I FALSI RICORDI DI ABUSI SESSUALI

Una corrente (non saprei come altro definirla) della psicologia, la cosiddetta psicologia giuridica, continua a sostenere la baggianata dei falsi ricordi di abusi sessuali; si tratta, come per la PAS, solo di una strategia processuale sostenuta dagli avvocati che difendono i pedofili, o comunque soggetti accusati di abusi sessuali su minori, spesso incestuosi, e dai loro consulenti psichiatri o psicologi.

Questa grossa sciocchezza ha trovato facile attecchimento, purtroppo, in giornalisti e youtuber poco informati che proclamano l’innocenza di condannati per fatti di pedofilia sostenendo che i bambini abusati avrebbero avuto dei falsi ricordi.
Quel che mi preme, in questa sede, è analizzare questo concetto dal punto di vista della psichiatria e della psicologia, quelle ufficiali.

I falsi ricordi sono classificati tra i disturbi della memoria; la disciplina che studia i disturbi della memoria, e delle altre funzioni psichiche (attenzione, concentrazione, ideazione, volontà, ecc.), si chiama psicopatologia.
I disturbi della memoria vengono distinti in disturbi quantitativi e disturbi qualitativi; tralasciamo i disturbi quantitativi (amnesie, ecc) e prendiamo in considerazione i disturbi qualitativi della memoria.
Come indica l’espressione stessa, si tratta di disturbi della qualità della memoria; la psicopatologia classifica i disturbi qualitativi della memoria, o paramnesie, in:
a) Allomnesie
b) Pseudomnesie
c) Criptoamnesie

Di interesse ai fini di questo post sono le pseudomnesie, definite da Ravizza e coll., coautori del Trattato Italiano di Psichiatria (1), come allucinazioni della memoria; comprendono i falsi riconoscimenti e i falsi ricordi.
Gli autori citati scrivono:

«Con il termine di falso ricordo ci si riferisce a una produzione compensatoria di fatti immaginari e fantastici in soggetti con gravi lacune mnemoniche. Un esempio paradigmatico è il fenomeno della confabulazione. La confabulazione consiste nella falsificazione della memoria che si verifica in rapporto con un disturbo amnestico di origine organica».

Proseguono con la distinzione di tale fenomeno in due forme:

1) Una confabulazione di imbarazzo, «che rappresenta il risultato diretto della perdita della memoria e richiede la presenza nel soggetto di un certo grado di attenzione. Il paziente cerca di coprire l’evidenza di un suo vuoto di memoria costruendo appositamente una scusa per giustificare un suo recente comportamento. La confabulazione di imbarazzo mette quindi in evidenza una consapevolezza sociale, per cui il soggetto si rende conto in qualche modo delle esigenze che la situazione comporta sotto il profilo sociale».
2) Una confabulazione fantastica, «che si presenta nei casi in cui il fenomeno va al di là delle esigenze sociali che vengono poste al soggetto da un vuoto di memoria: in questi casi il paziente descrive spontaneamente esperienze avventurose di natura fantastica. La confabulazione fantastica può verificarsi a seguito del deterioramento organico dovuto ad abuso di alcool e anche nel disturbo amnestico, di origine organica ma non indotto da alcool o da altre sostanze psicoattive».

Sulla confabulazione Karl Jaspers, autore del più prestigioso trattato di psicopatologia, scrive:

Per Galimberti (3)

«la confabulazione è un’attività rappresentativa che mette capo a racconti privi di rispondenza concreta, ma spesso verosimili e strutturalmente coerenti. Si distingue una confabulazione infantile in cui si esprime la tendenza a caricare di significati immaginari il mondo concreto, echeggiando fiabe, racconti fantastici, reminiscenze di avvenimenti recenti e passati con sostituzione di significati reali con significati immaginari, e una confabulazione patologica, frequente nella sindrome di Korsakov, nella demenza e in alcuni stati deliranti, dove la confabulazione svolge il ruolo di compensare i vuoti di memoria o di rendere le esperienze reali congruenti con la struttura del delirio».

Anche per la trattatistica psichiatrica più recente le confabulazioni «sono pseudoricordi che compaiono nella psicosindrome amnestica … come riempitivi dei vuoti della memoria» (4).

Come si vede, per la psichiatria e, credo anche, per la psicologia il falso ricordo o confabulazione ha lo scopo di ‘compensare’, per così dire, una perdita della memoria più o meno rilevante; per questo motivo la confabulazione, o falso ricordo, si osserva nei casi di deterioramento organico delle funzioni cognitive, di natura degenerativa (demenza) o per intossicazione alcolica (sindrome di Korsakov).
Questa è la confabulazione o falso ricordo per la psichiatria e la psicologia ‘ufficiali’, quelle che si riconoscono nelle classificazioni internazionali delle malattie (ICD e DSM), nei trattati e nei testi più autorevoli di psichiatria e di psicologia; il resto è paccottiglia antiscientifica di bassa lega.
Il peculiare concetto di falso ricordo di abusi sessuali, sostenuto dalla psicologia giuridica, non trova riscontro alcuno nei testi scientifici di psichiatria e psicologia, ed è pertanto antiscientifico, falso a sua volta. Ma è di gran moda, per così dire, prevalente soprattutto nei tribunali e porta all’assoluzione degli accusati di abusi sessuali.

Ho cercato la descrizione di questo fantomatico concetto anche in testi di psichiatria forense, visto che lo stesso viene utilizzato nel corso di processi per abusi sessuali su minori; il testo di psichiatria forense più accreditato è senz’altro il trattato di Ugo Fornari. Ebbene di questo concetto del falso ricordo di abusi sessuali subiti nell’infanzia non vi è traccia né in una vecchia edizione (5) che ho utilizzato per la preparazione dell’esame di idoneità nazionale a Primario di Psichiatria, né in quella più recente (6).
Insomma, per la psichiatria, la psicologia, e la psichiatria forense il concetto di falso ricordo di abusi sessuali subiti nell’infanzia è inesistente.

