalle Linee Guida in tema di abuso sui minori della SINPIA (2007). La SINPIA ribadisce come sia importante adottare le precauzioni e le misure necessarie, come impongono le recenti sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per garantire il diritto del minore alla bigenitorialità e tutelarlo dagli ostacoli che lo possono minacciare.»

Vediamo adesso le bestialità contenute in questa CTU.

La prima bestialità è l’utilizzo dell’espressione “sistema familiare” riferita a una famiglia separata; il concetto di sistema familiare è stato introdotto dalle teorie sistemico-relazionali con riferimento a famiglie non separate in cui c’era un membro (di solito un figlio) affetto da schizofrenia, quindi per definizione un soggetto adulto psicotico.

Seconda bestialità: il concetto di alienazione parentale. Precisano che non intendono più riferirsi alla vecchia PAS ma nelle considerazioni successive nominano la PAS almeno una decina di volte. La coerenza non è il loro forte, evidentemente. Su queste acrobazie linguistiche si è già scritto.

Terza bestialità: supportano la bestialità precedente con la citazione di scritti di psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili che sostengono tenacemente la PAS e l’alienazione parentale, ma nemmeno un cenno alla letteratura di segno contrario. Onestà scientifica vuole che parlando di concetti controversi si citino i pareri favorevoli e contrari e poi si spieghi, in maniera logica e razionale, la propria scelta per l’una o l’altra visione. Ma per la PAS o alienazione parentale non vi è alcuna controversia visto che è stata dichiarata priva di basi scientifiche dal Ministro della Salute nel 2012 (la CTU è del 2014).

Quarta bestialità: in un paragrafo questa alienazione parentale viene assegnata alla categoria dei Disturbi relazionali del DSM-5 (categoria che non esiste nel DSM-5), in un paragrafo successivo scompare il disturbo relazionale e compare il problema relazionale. Di una competenza professionale unica. Secondo me questi non sanno nemmeno cos’è il DSM-5.

Quinta bestialità: il pietoso copia-incolla fatto senza vergogna, per esempio dall’anonimo comunicato SINPIA, accatastando assieme concetti che non hanno nulla in comune (mobbing, stalking, ecc).

Arriviamo adesso al vero e propro falso in perizia e quindi alla frode processuale: vi si afferma che “negli USA il costrutto della Parental alienation ha superato i criteri delle Frye e Daubert rules”. Questo è del tutto falso, come ha dimostrato la D.ssa Jennifer Houlth nella sua tesi di dottorato in Diritto. Questa circostanza è stata ben evidenziata al Giudice, ma evidentemente le cose dovevano andare in un certo modo e a nulla valeva rimarcare le bestialità e le falsità.

Com’è finita, o meglio non è ancora finita, questa vicenda? Lo leggete qua.

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