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I TROMBONI DELLA PAS

“Succube sempre starò io ad ascoltare?”
Non si può non scrivere satire
quando chi è convinto di stare
toccando il cielo con un dito
non s’accorge che con quel dito
sta toccando ben altra materia
dalla natura escatologica.
(Giovenale, Satire, modificato)

Sappiamo chi sono.
Dal 1997, anno in cui la scienza spazzatura è stata introdotta in Italia, al 2012, anno in cui il Ministro della salute ha dichiarato che la spazzatura, cioè la PAS, è autentica spazzatura, cioè priva di basi scientifiche, hanno sostenuto che la PAS, sindrome di alienazione genitoriale, fosse una grave malattia che colpiva genitori e bambini dopo la separazione coniugale.
Non tutti i genitori e tutti i bambini, però; solo quei bambini che rifiutavano la relazione con un genitore, e il genitore non rifiutato.
Che questo concetto fosse del tutto illogico, fuori del buon senso e della scienza (rifiutare un genitore non è una malattia!!), pareva irrilevante ai tromboni di cui sopra, che sul dolore e la sofferenza di migliaia di bambini e di genitori amorevoli hanno costruito le proprie carriere professionali e arricchito il proprio conto in banca.
Con un sadismo e una disumanità degni dei gerarchi nazisti proponevano le impropabili terapie di questa “malattia”, ovvero i cosiddetti incontri protetti (un modo di torturare i bambini) o l’inserimento nei cosiddetti luoghi neutri, ovvero i manicomi per minori, luoghi di vere e proprie torture psicologiche miranti a far accettare ai bambini ivi rinchiusi il genitore rifiutato.
Suonavano tutti accordati questi tromboni, sino al 2012.

Dopo il 2012 hanno cominciato a stonare, a non suonare più accordati la stessa musica.
Chi sosteneva che la PAS, ridenominata all’uopo alienazione parentale, sarebbe stata presente nel futuro DSM-5, chi parlava di rifiuto immotivato (autentica scemenza perché qualsiasi comportamento ha sempre una motivazione), chi di bambini reclutati nella guerra contro un genitore (il reclutamento in una guerra sarebbe una nuova malattia?), chi di mente colonizzata dai voleri degli adulti (ma anche così sarebbe una nuova malattia?).

Poi, nel 2014 è stato pubblicato il DSM-5 in italiano e né la PAS né l’alienazione parentale vi erano descritte.
E qui la confusione dei tromboni si è fatta totale, e dai loro padiglioni son cominciate a venir fuori delle autentiche pernacchie.

C’è chi ha voluto leggere alienazione parentale laddove il DSM-5 parlava di problema relazionale, c’è chi ha fatto confusione tra problema relazionale e disturbo relazionale (che non esiste), c’è chi con molta onestà ha riconosciuto che l’alienazione parentale non era descritta nel DSM-5 ma che nelle sue pagine c’era comunque lo spirito dell’alienazione parentale.

Adesso hanno scoperto l’ICD, ovvero la classificazione internazionale delle malattie.
Intendiamoci, i tromboni nostrani sino a poco tempo fa nemmeno sapevano dell’esistenza dell’ICD, né ovviamente sanno ancora cosa sia; è stato il trombone internazionale William Bernet che ne ha fatto cenno per primo.
L’ICD è il sistema di classificazione utilizzato a livello internazionale per codificare tutte le malattie e le cause di morte, in maniera da avere una uniformità classificatoria che consenta rilievi epidemiologici, e quindi maggiori conoscenze sulle malatie stesse e sullo stato di salute della popolazione.
L’ICD è usato esclusivamente dai medici ospedalieri per compilare le SDO, ovvero le schede di dimissione ospedaliera, e anche dai medici del territorio per compilare correttamente i certificati di morte. Questo consente di avere dati uniformi su morbilità e mortalità della popolazione a livello mondiale. L’ICD è infatti il sistema classificativo messo a punto dall’OMS, ovvero dalla Organizzazione Mondiale della Sanità.
L’ICD non è utilizzato dagli psicologi ma solo dai medici. Gli psicologi non hanno nessuna familiarità con l’ICD; ne parlano a vanvera ma non sanno cosa sia. I medici cominciano a utilizzare l’ICD sin da quando iniziano a lavorare, gli psicologi mai.
Come si vede l’ICD non ha nulla a che fare che le trombonate della PAS o alienazione parentale; perché non ha nulla a che fare con queste trombonate? Perché si è già assodato che PAS e alienazione parentale non sono malattie.
Ma i tromboni insistono, stanno dando l’assalto all’ICD perché vi sia ricompresa l’alienazione parentale; in che modo lo stanno assaltando? Con studi scientifici? Noooooo!!!!! Con e-mail e petizioni!!

Ma signori tromboni, lo sapete, no, che per il riconoscimento scientifico di una determinata condizione come malattia ci vogliono studi scientifici?
Non lo sapete? Il concetto di studio scientifico vi risulta indigesto? E prendetevi del bicarbonato, e soprattutto andate a trombonare altrove.
Ma vediamo cosa sostengono.
Sostengono, i tromboni, che l’alienazione parentale sarebbe sinonimo del problema relazionale adulto-bambino, descritto in una delle bozze dell’ICD con il codice QE52; allo stato attuale sotto il codice QE52 si legge questo.

Ma, comunque, proprio non sanno di cosa stanno parlando.
1) in primo luogo, quella che circola è solo una bozza della classificazione, quindi fino a quando non sarà ufficializzata ogni illazione è priva di senso (ma i tromboni ai ragionamenti senza senso ci sono abituati);
2) in secondo luogo, se nella bozza della classificazione c’è scritto problema relazionale (non alienazione né estraniazione) si tratta di un problema di relazione che esiste tra il bambino e l’adulto, e cioè, eventualmente, tra il bambino che rifiuta e l’adulto che viene rifiutato, non tra il bambino e il genitore che non viene rifiutato;
3) infine, tale problema non è classificato nei capitoli delle malattie ma nel capitolo 24 che si intitola: Fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari.

La bozza della classificazione dell’ICD ci dice quindi che:
1) può esistere un problema relazionale adulto-bambino,
2) tale problema può influenzare lo stato di salute di entrambi,
3) ma non è esso stesso un problema di salute del bambino.