A questo punto è bene che i Giudici si facciano più attenti nella nomina dei consulenti e dei periti, non fidandosi più dei venditori di fumo, di coloro che sostengono falsità scientifiche come la PAS, l’alienazione parentale, l’amnesia infantile, i falsi ricordi di abusi sessuali, il rifiuto immotivato (qui e qui, ecc.; poiché una giustizia basata su falsità scientifiche è una falsa giustizia.

BIBLIOGRAFIA

(1) Ravizza L, Barzega G, Bellino S, Memoria, in Trattato Italiano di Psichiatria, a cura di Pancheri P e Cassano GB. Ed. Masson, 2002.
(2) Jaspers K (1959), Psicopatologia generale. Il Pensiero Scientifico Editore, 2000,
(3) Galimberti U, Enciclopedia di psicologia. Garzanti, 2002.
(4) Scharfetter C, Psicopatologia generale. Giovanni Fioriti Editore, 2005.
(5) Fornari U, Psicopatologia e Psichiatria Forense. UTET, 1989.
(6) Fornari U, Trattato di Psichiatria Forense. UTET Giuridica, 2015.

DISINFORMAZIONE E FALSITÀ SCIENTIFICHE NEI MEDIA E NEI TRIBUNALI

Questo post ci porta indietro di qualche anno, per l’esattezza verso la fine del mese di giugno del 2019 quando un pericoloso virus ha colpito le redazioni di molti giornali.

Si è trattato del virus della disinformazione; un virus che ha causato il blackout dell’intelligenza dei direttori di questi giornali.

Sì, perché solo un blackout dell’intelligenza può spiegare articoli come questi. Si tratta di importanti quotidiani di rilievo nazionale non di giornaletti scandalistici. E di giornalisti professionisti.

Ulteriori articoli del medesimo tenore si possono trovare a questo link.

In ultimo Repubblica che arriva a creare il collegamento tra i fatti di Bibbiano e fatti di circa 30 anni prima che videro condannati con sentenze definitive alcuni pedofili.

Fatti che non hanno alcun elemento in comune se non quello voluto da Repubblica, creato unicamente per sponsorizzare il podcast “Veleno”, pubblicato proprio da Repubblica, e il libro dal medesimo titolo, scritti da un giornalista che ha sposato la tesi dell’innocenza di condannati per pedofilia con sentenze definitive.

Ben 70 giudici, tra Primo grado, Appello e Cassazione, al termine dei processi hanno ritenuto quei soggetti colpevoli di abusi sessuali in danno di minori mentre questo giornalista li ritiene innocenti. Ma andiamo avanti. Psicologi che fanno l’elettroshock ai bambini? Sarebbe bastata una semplicissima ricerca in rete per scoprire che:

1) L’elettroshock viene effettuato da medici e non da psicologi.

2) Può essere fatto esclusivamente in ospedale e non in una stanza di psicoterapia.

3) Il paziente è disteso su una lettiga e non seduto su di una sedia

4) Il paziente viene anestetizzato e intubato, quindi è necessaria la presenza di un anestesista.

5) L’elettroshock viene fatto solo nei casi di grave depressione con elevato rischio di suicidio, quindi in persone adulte e non nei bambini; anzi oggi non lo fa quasi più nessuno.

Ci voleva tanto a informarsi prima di scrivere fake news? O si doveva creare il caso mediatico?

Veniamo all’altra fake new: la terapia EMDR per indurre nei bambini il falso ricordo di aver subito abusi sessuali.

Cominciamo con la terapia EMDR.

Il paziente è sveglio, e non ipnotizzato (come dichiarato da uno psichiatra bolognese, seguace della psicologia giuridica, in una recente intervista); il paziente deve seguire con gli occhi le dita del terapeuta, seduto di fronte, che vengono fatte oscillare orizzontalmente da destra a sinistra e da sinistra a destra. Tutto qui. Nessuna suggestione nessuna induzione di falsi ricordi.

Nel corso della terapia EMDR possono emergere eventuali ricordi traumatici presenti nell’inconscio. Un po’ come accade nei sogni; il sogno avviene durante la fase di sonno REM, caratterizzata dai rapidi movimenti oculari. Sui ricordi emersi si lavora psicologicamente per rielaborarli in maniera da attenuare la sofferenza del paziente; e la sofferenza di chi ha un disturbo da stress post-traumatico è davvero tanta.

Nei bambini invece dei movimenti oculari si può usare, come stimolazione alternata destra-sinistra, il cosiddetto abbraccio della farfalla o la vibrazione prodotta da piccoli stimolatori che si tengono nelle mani (ved. immagini); vibrazione come quella dei cellulari. Nessuna corrente elettrica, nessun elettroshock; tra l’altro nell’elettroshock gli elettrodi vengono applicati alle tempie e non alle mani.

I FALSI RICORDI

La tesi dei falsi ricordi di abusi sessuali è sostenuta da avvocati che difendono persone accusate di aver commesso abusi sessuali su minori e da psicologi e psichiatri consulenti di questi avvocati. Consulenti che per sostenere una tesi che proprio non sta in piedi ricorrono a concetti privi di validità scientifica, come i falsi ricordi, l’amnesia infantile, l’alienazione parentale ecc.

I falsi ricordi: il concetto dei falsi ricordi nasce negli USA nel 1992 sostenuto da un’associazione creata da genitori accusati dai figli di abusi sessuali incestuosi, chiamata False Memory Syndrome Foundation.

È come se i mafiosi creassero un’associazione per dire che la mafia non esiste.

Questa fondazione non c’è più dal 2019 ma la disinformazione continua ancora oggi e gli psicologi giuridici la sostengono con vigore. Da oltre 20 anni gli psicologi giuridici diffondono falsità scientifiche nei tribunali, le insegnano nelle università, nei master, nei corsi di formazione per avvocati, giudici, assistenti sociali, mediatori familiari, ecc.

Ci sono ricerche scientifiche importanti che hanno dimostrato che se è possibile, in una minoranza di bambini, il 15%, indurre il falso ricordo di un episodio plausibile, es. essersi perso in un supermercato, è praticamente impossibile indurre il falso ricordo di un fatto non plausibie, come l’aver subito un abuso sessuale (nello studio veniva utilizzato come falso ricordo l’aver subito un clistere da piccoli).

L’amnesia infantile

Ecco che cosa intendono gli psicologi giuridici per amnesia infantile.

Queste immagini sono tratte da tre perizie svolte per il caso di una bambina che accusava il padre di abusi sessuali; conosco il caso perché sono stato consulente della madre della bambina. Le perizie sono state svolte, rispettivamente, da uno psicologo di Pisa come CTU, e da uno psicologo di Padova docente universitario e uno psichiatra di Bologna, questi ultimi consulenti del padre della bambina; tutti associati alla psicologia giuridica,

Ebbene ciò che scrivono questi tre periti è completamente falso; e, lo ripeto, da oltre 20 anni gli psicologi giuridici diffondono nei tribunali falsità scientifiche e le insegnano nella università, ecc.

Il concetto di amnesia infantile è stato introdotto da Freud nel 1905 per indicare la tipica amnesia che da adulti non ci consente di ricordare alcuni episodi della nostra infanzia. L’amnesia infantile riguarda quindi gli adulti; nella versione degli psicologi giuridici riguarderebbe invece i bambini. Cioè secondo loro i bambini sarebbero degli smemorati; ma solo quando dicono di aver subito abusi sessuali.

Per sostenere questa assurdità gli psicologi giuridici sono arrivati a falsificare i dati della ricerca scientifica. Ecco un esempio.

Secondo questo grafico il numero di episodi che un bambino sarebbe in grado di ricordare è tanto minore quanto minore è l’età del bambino. Il grafico è vero ma la didascalia è falsa.

Questo l’articolo originale e questa la vera didascalia; lo studio è stato svolto su soggetti adulti, e non su bambini, e dimostra solo che il numero di ricordi evocati da parole stimolo è basso quando da adulti si cerca di ricordare episodi della prima infanzia.

Quindi la tesi dell’amnesia infantile, versione psicologia giuridica, è falsa. Queste falsità portano i tribunali ad assolvere gli adulti dalle accuse di abusi sessuali sui bambini.

Sulla capacità di memoria dei bambini, anche piccolissimi, c’è questo importante studio; c’è anche la traduzione in italiano che ho messo sul mio sito.

La conclusione è intuitiva: una giustizia che poggia su falsità scientifiche è una falsa giustizia. Da oltre vent’anni, in Italia, in molti processi per l’affidamento dei minori viene applicata una falsa giustizia.

ANCORA CON IL RIFIUTO IMMOTIVATO

Post lungo ma necessario.

Mi dicono sia stato pubblicato un libro dove si parla ancora di rifiuto immotivato; inteso nel contesto di separazioni coniugali che fanno seguito a violenza in famiglia o addirittura ad abusi sessuali incestuosi di uno dei due genitori sui figli.
Separazioni che le autrici di questo libro si ostinano, cocciutamente, a definire come separazioni conflittuali; sono le solite che ancora amano l’alienazione parentale ma hanno timore a parlarne e così s’inventano di tutto.

Naturalmente, non perderò il mio tempo a leggere questo inutile libro; mi limito a riportare quanto dichiarato da una della coautrici in una intervista.
«Il rifiuto genitoriale è una condizione di rottura della relazione genitore-figlio a seguito di separazione o divorzio, in assenza di violenza e maltrattamenti. Il rifiuto del figlio verso uno dei due genitori è, in altre parole, immotivato» e ancora: «Attraverso questo libro abbiamo voluto proporre buone prassi specialistiche, per intervenire nei casi di rifiuto immotivato. La nostra proposta di intervento prevede una collaborazione tra Magistratura e intervento psicologico, non tralasciando l’importanza della collaborazione di entrambi i genitori».

Questa nuova mistificazione, e cioè l’esistenza del rifiuto immotivato di frequentare un genitore dopo la separazione coniugale, risale a qualche anno fa ed è stata da me puntualmente criticata e smentita, dapprima con un post sul mio sito, poi nel corso di un convegno a Roma (dalla pagina 8 in poi). Per chi volesse consultare l’articolo del Messaggero, che cito nella mia relazione, il link è questo; da sottolineare l’affermazione senza senso dell’avvocata intervistata: “Aumentano i casi di rifiuto anche perché non esiste il riconoscimento scientifico e giuridico della Pas (sindrome alienazione parentale)“. Più di recente sono intervenuto sulla questione con un post sul mio blog.

Ma per insistere così tanto, pubblicarci un libro, ecc, mi fa pensare che gli interessi economici in ballo siano davvero rilevanti, altrimenti non si spiega tanta pervicacia nel sostenere un concetto, quello di rifiuto immotivato, che è un non senso psicologico, come andrò a spiegare di seguito. Eh sì, se si pensa che una singola CTU viene a costare dai 3.000 ai 4.000 euro, con 3-4 CTU al mese (ma sono molte di più) ci si assicura un bel reddito al quale è difficile rinunciare; per non parlare del cosiddetto indotto delle CTU, test psicologici, centri per il recupero della genitorialità (?), curatori del minore, tutori del minore, comunità per minori, ecc.