Poi, siamo in Italia, arriva un senatore che parla di estraniazione.
E da dove viene fuori quest’altra cosa?
Beata ignoranza.
Con estraniazione alcuni dei citati tromboni vorrebbero fare riferimento a ciò che si intendeva in passato come alienazione parentale, ma senza più utilizzare la parola alienazione; estraniazione dovrebbe essere la traduzione corretta in italiano della parola inglese estrangement, presente nel capitolo del problema relazionale genitore-bambino del DSM-5.
Bene seguiamo il loro ragionamento; il bambino che rifiuta un genitore è estraniato, non più alienato.
Ma il provare sentimenti di estraneità, verso una persona o verso una situazione, è, in psichiatria, sintomo specifico di un ben preciso disturbo mentale che si chiama disturbo da stress post-traumatico (pag. 314 del DSM-5, codice 309.81, criterio diagnostico D6; nell’ICD-10 codice diagnostico F43.1); questo significa che il bambino che manifesta l’estraniazione verso un genitore ha subito un trauma proprio da quel genitore.
Ciascuno tragga le proprie conclusioni (e i tromboni tacciano una volta per tutte).

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IL QUESITO STANDARD

Circola in rete la notifica di un prossimo convegno nel corso del quale sarà presentato il «quesito standard da utilizzare per le consulenze tecniche psicologiche nei procedimenti di separazione e divorzio con affidamento di figli nati sia all’interno che al di fuori del  matrimonio (ed eventuali, relative modifiche), con l’obiettivo di sottoporre ai CTU richieste omogenee per le valutazione da compiere, pur nella diversità delle specifiche situazioni familiari», sottoscritto da «La Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e l’Ordine degli Psicologi del Lazio, all’esito di un lungo lavoro condiviso».

STANDARD
Una delle definizioni di standard è la seguente: «Modello, tipo, norma cui si devono uniformare, o a cui sono conformi, tutti i prodotti e i procedimenti, tutte le attività e le prestazioni, di una stessa serie».
In questa logica le famiglie separande o già separate, pur nella riconosciuta «diversità delle specifiche situazioni familiari», verranno uniformate, alla stregua di prodotti dell’industria, l’industria delle CTU nello specifico, in maniera da pervenire a una artificiosa uniformità.
In che misura tale standardizzazione sia nell’interesse della Giustizia non è, ovviamente, materia di mia competenza.
Non è comunque una novità perché proprio a Roma, in situazioni nettamente differenti, mi sono trovato di fronte a quesiti formulati con il copia-incolla.

Tra l’altro, in due di queste situazioni diverse non vi erano più figli da affidare ma un solo figlio; ma si sa la standardizzazione qualche sacrificio lo richiede. Quesito unico = pensiero unico, valido per tutte le situazioni.

Poi, se si perde qualcosa in termini di giustizia e umanità, pazienza.
Che poi il lungo lavoro condiviso abbia visto la partecipazione di psicologhe use a concludere i propri compitini (leggasi relazioni psicodiagnostiche) aggiungendo, per esempio, all’elaborato di undici pagine una dodicesima pagina come la seguente, lascio al lettore ogni valutazione e considerazione.

Si possono accentuare, si può insistere. In base a quali criteri? Quello del maggior offerente?

A ogni buon conto allego un mio vecchio scritto circa l’utilità o meno di disporre CTU nei casi di affidamento dei minori.

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DAL BRASILE UNA GRANDE LEZIONE DI CIVILTÀ

Nel 2010 un’associazione di padri separati esultò alla grande per l’approvazione in Brasile di una legge che riconosceva l’alienazione parentale.

Adesso, dopo otto anni, il Brasile ha voltato pagina e ha approvato una legge per la protezione di donne e bambini dalla violenza e dagli abusi sessuali.

La legge modifica il Codice civile brasiliano prevedendo la perdita dell’affidamento e della custodia dei figli (potestà genitoriale) per il genitore violento o abusante.

«Lo scorso mercoledì il Senato ha approvato la PCL 13/18. La proposta, presentata dalla deputata Federale Laura Carneiro, determina che le persone che hanno commesso crimini contro il padre o la madre dei propri figli perderanno automaticamente il potere familiare – relativo alla custodia dei minori».

Il Sud-America non ha la Convenzione di Istanbul ma ha una Convenzione Interamericana per la prevenzione della violenza contro le donne, Convenzione di Belém che risale al 1994.
Ventiquattro anni per la sua applicazione.
Noi in Italia dobbiamo aspettare altrettanto per vedere applicata la Convezione di Istanbul?

In Brasile hanno voltato pagina sull’alienazione parentale perché in questi otto anni si sono resi conto del disastro sociale provocato dall’utilizzo di questo concetto nei processi di separazione e affidamento dei minori.
Si sono resi conto che stavano tutelando il genitore violento o abusante invece di tutelare realmente donne e bambini.
Si sono resi conto della mistificazione di Gardner e dei suoi seguaci, o ‘fedeli’, secondo la sua stessa dichiarazione alla Conferenza di Francoforte del 2002.

L’attuale Governo italiano invece, condizionato dalla presenza nella maggioranza di una forza politica razzista, omofoba e misogina, quindi sostanzialmente fascista, ha previsto nel contratto di governo norme per tutelare i padri violenti o abusanti, mistificandole come lotta all’alienazione parentale.
L’approvazione di queste norme, come dai primi Disegni di legge presentati (n° 45 e n° 735), ispirati dalle associazioni di padri separati, ci porterà al medesimo disastro sociale.

L’Italia non ha bisogno di una legge sull’alienazione parentale perché questa congettura, priva di basi logiche e scientifiche, mira solo a proteggere i genitori violenti o abusanti e a occultare le violenze su donne e bambini.
L’Italia ha bisogno di norme per l’applicazione della Convenzione di Istanbul.

AGGIORNAMENTO

Il suddetto progetto di legge è stato ratificato dal Presidente della Repubblica e pubblicato come Legge federale n. 13715 del 24/09/2018.

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DDL 735 – I

Ovvero “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di
bigenitorialità”; potete leggerlo qui.

Sottotitolo: un pastrocchio incredibile.