Se si aggiunge a tutto questo la circostanza che una delle autrici mostra una certa propensione ad ‘aggiustare’ i risultati dei test psicologici da lei stessa somministrati, come si può vedere dall’immagine a lato, si ha un quadro dellla psicologia romana davvero sconfortante.

Adesso ci riprovano, addirittura con l’avallo dell’Ordine degli psicologi della Regione Lazio e dei Giudici della Sezione famiglia del Tribunale di Roma che, condizionati da questa psicologia di bassa lega, tendono sistematicamente a derubricare la violenza intrafamiliare a conflitto.
Spiace quindi dovere, per l’ennesima volta, riprendere questi temi e cioè rimarcare la differenza abissale che c’è tra conflitto e violenza e la impossibilità logica che possa esistere un comportamento di rifiuto senza una motivazione alla sua origine.
Cominciamo nuovamente dall’ABC, come si fa all’asilo.

CONFLITTO: conflitto, interpersonale s’intende, è una situazione in cui c’è una diversità di vedute tra due o più persone.
Naturalmente, nella famiglia, unita o separata, il conflitto relazionale può riguardare vari aspetti ma, se è solo conflitto, sempre conflitto rimane, cioè una diversità di vedute che in qualche modo trova una sua più o meno pacifica composizione tra i membri della relazione conflittuale.
Non possono trovare composizione, invece, le relazioni familiari fondate sulla violenza, sulla sopraffazione di una parte sull’altra, solitamente dell’uomo sulla donna, o addirittura caratterizzate da abusi sessuali incestuosi.
Passiamo così al secondo paragrafo.

VIOLENZA: la violenza può essere fisica, psicologica, economica, ecc.
Parlare di conflitto in situazioni di violenza e di sopraffazione di una parte sull’altra denota la non conoscenza delle dinamiche relazionali, quando non la malafede.
Non parliamo, poi, se in quella famiglia ci sono stati abusi sessuali!
E hanno persino l’ardire, i professionisti di cui sopra, di sostenere che i bambini esposti a, o vittime essi stessi di, violenze o abusi sessuali non debbano manifestare il rifiuto di frequentare il genitore responsabile di comportamenti così esecrabili; perché sarebbe un rifiuto immotivato.
Non sfuggirà, nemmeno al più sprovveduto degli psicologi, che nella relazione conflittuale le due parti sono su un piano di parità relazionale mentre nelle relazioni basate sulla violenza il partner violento colloca se stesso sempre in una posizione di superiorità rispetto all’altro (posizione one-up secondo la terminologia sistemica). E questo lo si vede facilmente dalla svalutazione sistematica delle parole e delle azioni dell’altro, dalla denigrazione verso l’altro, dalla imposizione del proprio punto di vista sempre e comunque, anche ricorrendo a minacce di vario tipo.

Se oltre alla violenza psicologica, di cui sopra, c’è anche violenza fisica, allegata e descritta in maniera lineare e coerente da chi l’ha subita, quando non provata da referti medici, e violenza economica provata, quest’ultima, dal fatto stesso che una delle due parti non è disposta a farsi carico delle spese di mantenimento dei figli, il rifiuto, di questi ultimi di frequentare il genitore violento, è più che motivato.
Dice, ma non spetta al CTU accertare la violenza; certo che no, beata ingenuità. Sostenendo però che il rifiuto sia immotivato il CTU effettua comunque un accertamento, sia pure in negativo, della allegata violenza.

Mi spiego meglio: se l’accertamento di un fatto non mi compete io, in quanto CTU, su quel fatto non mi pronuncio affatto, né in positivo (“sì il rifiuto è motivato dalla violenza“) né in negativo (“no il rifiuto non è motivato dalla violenza“). Ma se io sostengo che il rifiuto è immotivato, per il fatto stesso di aver fatto un’affermazione del genere ho effettuato un accertamento in negativo della violenza o dell’abuso sessuale; sto negando cioè che il rifiuto è motivato dalla violenza o dall’abuso sessuale. Sto quindi contraddicendo la premessa dalla quale sono partito, e cioè che non compete a me l’accertamento della violenza.

Del resto cosa affermano nella su citata intervista? «In assenza di violenza e maltrattamenti …»; si sono quindi arrogate il diritto, pre-giudiziale, di giudicare che non c’è stata violenza pur quando dichiarata da una delle parti o dai bambini.

RIFIUTO: acclarato quindi che non compete al CTU, sia esso psicologo, psichiatra o neuropsichiatra infantile, accertare se tra le motivazioni del rifiuto dei figli di frequentare un genitore, ci sia la violenza di quel genitore sull’altro e sui figli stessi, e ciò, come già detto, né in positivo (“sì il rifiuto è motivato dalla violenza“) né in negativo (“no il rifiuto non è motivato dalla violenza“), non può il CTU da un lato sostenere che il rifiuto è immotivato ma poi affermare che è indotto, motivato dal presunto condizionamento dell’altro genitore sui figli.

È lapalissiano che se il rifiuto verso un genitore fosse davvero immotivato non potrebbe trovare come motivazione neanche il presunto condizionamento del minore da parte dell’altro genitore.