Le norme in materia di Diritto di famiglia vanno sicuramente aggiornate alla luce sia della violenza sempre crescente che emerge nelle relazioni familiari e affettive in genere sia della normativa comunitaria relativa alla violenza di genere e intrafamiliare. Invece i padri separati, che hanno ispirato il DDL, ci propongono il ritorno al codice del 1942, il ritorno al pater familias. Il nuovo che arretra.

La grande assente di questo DDL è proprio la violenza, come se questa parola sia interdetta e il suo solo pronunciarla, o scriverla, possa provocare disastri, maremoti, terremoti, il ritorno di Satana. Nel profluvio di parole di questo DDL, ben 10.537, di articoli, commi e sottocommi, la parola violenza compare solo tre volte, una volta da sola, una nell’espressione ‘violenza domestica’ e una in quella di ‘violenza endofamiliare’. Tutto qui, egregi Senatori che avete sottoscritto questo DDL? Il DDL dei padri separati?

Nel 2011 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha emanato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, detta per brevità Convenzione di Istanbul (CdI) per il semplice motivo che è stata approvata nella città di Istanbul.

Forse alcuni padri separati leggendo la parola Istanbul si saranno allarmati temendo un’invasione islamica, ma coraggio, leggetela, non è una cosa turca, nonostante il nome. Non può nuocere alla vostra salute.

La CdI è stata ratificata dall’Italia con la Legge n. 77 del 2013 e quindi è a tutti gli effetti una legge dello Stato italiano che chiunque ha l’obbligo di osservare e di farla osservare; a maggior ragione i Senatori dello Stato italiano che si apprestano ad apportare modifiche al Diritto di famiglia, dato che la CdI si occupa precipuamente di violenza intra-familiare.
Invece di applicare la CdI e quindi apportare al Codice Civile le modifiche richieste dalla CdI alcuni Senatori presentano un DDL fuorilegge, nel senso che non tiene nel minimo conto quanto previsto dalla CdI in termini di affidamento dei minori, mediazione familiare, ecc. Non solo, per alcuni aspetti, come si vedrà di seguito, è in aperto contrasto con le norme introdotte dalla Legge 77/13.

Qualora il DDL 735 venisse approvato senza le necessarie modifiche richieste dalla normativa comunitaria andrebbe sicuramente incontro a censure da parte della Comunità europea.

Per taluni aspetti presenterebbe profili di incostituzionalità:
– Art 10, comma 1: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
– Art. 117, comma 1: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Inoltre verrebbe disapplicato in sede giudiziaria come da Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penali: «L’obbligo di interpretazione conforme è ancora più pregnante riguardo alle norme elaborate nell’Unione Europea, atteso che il principio del primato del diritto comunitario impone al giudice nazionale l’obbligo di applicazione integrale per dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella comunitaria. Ove sorgano questioni di conflitto con una norma interna, il giudice deve disapplicare la norma interna» (Sentenza 29 gennaio 2016 n. 10959).

Come dicevo in apertura, un incredibile pastrocchio.
Ma, onestamente, si può mai ritenere che chi ha sfasciato la propria famiglia in malo modo (violenza o abusi sessuali incestuosi) possa costruire qualcosa di buono per la società?

Mi permetto di consigliare ai sigg.i Senatori della Commissione Giustizia di documentarsi meglio su tali questioni, non su Wikipedia o sui blog dei padri separati ma su testi seri:

A) Sulla violenza in famiglia: “Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale“, di Marco Cavina, Professore Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno all’Universtià di Bologna.

B) Sulla violenza di genere: “Crimini contro le donne“, del giudice Fabio Roia.

C) Sui conflitti tra padri e figli: “Non sei più mio padre” e “Come uccidere il padre“, di Eva Cantarella, storica dell’antichità e del Diritto antico.

D) Sugli abusi sessuali incestuosi sui minori: “Rompiamo il silenzio“, dell’avv. Girolamo Andrea Coffari, Presidente del Movimento per l’Infanzia; “Abuso sessuale sui minori. Scenari, dinamiche, testimonianze“, di Giuliana Olzai.

Come ha scritto Norbert Wiener, il padre della Cibernetica, «Per rispettare il futuro bisogna essere consapevoli del passato; e se le ragioni dove questa consapevolezza del passato è reale si sono ridotte a una punta di spillo, tanto peggio per noi, per i nostri figli e per i figli dei nostri figli» (Norbert Wiener, Introduzione alla cibernetica, Universale Scientifica Boringhieri, 1970).
Chi ha scritto quel DDL mostra di non avere nessuna consapevolezza della storia della famiglia e del Diritto di famiglia e ci porterà al disastro sociale.

VAI ALLA SECONDA PARTE

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MA GARDNER PROPRIO NON VI FA SCHIFO?

Non dico molto, ma almeno un pochino; mi riferisco ai tanti, psicologi-psichatri-neuropsichiatri infantili in primo luogo, ma anche avvocati, giornalisti, ecc., che ancora lo santificano e sostengono la PAS oggi riesumata come alienazione parentale.

Sto leggendo il libro dell’Avv. Coffari; conoscevo già le opinioni di Gardner sulla pedofilia,  ma leggere quello che di Gardner riporta l’Avv. Coffari davvero dà i brividi.

E ripeto la domanda di cui sopra: egregi colleghi (mi riferisco a psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili), egregi avvocati ed egregi giornalisti/blogger/opinionisti che esaltate Gardner e la sua alienazione parentale, ma qualcosa del pensiero folle di questo personaggio l’avete mai letta? O parlate a vanvera? Tanto per dare aria al cervello ogni tanto?

Ed eccellenti magistrati che con alcune sentenze sull’affidamento dei minori mostrate di aderire acriticamente al pensiero dei sostenitori di Gardner perché non provate a leggere il libro dell’Avv. Coffari? Potreste cominciare a cacciare dai Tribunali chiunque parli ancora di alienazione parentale.
La mia prima nota su Facebook, quando ancora sapevo poco della faccenda, si intitolava “Un orco si aggira per i tribunali dei minorenni”; non posso che riconfermarla adesso con  maggiore forza. Ogni volta che in una CTU si parla di PAS o alienazione parentale, ogni volta che vengono citati Gardner o i fautori nostrani di questo folle concetto, l’orco è già entrato in Tribunale e non ve ne siete accorti.

Ma cosa ho letto di tanto sconvolgente nel libro del’Avv. Coffari?
Dalla pagina 453 in poi l’Avv. Coffari riporta i criteri che Gardner suggeriva di utlizzare per distinguere le denunce vere di abusi sessuali sui minori da quelle false. Questo è materiale che non conoscevo e che l’Avv. Coffari ha trovato acquistando e facendo tradurre i libri di Gardner.

Un primo criterio è questo: se la madre si è rivolta all’autorità giudiziaria o ai Servizi sociali per segnalare/denunciare gli abusi, significa che gli abusi non ci sono mai stati, che la denuncia è falsa. Se invece la madre tace, parla con il marito, cerca un chiarimento, allora vuol dire che gli abusi sono veri.

Gardner ha ancora il coraggio di scrivere: “le madri dei bambini che sono stati realmente abusati sono più propense di apprezzare la relazione padre-bambino, al contrario, le madri che diffondono false accuse sono spesso arrabbiate e non apprezzano l’importanza della relazione padre-figlio”.

Altro criterio indicato da questo autentico maiale è la religiosità della madre; per Gardner se la madre è religiosa, frequenta la chiesa, vuol dire che è una moralista che lancia facilmente false accuse.

Se la madre aderisce o condivide campagne per la prevenzione degli abusi sessuali nell’infanzia, promosse dalle scuole, è una calunniatrice che lancia false accuse.

Se la madre registra ciò che le rivela il figlio significa che l’accusa è falsa.

Se i bambini parlando degli abusi subiti affermano di dire la verità vuol dire che l’accusa è falsa.

Nella sostanza, se gli abusi sono veri la madre non deve denunciarli; se vengono denunciati vuol dire che sono falsi.

Quanto tempo deve ancora trascorrere prima che questa spazzatura lurida e fetente venga gettata in qualche discarica?

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COS’È L’ALIENAZIONE PARENTALE? – I

È una bufala, una fake news, e chi la diffonde è un bufalaro, un illusionista della psicologia. Di recente è comparso su un blog l’ennesimo post che propaganda la fake news; vedo di esaminarlo.

§ 1. Il Codice Civile
L’art. 337-ter comma 1 sancisce che «il minore ha il diritto» – MA NON IL DOVERE – «di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori», ecc, ecc. La legge è scritta chiaramente: il minore ha un diritto cui fa da contraltare il dovere di entrambi i genitori. Nella prassi psicogiudiziaria questo concetto è stato del tutto ribaltato, per cui il diritto è diventato degli adulti, in particolare dei padri, mentre per il minore quello che era un suo diritto è diventato un dovere, quello di mantenere rapporti anche con il genitore violento o che ha compiuto abusi sessuali sul figlio.

Perché la questione vera è tutta qui, la negazione delle violenze e degli abusi sessuali sui minori, che disperatamente la psicologia giuridica cerca di occultare con concetti ai limiti dell’oscenità (‘oscenità’ qui è intesa nel senso che a questa parola conferisce Jean Baudrillard), ribaltando il principio di realtà.

Il ricorso al concetto di alienazione parentale (in passato sindrome di alienazione genitoriale) si osserva ogniqualvolta una donna vittima/testimone di violenza in famiglia e violenza assistita sui figli minori, o a conoscenza di abusi sessuali del padre sui figli, fa istanza di separazione coniugale denunciando questi fatti, documentandoli con referti medici e/o psicologici, testimonianze, audio-videoregistrazioni, ecc.

Alla richiesta di separazione, e alle eventuali denunce in sede penale, l’ex-coniuge, quando non la ammazza, denuncia che la ex-moglie ostacola il suo rapporto con i figli, senza però produrre alcuna prova di questo ostacolo al rapporto con i figli; ovviamente i figli, a loro volta vittime/testimoni di violenza o di abusi sessuali, non hanno il minimo desiderio di continuare a relazionarsi con il loro carnefice, anche se si tratta del loro padre.

Con il concetto di alienazione parentale gli psicologi giuridici, e ovviamente gli avvocati che difendono i padri accusati di violenze e/o abusi, cercano in primo luogo di screditare la testimonianza dei minori ma anche la testimonianza delle madri che cercano di proteggere i figli dalle violenze e dagli abusi sessuali; in secondo luogo cercano di ribaltare, di falsificare la realtà, presentando il carnefice come vittima della cosiddetta alienazione e le vittime come carnefici che cercano di ostacolare il rapporto dei figli con i padri.

Naturalmente, non potendo provare questa ipotesi processuale, gli avvocati fanno richiesta di una CTU psicologica che possa dimostrare, trovare le prove di quanto da loro sostenuto. Ma una CTU, sia pure psicologica, non è un mezzo di prova, non può essere utilizzata da una parte processuale per sopperire alla mancanza di prove. L’invenzione della PAS da parte di Gardner aveva proprio questo scopo: sopperire alla mancanza di prove del presunto lavaggio del cervello dei minori tirando in ballo una malattia inesistente

«In materia di procedimento civile, la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze», come riporta consolidata giurisprudenza.

È pur vero che esiste un orientamento giurisprudenziale di diversa natura: «In tema di consulenza tecnica di ufficio, il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche» (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3990).

Ma qui casca l’asino, come si suol dire.

La famigerata alienazione parentale altro non è che la riesumazione della defunta sindrone di alienazione genitoriale, per usare una felice espressione di Nadia Somma; non condivido questa visione tanato-psicologica della psicologia giuridica.

Il Ministro della Salute nel 2012 ha dichiarato che la PAS non ha alcun fondamento scientifico; di conseguenza privi di validità scientifica sono, analogamente, tutti quei concetti che fanno riferimento al medesimo costrutto, e cioè al concetto che i bambini che rifiutano un genitore siano condizionati dall’altro genitore. Si sta quindi parlando della stessa cosa.

Ma è possibile dimostrare questo presunto condizionamento? Come si fa a dimostrarlo sotto il profilo giuridico? E come si fa a dimostrarlo sotto il profilo psicologico?