Dice, ma allora cosa deve fare il CTU in presenza del rifiuto? Premesso che la CTU è del tutto inutile in questi casi, così come inutili sono i test psicologici, a mio modesto parere il CTU deve limitarsi a segnalare al Giudice la presenza del rifiuto e l’eventuale allegazione di violenze o abusi sessuali quali possibili cause del rifiuto stesso. Dopodiché spetta all’autorità giudiziaria l’ulteriore accertamento, con gli strumenti istruttori propri del processo (testimonianze, registrazioni, documentazioni, ecc).

Nelle tante CTU che ho seguito, in presenza o leggendo tutti gli atti, sistematicamente i CTU ma anche i Servizi sociali svalutano la parole dei bambini, con affermazioni quali “forse ti sei sbagliato“, “forse hai frainteso“, ecc. Qui e qui un esempio di incontri cosiddetti protetti da parte dei Servizi sociali.

Non sfuggirà, al lettore attento, che la relazione che le istituzioni (CTU, Servizi sociali, curatori, tutori, gli stessi magistrati) stabiliscono con madri e bambini mostra una certa analogia con le relazioni basate sulla violenza (posizione one-up).
E proprio sul rifiuto è da registrare, ma queste psicologhe sono di memoria breve, l’illuminato parere di illustri giuristi che sul rifiuto si sono così espressi:

«Accreditati studi scientifici frutto di ricerche di psicobiologia nel campo delle neuroscienze affettive insegnano che quando un bambino si sente a disagio con un genitore ed evita la frequentazione con lo stesso, nella quasi totalità dei casi lo fa perché ha paura e la paura – un’emozione primaria, istintiva, non condizionata – è in genere provocata dal comportamento violento (fisico o anche solo verbale) del genitore rifiutato, se non addirittura da abusi sessuali o atteggiamenti che mettono il minore a disagio».

I giuristi conoscono gli studi scientifici di psicobiologia nel campo delle neuroscienze affettive, queste psicologhe non ne hanno, evidentemente, mai sentito parlare.
E passiamo così al terzo paragrafo.

COMPORTAMENTO:
Il rifiuto, verso una situazione, una persona, un ambiente è un comportamento; cos’è il comportamento?
La Treccani online lo definisce come «Il complesso coerente di atteggiamenti assunti in reazione a determinati stimoli».
Il comportamento è l’«Insieme stabile di azioni e reazioni di un organismo a una stimolazione proveniente dall’ambiente esterno (stimolo) o dall’interno dell’organismo stesso (motivazione)»; così Umberto Galimberti nella sua Enciclopedia di psicologia.
E Virgilio Lazzeroni nell’Enciclopedia Medica Italiana: «Considerato dal behaviorism come “un insieme di reazioni adattive obiettivamente osservabili che un organismo, generalmente provvisto di sistema nervoso, compie in risposta a stimoli del pari osservabili che provengono dall’ambiente in cui vive” (Tilquin, 1948), il comportamento è oggi inteso quale una funzione dell’organismo manifestantesi nelle diverse specie, indipendentemente dalla complessità del sistema nervoso, come una risposta (R) che adatta l’organismo stesso al variare delle condizioni interne ed esterne originanti lo stimolo (S)».

Il comportamento, anche quello di rifiuto, è sempre una risposta dell’organismo a uno stimolo; quindi è sempre motivato.

Credo di non avere altro da aggiungere.

Se si vuole ottenere una diversa risposta (R) occorre modificare lo stimolo (S) che ha provocato quella risposta. Ciò che deve modificarsi, quindi, non è il comportamento di rifiuto del bambino (R) ma il comportamento violento o abusante del genitore (S) che ha causato il comportamento di rifiuto. Se ne deduce che è del tutto inutile rinchiudere il bambino in una comunità per minori, per “fargli cambiare idea” sul genitore violento o abusante; è solo una tortura psicologica. È il genitore rifiutato che deve modificare il suo comportamento verso il figlio se vuole ottenere la cessazione del rifiuto.

LA CASISTICA
Nell’articolo di cui in apertura vengono citate alcune percentuali di una casistica delle autrici del libro; riporto di seguito alcuni dati di una mia casistica personale.
I casi di separazioni da me seguiti sono 107; i minori coinvolti sono 137, 76 maschietti (55,47%) e 61 femminucce (44,53%).
Il genitore rifiutato è il padre dal 97,8% dei bambini (133), la madre dal rimanente 2,92% dei bambini (4); in nessun caso ho osservato quello che le autrici del libro chiamano rifiuto ‘incrociato’ (un figlio rifiuta il padre e un altro la madre, nella stessa famiglia).
Da sottolineare che tra i minori che rifiutavano il padre sono ricompresi anche tre bambini uccisi dal padre, uno durante un cosiddetto incontro protetto e altri due mentre pernottavano dal padre.
Il motivo del rifiuto è la violenza per 107 bambini (78,10%), l’abuso sessuale per 12 bambini (8,76%) e la trascuratezza o il disinteresse per 59 bambini (43,07%); molto spesso la trascuratezza o il disinteresse sono associati alla violenza o all’abuso sessuale, solo per 14 bambini il rifiuto è stato causato dalla sola trascuratezza o disinteresse del genitore (es. mancato ricordo delle ricorrenze, onomastico, compleanno, ecc, non seguirli nel percorso di studi o negli svaghi, ecc).
In nessuno dei casi da me esaminati ho osservato un rifiuto immotivato.

41 BIS

Si tratta di un regime carcerario particolarmente duro comminato ad autori di reati efferati, di solito commessi da affiliati a organizzazioni mafiose; la discussione su questo regime carcerario si è accesa in questi giorni per via dello sciopero della fame dichiarato a oltranza da un anarchico condannato appunto al 41 bis.