Circa l’aspetto giuridico della questione ci viene in soccorso la sentenza della Corte Costituzionale n. 96 del 1981, sul reato di plagio (è indubbio che questa cosiddetta alienazione parentale ricalca il concetto di plagio che, se è giornalisticamente plausibile lo è molto meno sul piano giudiziario). Senza ripetere cose già scritte rimando alle stesse. Riporto solo un breve stralcio di questa sentenza: «Presupponendo la natura psichica dell’azione plagiante è chiaro che questa, per raggiungere l’effetto di porre la vittima in stato di totale soggezione, dovrebbe essere esercitata da persona che possiede una vigoria psichica capace di compiere un siffatto risultato. Non esistono però elementi o modalità per potere accertare queste particolari ed eccezionali qualità … Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l’asservimento totale di una persona».

Per gli aspetti psicologici è evidente che non esiste, a meno di essere in possesso di capacità divinatorie, cosa in cui gli psicologi giuridici sembrano essere particolarmente versati, la possibilità di dimostrare questo condizionamento psicologico; sono possibili illazioni, prive però di validità logica oltre che scientifica, ma non la certezza. E in tribunale si devono portare certezze non illazioni, non opinioni personali. Anche le risultanze dei test psicologici, che hanno un valore obiettivo ma non certo oggettivo, non sono in grado di dare certezze in merito al presunto condizionamento.

Mentre le violenze e, meno spesso, gli abusi sessuali sono fatti oggettivi e documentati, provati, il presunto condizionamento psicologico, altrimenti chiamato alienazione parentale, resta nell’ambito delle illazioni e delle opinioni soggettive.

Quindi, secondo il modo di ragionare degli psicologi giuridici, il giudice in presenza di prove di violenza e in assenza di prove del presunto condizionamento dovtebbe accantonare le prove delle violenze, o degli abusi, e presumere il condizionamento dal rifiuto; ma, come ancora già scritto più volte, il rifiuto non è la prova del presunto condizionamento ma ne è, eventualmente la conseguenza, così come può essere la conseguenza delle violenze e degli abusi sessuali. Dalla presenza del rifiuto si può, quindi, legittimamente presumere sia il condizionamento sia le violenze; del primo esistono illazioni, delle seconde esistono prove.

Logica vorrebbe  che le prove siano prevalenti sulle illazioni; nel mondo alla rovescia della psicologia giuridica le illazioni valgono più delle prove.

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MA LA PSICOLOGIA GIURIDICA ESISTE?

La domanda mi è venuta spontanea, come si suol dire, leggendo e ascoltando alcune esternazioni di coloro che si auto-definiscono psicologi giuridici. Hanno creato siti internet, blog, fondazioni, corsi di alta formazione, ecc, tutti ossessivamente declamanti la medesima giaculatoria: “L’alienazione parentale esiste”.

Ora, è questione di psicologia spicciola, questo reiterato reclamizzare, quasi una monomania delirante, la giaculatoria di cui sopra ha più l’aria di convincere se stessi prima di convincere gli altri su quello che vanno sostenendo.

Non solo; ci lasciano capire, in questo modo, che la psicologia giuridica trova la sua ragione di essere soltanto nell’esistenza della cosiddetta alienazione parentale, ex-PAS, e che senza di essa anche la psicologia giuridica cesserebbe di esistere.

La psicologia giuridica è quindi stata fondata alcuni anni fa solo per propagandare la PAS, (sindrome di alienazione genitoriale), ora alienazione parentale, e non per altri nobili scopi; dopo che la PAS è stata dichiarata priva di validità scientifica dal Ministro della Salute, per non correre il rischio di estinguersi la psicologia giuridica si è abbarbicata su questa nuova invenzione, l’alienazione parentale.

L’operazione PAS/alienazione parentale somiglia molto a quelle operazioni commerciali in cui un’autorità sanitaria dispone il divieto di vendita di un prodotto perché adulterato; il produttore lo ritira dal commercio e poi lo rimette in vendita cambiando solo l’etichetta. In casi del genere si parla di truffa, di frode commerciale. Nel caso che c’interessa potremmo parlare di truffa, di frode scientifica?

Per non correre il rischio di essere nuovamente smentiti a livello scientifico ne affermano ora l’esistenza a prescindere; un po’ come la scie chimiche, esistono, basta crederci e chi non ci crede è un complottista, o, come si esprimono loro, un negazionista dell’alienazione parentale.

Il termine ‘negazionismo’ ha un chiaro riferimento alla shoah e cioè a un fatto storico drammatico, l’olocausto degli ebrei a opera del nazismo; il suo uso perverso da parte dei sostenitori dell’alienazione parentale, dimostra l’assoluta mancanza di sensibilità umana, e di capacità di ragionamento logico, di questi soggetti poiché anche nell’ipotesi di reale e concreto condizionamento di un bambino a opera di un genitore, ci troveremmo, nel singolo caso giudiziario, di fronte a un reato, il maltrattamento psicologico del minore (art. 572 CP) e non a un fatto storico verso il quale vi possano essere posizioni negazioniste.

Reato che, come tutti i reati previsti dal codice penale, necessita, perché se ne affermi l’esistenza in quello specifico caso giudiziario, di prove concrete e incontrovertibili, al di là di ogni ragionevole dubbio, e non di petizioni di principio.

Difatti, un conto è affermare che i reati (es. furto, rapina, omicidio) esistono, altro conto è dimostrarlo nello specifico caso giudiziario. Così, un conto è affermare che un condizionamento psicologico di un figlio è possibile, altro è dimostrarlo nel processo. Credo che nessun giudice condannerebbe una persona senza la prova che quella persona sia responsabile del fatto-reato che le viene imputato.

Naturalmente, loro assumono quale prova dell’avvenuto condizionamento il rifiuto che talvolta alcuni figli mostrano verso la relazione con un genitore; e qui dimostrano ancora una volta, la loro scarsa capacità di ragionare logicamente, oppure la loro clamorosa malafede.

Il rifiuto può essere la conseguenza di un condizionamento psicologico ma non è la sua prova, la sua dimostrazione; questo tipo di ragionamento, quello cioè di invertire i termini logici del discorso, di ritenere la conseguenza di un fatto come prova di quel fatto, somiglia molto al tipico ragionamento dei deliranti che assumono l’identità di due proposizioni sulla base dell’identità dei predicati e non dei soggetti.

Un tipico esempio è il seguente:

Io sono un uomo;
Napoleone è un uomo;
io sono Napoleone.