Pare che questo regime presenti alcuni aspetti di incostituzionalità; senza entrare nel merito di tale discussione, cosa oltretutto che non mi compete, voglio qui parlare delle migliaia di bambini ‘condannati’, in un certo senso, a un regime analogo nelle comunità per minori da tribunali della Repubblica italiana, senza che abbiano commesso alcun reato.

Nei nostri tribunali, tribunali dei minori e sezioni famiglia dei tribunali ordinari, accade infatti che quando i bambini rifiutano la relazione con un genitore, di solito il padre, per motivi di violenza o abusi sessuali vengono rinchiusi in comunità per minori contro la loro volontà per essere “resettati“, “deprogrammati“; nella sostanza vi rimangono fino a quando ritrattano le accuse e accettano la frequentazione con il padre, a volte sino alla maggiore età.

Durante il periodo di ‘detenzione’ in tali comunità viene disposto dai giudici l’interruzione di ogni rapporto con le madri e con tutti i familiari del ramo materno, il divieto di comunicare con l’esterno (amici, ecc.) viene cambiata loro la scuola, vengono tolti telefonini e quant’altro; ove i bambini protestino vengono sottoposti a terapie farmacologiche calmanti che annientano la loro volontà.

Queste modalità vengono addirittura preconizzate da professionisti afferenti alla psicologia giuridica che in un loro articolo parlano addirittura di “parentectomia” (cfr Camerini GB, Magro T, Sabatello U, Volpini L: La parental alienation: considerazioni cliniche, nosografiche e psicologico-giuridiche alla luce del DSM-5. Gior Neuropsich Età Evol 2014;34:39-48).
Parentectomia: un qualcosa di allucinante, roba da Gestapo nella sostanza.
L’uso del termine parentectomia risale a uno psicanalista squilibrato, Bruno Bettelheim; riteneva infatti che la causa dell’autismo infantile fosse il rapporto del bambino con la madre e da qui la necessità, secondo la sua teoria sballata, di staccare la madre dal bambino. Naturalmente questa teoria è stata sconfessata dagli studi successivi sull’autismo, ma sembra che qualcuno ancora non lo sappia.

Parentectomia: un termine che richiama l’asportazione dei tumori (tiroidectomia, mastectomia ecc.); per gli autori di quell’articolo evidentemente le madri di questi bambini sono simili a un tumore da asportare.

Ma torniamo al 41 bis; il regime cui questi bambini sono sottoposti nelle comunità per minori, è assimilabile al carcere duro con regime di 41 bis; eppure questi bambini non hanno commesso alcun reato. Perché questo accanimento, questa crudeltà? Contro bambini innocenti? In forza di quale legge? E se il 41 bis è incostituzionale per i mafiosi, non lo è a maggior ragione per bambini innocenti?

E se i mafiosi condannati al 41 bis possono almeno ricevere la visita di parlamentari, garanti, ecc, a questi bambini è vietato tutto e i parlamentari non possono visitare queste strutture. Le comunità per minori godono di uno statuto extra-territoriale, è come se non facessero parte del territorio dello Stato italiano. O, molto più semplicemente, i giudici sanno che se qualcuno visitasse queste strutture rimarrebbe molto sorpreso dalla quantità di farmaci calmanti presenti negli armadietti delle infermerie; farmaci di solito usati per curare la schizofrenia, farmaci che devono essere prescritti da medici specialisti e somministrati da infermieri professionali. Qualcuno potrebbe cominciare a fare domande indiscrete, chiedere di prendere visione delle prescrizioni mediche, chiedere se sono in servizio infermieri professionali, ecc.

È difatti accaduto che sia stato rinchiuso in una di queste comunità un bambino affetto da epilessia e che gli operatori spesso e volentieri hanno sbagliato i dosaggi dei farmaci antiepilettici rischiando di farlo finire in coma; così come accade spesso che le madri riferiscano di trovare i loro figli, rinchiusi nelle comunità, gonfi in viso e intontiti, per probabili effetti collaterali di psicofarmaci somministrati senza criterio.

La politica si mostra sorda e cieca verso il dolore di questi bambini strappati alle madri, spesso con blitz di polizia e modalità che non si riservano nemmeno ai mafiosi. Fino a quando?

I CIALTRONI SEMPRE IN PRIMA LINEA

Sì, sembra che alcuni, tra i cosiddetti esperti di bigenitorialità, PAS, alienazione parentale, madri malevoli, bambini sultani e fetenzie varie, non sappiano proprio fare a meno di circondarsi di cialtroni; non riescono a vivere senza la claque cialtronesca dei padri rifiutati dai figli.
Se corrisponde al vero quel che dice il proverbio, e cioè “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei“, non è difficile trarne le logiche conseguenze.

Ora, Adiantum, la ben nota pseudo-associazione (che associazione non è mai stata, ai sensi di legge) pare sia sparita dal web; al suo indirizzo internet non c’è più nulla.
Il suo sé-dicente segretario (autodichiaratosi tale visto che, per quanto a me noto, Adiantum non ha mai avuto un consiglio direttivo che abbisognasse di un segretario), millantatore di master universitari che avrebbe conseguito da non laureato, capace solo di grossolane minacce (vedi immagine) adesso si è riciclato quale referente di una entità che si chiama Primero Infanzia Italia.

In attesa di scoprire cosa si nasconda dietro questa ennesima mistificazione (non va sottaciuto che le sedicenti associazioni di padri separati, composte da padri rifiutati dai figli che li accusano di violenza o abusi sessuali, mistificavano i loro reali obiettivi mascherandoli da tutela dei minori ma in realtà mirando a tutelare se stessi dalle accuse che i figli rivolgevano loro) rinfreschiamoci un po’ la memoria.

Adiantum venne ‘fondata’ nel 2008; come evidenziato al convegno internazionale di Roma, nel 2011, tra i ‘fondatori’ c’erano i firmatari, nel 2007, di un appello al sindaco di Roma a sostegno di un padre separato accusato di violenza dalla ex-moglie.

Sin dalla sua nascita, quindi, Adiantum si connota per il sostegno ai padri separati accusati di violenza in famiglia.
Consulente legale di Adiantum era, all’epoca, un padre separato accusato dai figli di abusi sessuali.
Il campo di interesse, di Adiantum e di tutte le altre associazioni o pseudo tali di padri rifiutati dai figli (GESEF, Genitori sottratti, ecc.), è quindi, da sempre, la tutela e la difesa dei padri accusati dai figli di violenza o abusi sessuali, la negazione della violenza contro le donne, la negazione degli abusi sessuali incestuosi.

Queste associazioni di padri rifiutati dai figli sono all’origine della massiccia disinformazione che è stata fatta in questi anni su temi come la violenza contro le donne e gli abusi sessuali sui minori.
A questo punto, retoricamente, mi chiedo e chiedo: possibile che nessuno, tra politici, associazioni forensi, ordini professionali, magistrati, ecc. si sia accorto di questa colossale mistificazione? Intendiamoci, non è che io abbia fatto chissà quali ricerche segrete, era tutto sul web, in chiaro.

Come era sul web in chiaro la mistificazione fatta dal sé dicente presidente di una inesistente Federazione per la bigenitorialità; ora, federazione significa, nella lingua italiana, associazione di più enti. Quali enti erano associati in questa presunta federazione? Nessuno. Eppure era, ed è, sempre presente, in prima linea appunto, adesso come sé dicente direttore di un presunto Centro Studi Applicati, anche quest’ultimo inesistente se non nella testa di questo soggetto. Sempre in prima fila, invitato da politici, associazioni forensi, ordini professionali, ecc. Ma amano tanto circondarsi di cialtroni? Quali competenze professionali ha costui, anzi costoro?

Quando sono stato invitato come relatore ad alcuni convegni, gli organizzatori mi hanno chiesto di inviare il curriculum prima di confermare la mia partecipazione; ovvio, così si fa per i convegni seri. Allora i convegni dove fanno parlare questi cialtroni senz’arte né parte, la cui unica competenza è quella di avere sfasciato la propria famiglia in malo modo (violenza o abusi sessuali) tanto da essere rifiutati dai figli, non sono convegni seri?
Sarebbero gradite delle smentite, e delle risposte serie.

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DI SCUSE E ALTRE AMENITÀ

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Sta circolando il post di un collega su mie scuse verso di lui; scuse che effettivamente ho fatto tramite l’Ordine dei medici di Lecce.
Dimentica però, il collega, di premettere che le mie scuse a lui hanno semplicemente fatto seguito alle sue scuse nei miei confronti.
Trattandosi di vicenda, per così dire, privata, tra due professionisti e i rispettivi Ordini professionali, l’averla resa pubblica tramite Facebook, è cosa altamente inopportuna. Ma questo è lo stile del collega, ha bisogno della platea dei padri accusati dai figli di violenza o abusi sessuali e altri soggetti/e del medesimo stampo.

La vicenda in sintesi.
Venuto a conoscenza di un fatto alquanto disdicevole in ordine alla sua propria genitorialità, ho fatto alcuni commenti salaci sulla bacheca di miei contatti Facebook. Commenti subito ripresi da alcuni padri separati, che evidentemente stanno a spiare i nostri profili H24, e portati a sua conoscenza; quando dico ‘nostri’ intendo di tutti coloro che fanno corretta informazione per contrastare la loro disinformazione sull’alienazione parentale; si vede che diamo molto fastidio, a loro e ai loro conti in banca.

Non avendo da replicare, il collega mi ha inviato una mail abbastanza offensiva. Ho lasciato perdere.

Successivamente, intervenendo sull’Ordinanza della Cassazione che condannava l’uso dell’espressione ‘madre malevola’, annullando una sentenza della Corte di Appello di Venezia (la famosa Ordinanza del täterpyp – sempre Venezia dove ha sede lo IUSVE, fonte primaria della disinformazione sulla PAS), il collega se ne è venuto fuori scrivendo che quella di madre malevola non è una diagnosi da fare.

Peccato, per lui, che io ho una sua relazione tecnica nella quale, proprio lui, ha fatto questa diagnosi a una madre la cui figlia rifiutava il padre, da lei accusato di abusi sessuali incestuosi.

Relazione su cui è apposta una marca da bollo e c’è il timbro del tribunale; ne ho dedotto che fosse una perizia giurata. Chiaramente ho fatto questo commento, come sopra, in alcuni profili di miei contatti Facebook.

Il collega si è nuovamente risentito e mi ha inviato una seconda mail offensiva.

A questo punto ho fatto un esposto al suo Ordine dei medici.
Per ripicca ha rispolverato la vecchia questione dell’elenco dei sostenitori della PAS, dicendosi offeso per essere stato da me incluso in tale elenco.
Come ben noto, tale elenco risale al gennaio 2020 e, viste le diffide e minacce ricevute, eliminai subito la pagina dal mio sito. Non si offese allora ma dice di essersi offeso adesso, a circa tre anni di distanza. Si offende a scoppio ritardato? Boh? Ma poi, se sono loro stessi che firmano documenti favorevoli alla PAS, o alienazione parentale, rendendo pubblici tali documenti! Chi li capisce è bravo. Non si offendono se si autopubblicano, si offendono se vengono pubblicati da altri.
A questo punto, visto che lui si era già scusato con me non mi è costato nulla scusarmi per fatti che ritengo non siano offensivi, ma se proprio si è offeso …

Nel thread sul suo post si sono poi inseriti alcuni soggetti, svolgendo una tipica azione di sciacallaggio.
Cominciamo dal medico legale romano.
Non lo conosco; si discuteva, 2010-2011, sulla non scientificità della PAS mentre lui sosteneva con veemenza che fosse invece una vera e propria malattia.