È chiaro a tutti noi che le due proposizioni (‘io sono un uomo’ e ‘Napoleone è un uomo’) sono differenti perché differente ne è il soggetto; il predicato però è il medesimo (‘un uomo’). Nel delirio, ma anche nel sogno, nel pensiero pre-logico dei bambini, nell’inconscio, le due proposizioni vengono assunte come identiche sulla base dell’identità del predicato, e così uno si convince di essere Napoleone.

Nel caso della cosiddetta alienazione parentale il ragionamento che gli psicologi giuridici (non so quanto consapevolmente e quanto in malafede), e i padri separati (questi ultimi in sicura malafede) fanno è il seguente:

Il figlio rifiuta il padre;
il rifiuto è la prova del condizionamento;
chi ha condizionato il figlio è la madre.

Un’azione (l’atto del rifiutare) che può essere la conseguenza di un fatto (il presunto condizionamento) viene assunta come prova del fatto stesso; l’errore logico, il corto circuito logico, è quello di scambiare la conseguenza per la prova.

Un ragionamento corretto, sotto il profilo logico è invece il seguente:

Il bambino rifiuta il padre;
il rifiuto può essere la conseguenza di un condizionamento psicologico
ma può essere anche la conseguenza dei comportamenti del padre.
Abbiamo elementi concreti che dimostrino il condizionamento?
Abbiamo elementi concreti che dimostrino che il padre
ha dei comportamenti incongrui verso il figlio
che portano quest’ultimo a rifiutarlo?

L’analisi da svolgere nella eventuale CTU è proprio di questo tipo, un’analisi causale, per riprendere una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, spesso citata a sproposito dai professionisti che sostengono l’alienazione parentale (cosiddetta sentenza Cozzini); in quella sentenza i Giudici della Cassazione hanno ribadito il principio giuridico, oltre che logico, per il quale un evento trova la sua motivazione in una molteplicità di cause.

Dico eventuale CTU perché se i giudici si attenessero a quelli che sono principi giuridici consolidati, nei casi di rifiuto non ci sarebbe bisogno di disporre alcuna CTU; si tratta di questioni giuridiche da risolvere, magari complesse, ma sempre di natura giuridica e non psicologica. Accertare i fatti è compito della Giustizia, non della Psicologia sia pure giuridica.

In questi anni la psicologia giuridica non ha fatto altro che falsificare la realtà, dapprima enfatizzando come scientifica una presunta malattia (la PAS) che scientifica non era (e non lo dico io ma, autorevolmente, lo ha dichiarato il Ministro della Salute nel 2012); poi manipolando l’informazione con l’affermare che non più di PAS si doveva parlare ma di alienazione parentale, lasciando però inalterata la sostanza della questione; poi dicendo che anche se l’alienazione parentale non è descritta nel DSM-5 vi è presente sotto forma di spirito; poi affermando che è distribuita nel DSM-5 tra varie categorie diagnostiche; poi “ma chi se ne frega del DSM-5”.

Ma la Giustizia ha bisogno di questa Psicologia?

Una psicologia alla quale difetta proprio il logos, e cioè il pensiero razionale, la capacità di ragionare in base alla logica.

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LA CARTA DI NOTO – IV PARTE

Nella terza parte ho dimostrato che uno dei teoremi della psicologia giuridica, e cioè che i bambini non avrebbero memoria (quella che loro chiamano amnesia infantile) è totalmente privo di qualsiasi fondamento scientifico; tutti gli studi dimostrano il contrario.

Adesso vediamo di parlare dell’altro loro teorema, i cosiddetti falsi ricordi o false memorie.

La frase incriminata del loro più recente documento è la seguente: “È probabile che eventuali vuoti nel ricordo siano colmati con elementi coerenti con l’avvenimento oggetto del ricordo inferiti da informazioni disponibili, per quanto non direttamente percepiti durante l’esperienza originaria.

Non parlano più esplicitamente di false memorie, si sono fatti più attenti, usano delle circonlocuzioni, si servono della comunicazione persuasiva, ma il senso è sempre lo stesso: i bambini sono suggestionabili, sui bambini possono essere impiantate con facilità false memorie.

Su che cosa basano questo secondo teorema? Sul nulla. Esiste in giro un loro studio che risale al 2004, svolto in una classe di scuola elementare su 53 bambini; ma è privo di validità scientifica tanto che nemmeno loro lo citano più.

In pratica, nella classe si presentò uno sperimentatore dicendo di essere un giornalista che rivolse alcune domande ai bambini e svolgendo con loro alcuni giochetti; dopo una settimana un’altra sperimentatrice si è presentata nella scuola dicendo che il giornalista aveva smarrito la registrazione e che quindi voleva ricostruire l’evento con l’aiuto del bambini, ponendo loro domande suggestive. Risultò che solo il 15% dei bambini aggiunse dei particolari di fantasia; risultato che viene da loro fortemente enfatizzato per dimostrare che i bambini nella ricostruzione di un evento possono introdurvi degli elementi di fantasia. Omettono però di dire che nell’85% dei casi i bambini non hanno aggiunto alla ricostruzione dell’evento alcun elemento di fantasia.

Se ne dovrebbe dedurre che quando i bambini riferiscono di violenze o abusi sessuali sono, evidentemente, credibili, nell’85% dei casi.

Ma dimenticano di riferirsi alla letteratura internazionale che dimostra una cosa fondamentale: è possibile indurre in alcuni casi il falso ricordo di episodi tutto sommato plausibili, ma non è possibile, in nessun caso, indurre il falso ricordo di un evento non plausibile, come ad es. quello di un abuso sessuale subito nell’infanzia.

Uno degli studi più significativi in tal senso è quello di Pedzek e Hodge.

Le autrici si sono proposte di studiare la possibilità di impiantare false memorie mediante la descrizione a due gruppi di bambini di due eventi veri e di due eventi falsi che loro avrebbero vissuto all’età di quattro anni.

Come falsi eventi da descrivere ai bambini sono stati scelti un evento plausibile (essersi persi in un supermercato) e un evento non plausibile (aver subito un clistere).

Dallo studio è risultato in primo luogo che la maggioranza dei bambini (54%) non ha ricordato nessuno dei due falsi eventi; che alcuni bambini si sono lasciati suggestionare dal racconto, ricordando di essersi persi in un supermercato da piccoli (evento plausibile) ma nessuno ha ricordato di aver subito un clistere (evento non plausibile).

Le autrici concludono che la possibilità di impiantare false memorie nei bambini è legata alla plausibilità dell’evento e ciò sarebbe in relazione alla presenza in memoria di uno script sulla precedente conoscenza di quel tipo di evento (es. per averne sentito parlare anche se occorso ad altri bambini), mentre è risultato che non è possibile impiantare nei bambini la falsa memoria di un evento non plausibile (nello studio l’aver subito un clistere da piccoli).

Credo che questo studio faccia piazza pulita del teorema della psicologia giuridica sulle false memorie per il quale la testimonianza del bambino vittima di abusi sessuali viene screditata sulla base della presunta facile suggestionabilità dei bambini.

Si deve pertanto ritenere che la testimonianza dei bambini sulle violenze, dirette o assistite, e sugli abusi sessuali subiti siano veritiere sino a prova di falso; tale prova di falso non può essere la PAS o alienazione parentale, non può essere il problema relazionale, non può essere la teoria del rifiuto immotivato del minore. Né possono esserlo altre loro invenzioni, come l’adattamento alla situazione della CTU di test (LTPc, aIAT, ecc) nati originariamente per misurare altre variabili; solo spazzatura pseudoscientifica.

Nei post successivi analizzerò i singoli punti del documento Carta di Noto IV.

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LA CARTA DI NOTO – III PARTE

Come accennato nella seconda parte, nel suo lavoro sulle memorie traumatiche precoci Gaensbauer riporta casi clinici personali e casi di altri autori, con abbondanza di riferimenti bibliografici. Esamina la memoria precoce sulla base dell’età anagrafica dei bambini esaminati. Riporto testualmente alcuni paragrafi di questo importante lavoro.

Memoria da zero a due mesi

Nelle prime settimane di vita il bambino è capace sia di provare una reazione di stress sia di associarla in maniera condizionata a uno stimolo collegato in modo tale da influenzare successivi comportamenti. Riporta questo caso clinico riferitogli da una madre:

«Quando il suo bambino di 3 giorni aveva difficoltà ad allattare, un’infermiera molto aggressiva gli ha tenuto la testa forzandolo ad aprire la bocca, per mettergli il seno della madre in bocca. Il bambino si è sconvolto, aveva conati di vomito, e inarcava la schiena per allontanarsi dal petto della mamma. A questo punto, la balia, che indossava una caratteristica divisa rosa con cuori “rosa fosforescente”, è stata chiamata e ha lasciato la stanza. Quando è ritornata 10 minuti dopo, la madre ha riferito che il bambino “ha visto chi era” e immediatamente ha inarcato la schiena e ha spinto contro il corpo della madre con le gambe con così tanta forza da rotolarsi sul letto.»

Memoria da tre a sei mesi

«Uno studio notevole della conservazione in memoria in questo periodo è quello di Perris, Myers e Clifton. All’età di 6,5 mesi un gruppo di bambini è stato esposto a un test in laboratorio che richiedeva di allungare la mano verso un oggetto che suonava nel buio. I bambini hanno mostrato di ricordarsi quando sono stati esposti a una situazione di stimolo simile due anni dopo, dimostrato dall’allungamento della mano con sempre più successo e una maggiore tolleranza della situazione sperimentale rispetto a gruppi di controllo senza esperienza.»

E ancora:

«Un bambino, ripetutamente e gravemente maltrattato dal suo padre biologico tra l’età di 3 e 10 settimane prima di essere stato affidato, ha mostrato delle reazioni di paura verso gli uomini per molti mesi. Durante il primo mese in affidamento quando suo padre adottivo o suo fratello adottivo adolescente si avvicinavano a lui, piangeva inconsolabilmente. La madre adottiva ha notato anche che trasaliva se lei involontariamente faceva dei gesti improvvisi verso di lui ad esempio mentre gli cambiava il pannolino. Anche se queste reazioni sono diminuite all’interno della famiglia adottiva, a sei mesi quando un maschio adulto che somigliava fisicamente al padre ha tentato di prenderlo in braccio trasaliva immediatamente e iniziava a gridare. A otto mesi durante una visita medica quando il dottore ha fatto un gesto affettuoso con l’intenzione di accarezzargli la testa il bambino ha trasalito così bruscamente che il medico è rimasto sconcertato. Tranne per qualche trasalimento casuale questo tipo di reazione non è mai stato osservato durante una interazione con una donna adulta.»

«Terr ha descritto una bambina che ha subito degli abusi sessuali prima dell’età di sei mesi che poco prima dell’età di tre anni ha fatto una serie di ricostruzioni sessuali con le bambole compresa la penetrazione vaginale, compatibili con delle foto pornografiche scattate durante il suo abuso sessuale.»

Memoria da sette a diciotto mesi

«Bauer e Wewerka sono giunte alla conclusione che “non è necessario nel momento in cui viene vissuto un evento che ci sia disponibile una codificazione verbale per far sì che l’evento venga ricordato a lungo termine o che successivamente il ricordo dell’evento venga esposto verbalmente”. Altri ricercatori hanno documentato che il linguaggio si può sovrapporre su precedenti memorie preverbali. Un esempio drammatico è la relazione di Myers, Clifton e Clarkson di una bambina di quasi tre anni che durante una visita in laboratorio ha indovinato l’immagine dietro ad uno pannello. L’ultima volta che aveva visto l’immagine era stato due anni prima quando aveva 40 settimane di età.»

«All’età di 23 mesi un bambino che era stato coinvolto in un grave incidente stradale a nove mesi, è riuscito a rappresentare usando bambole e giocattoli la sequenza dell’incidente, compreso come era stata colpita la macchina, come si era rovesciata e poi atterrata. Un altro bambino che all’età di 13 mesi era stato portato su un’ambulanza al pronto soccorso per via di un overdose di droga, a 26 mesi ha fatto una rappresentazione di certi dettagli specifici del viaggio in ambulanza e del trattamento al pronto soccorso. Il terzo caso coinvolgeva un ragazzo che era stato gravemente abusato sia fisicamente sia sessualmente da suo padre durante un periodo di una settimana, all’età di 7 mesi. Quando aveva 8 anni, durante una seduta di terapia con il terapista e sua madre adottiva, all’improvviso il bambino è entrato in uno stato delirante e dissociato durante il quale ha drammaticamente ricreato con il suo proprio corpo l’esperienza dell’abuso. Questo comprendeva, urlare dalla paura, dimenarsi a terra con il sedere in aria, cercare di trascinarsi sotto il divano per scappare dal terapista (che in quel momento stava vivendo come se fosse suo padre), e usare le parole per descrivere come gli stava facendo male. Il quarto caso era quello di una bambina che a 12 mesi aveva visto sua madre uccisa da una lettera esplosiva. Sia con le azioni sia con i giocattoli, ha ricreato delle rappresentazioni di diversi elementi importanti dell’accaduto, durante una valutazione all’età di 4 anni e mezzo. Quando le è stato chiesto come era morta sua madre, è improvvisamente caduta a terra e si è rotolata in modo frenetico. Più avanti ha improvvisamente portato giù la mano su uno scenario di gioco che ricreava la situazione appena prima dell’esplosione, buttando giù bambole e mobili con un gesto che riusciva a cogliere delle qualità fondamentali dell’esplosione. A 6 anni, durante una seduta di terapia con un altro terapista e alla presenza dei genitori adottivi, la bambina ha fornito ulteriori dettagli verbali sull’aspetto di sua madre dopo la bomba, un dato di cui i suoi genitori non erano a conoscenza ma che è stato successivamente confermato dalla polizia.»

Memoria da diciotto a ventiquattro mesi

«Tante ricerche e prove cliniche hanno documentato l’abilità dei bambini tra l’età di 18 mesi e 2 anni, una volta che hanno raggiunto la fluenza verbale, a percepire, ricordare e poi descrivere degli eventi vissuti. Nelson, Fivush e i loro colleghi hanno dimostrato in numerosi studi che l’esordio della memoria autobiografica, come tradizionalmente viene concettualizzata, si osserva intorno a questa fascia d’età. Molte relazioni cliniche hanno documentato la presenza di ricordi duraturi degli eventi traumantici in bambini di questa età che sono verbalmente fluenti. Usher e Neisser hanno dimostrato che si possono ricordare alcuni eventi affettivamente significativi che accadono nel secondo anno di vita, quale la nascita di un fratello o un ricovero in ospedale anche fino all’età adulta.»

Credo ce ne sia abbastanza per destinare in discarica certa spazzatura pseudo-scientifica. Nella quarta parte l’analisi della teoria della suggestionabilità dei bambini.

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LA CARTA DI NOTO – I PARTE

Sta circolando in rete un documento sottoscritto da alcuni psicologi, tre-quattro avvocati e un giudice di Cassazione, intitolato Carta di Noto IV.

Premettendo che documenti di questo tipo non hanno alcuna valenza prescrittiva o normativa, come chiarito da alcune sentenze della Suprema Corte di Cassazione, non si può non rilevare che tra i firmatari si ritrovano alcuni tra i più accaniti sostenitori della falsa malattia, la bufala di Gardner, il medico che fu soprannominato “autentico mostro americano”, il difensore della pedofilia da lui ritenuta la normalità, un’antica tradizione, addirittura.

Si tratta di quel Richard Alan Gardner che nel 1985, proprio per via della sua teoria della PAS, venne espulso dalla Columbia University di New York, dove era solo un medico volontario non remunerato (leggere in fondo all’articolo la correzione aggiunta al necrologio), senza alcun incarico di insegnamento o di diagnosi e cura, con la motivazione che era ignorante nella disciplina di psichiatria e incapace di ragionare secondo il metodo scientifico; motivazione che si riverbera necessariamente su chi ha sostenuto la PAS e sostiene adesso l’alienazione parentale.

Ritrovare quindi tra i firmatari di questo documento, che si propone di fornire delle linee guida, sia pur prive di valore prescrittivo, per l’esame del minore vittima di abusi sessuali gli stessi che sostengono ancora, contro ogni evidenza scientifica, contro il parere del Ministro della Salute, contro ogni logica e buon senso, la teoria della PAS o alienazione parentale, non può non far sorgere più di qualche dubbio sulla validità del documento stesso proprio sul piano scientifico.

È di tutta evidenza, difatti e come ripetutamente scritto, che la mera enunciazione teorica, sganciata dai fatti oggetto del processo, della possibilità che il minore nel fare le affermazioni che fa e nell’esprimere il rifiuto verso la frequentazione con un genitore al momento della separazione dei suoi genitori, possa essere condizionato o manipolato psicologicamente dall’altro genitore (quella che loro chiamano alienazione) non equivale alla dimostrazione concreta e oggettiva di tale presunto condizionamento. Ma è questo che loro scrivono nelle CTU e sostengono nelle memorie processuali; si assiste al paradosso giudiziario per cui al genitore accusato di violenze o abusi sessuali viene garantita la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio mentre al genitore accusato di manipolazione viene garantita la certezza di colpevolezza a prescindere, e la condanna dopo un giudizio sommario.

Così come è di tutta evidenza che la presenza del rifiuto del minore non è affatto la prova del condizionamento o manipolazione psicologica (che loro chiamano alienazione) ma tuttalpiù ne è la sua conseguenza; la prova deve essere prodotta con i mezzi propri del processo. Non si riesce proprio a comprendere, sul piano logico-razionale, perché dalla presenza del rifiuto si debba presumere il condizionamento e non si possa presumere, cosa molto più logica e naturale, che il rifiuto sia espressione della paura che il bambino ha del genitore rifiutato. Naturalmente a questo punto sarebbe d’obbligo spendere qualche riga sulla concezione del padre quale pater familias, di derivazione del Diritto romano e che evidentemente ancora informa i moderni codici e la psicologia inconscia di alcuni magistrati; ma il discorso ci porterebbe troppo lontano.

Così come è ancora di tragica evidenza che l’utilizzo di tali concetti porta alla manipolazione dei processi, nei quali una falsità scientifica (la PAS o alienazione parentale e più di recente il disturbo relazionale) diviene verità giudiziaria che non segue più la procedura stabilita dai codici ma si incammina sulla via dell’abuso e dell’arbitrio.

Fatta questa doverosa premessa passo a valutare la tenuta scientifica del documento; ciò sarà oggetto della seconda parte.

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