Poiché ribattevo, colpo su colpo, citando bibliografia internazionale, alla fine abbandonò la discussione in malo modo.

Inutile dire che ho centinaia di gustosi screenshot su questo soggetto; pare sia divenuto sostenitore della PAS perché rifiutato dalle sue due figlie, ma ne ignoro i motivi.
Mi critica perché nel mio curriculum trovava articoli sulla schizofrenia e sulla psicofarmacologia ma non sulla PAS; cazzo, ma uno psichiatra di cosa si deve occupare? Uno psichiatra, che sia psichiatra, si occupa, ovviamente, di malattie vere e di terapie farmacologiche vere, non di false malattie e di terapie della minaccia.
Non mi ero mai occupato di PAS proprio perché concetto del tutto sconosciuto alla psichiatria ufficiale; del resto questo collega non è psichiatra, quindi cosa vuole? Insegnare la psichiatria a uno psichiatra? Convincere uno psichiatra che la PAS è una malattia mentale? Ma mi faccia il piacere!!
Poi ha il cattivo gusto di sproloquiare sul caso che avevo seguito come CTP,  caso che non conosce e del quale non sa nulla. Eccolo qui. La Cassazione annullò tutti gli atti proprio per via della mia relazione di CTP.
Nella sua filippica dimentica il collega che nell’ottobre 2012 mi ha dato ragione, sulla non scientificità della PAS, il Ministro della Salute in carica all’epoca. Quindi discorso chiuso per sempre. La PAS non ha alcuna validità scientifica e chi la sostiene, sia pure come alienazione parentale, è fuori dalla scienza.

Veniamo poi allo psicologo Dadtux: le sue raffinate capacità dialettiche, oltre che scientifiche, si riassumono in questo post.

Secondo i collaudati metodi del Mossad avrebbero dovuto mandarmi una donna per farmi parlare; la sto ancora aspettando. Ma poi farmi parlare di che? Boh?

Poi interviene il sé dicente presidente di una inesistente federazione per la bigenitorialità, che all’epoca si qualificava come illustratore di fumetti ma che adesso pare sia diventato dott., o almeno così si qualifica nei convegni. Ha una laurea? Se sì perché non la rende nota? E se no perché millanta un titolo che non ha?
Poi interviene la corte dei miracoli dei padri rifiutati dai figli. Insomma, proprio un bel caravanserraglio.
Contenti loro …

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DA NON SAPER LA FACCIA E QUALE IL DORSO

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Naturalmente, il titolo del post su Facebook era molto più colorito, ma certa gente è suscettibile e allora usiamo la scolorina.

Si tratta di un articolo dell’agenzia DiRE che intervista alcuni personaggi che ruotano intorno alle vicende di affidamento dei minori, in particolare quelli che rifiutano la relazione con un genitore, di solito il padre.
Provo a replicare, cercando di scansare qualche querela per diffamazione.
Ecco alcuni brani dell’articolo citato.

… durante tutto il convegno il lessico ricorrente è stato: “La madre cerca in tutti i modi di allontanare il figlio dal padre, di alienare la figura del padre”, ha dichiarato Vitalone rispetto al caso XXX. E ancora: “Continua ad alienare il padre dall’affetto del figlio”, parlando anche di “sintomi” e di una “malattia”.

Egregio Dr Vitalone, lei è un giudice, deve valutare i fatti. Ha le prove di questa che lei chiama alienazione? Sa molto meglio di me, o perlomeno dovrebbe saperlo, che senza prove non si può processare nessuno. Eppure è quello che da circa 20 anni accade nei tribunali dei minori e nei tribunali ordinari sezioni famiglia.
Le madri vengono processate senza uno straccio di prova, perchè ritenute, pre-giudizialmente, alienanti, malevoli, ecc.
Concetti definiti dalla Suprema Corte di Cassazione come “inammissibili valutazioni di tätertyp“. Non devo certo essere io, modesto psichiatra, a spiegare a un giudice un’Ordinanza della Cassazione; a ogni buon conto.
Mi permetta, ma come ci si può fidare di questa giustizia, come la madri possono continuare a fidarsi?
E quella che voi chiamate alienazione parentale, o tutti gli altri sinonimi, lo sa bene, è solo una strategia processuale per difendere i genitori accusati dai figli di violenza in famiglia o abusi sessuali incestuosi; in assenza delle prove della presunta, da voi dichiarata, manipolazione psicologica del minore, ecco tirare in ballo il concetto della malattia (prima PAS, poi alienazione parentale, poi madre malevola e poi tanti altri sinonimi che sarebbe troppo lungo elencare qui). Malattia inesistente; qui lei deve fare un passo indietro e lasciare la parola alla psichiatria, quella seria, quella dei DSM e dei trattati, quella internazionale non la fetecchia che in tribunale vi viene proposta dai CTU della psicologia giuridica.

… La psicologa forense Laura Volpini, che ha lungamente citato gli studi di Richard Gardner, psichiatra ideatore dell’alienazione parentale e contestato per altre sue teorie, ha risposto a quanti, iscritti al convegno in collegamento da remoto, le facevano notare controverse affermazioni dello psichiatra: “Lasciamo in pace il povero studioso. Adesso è morto e non si può difendere, quindi lasciamolo in pace”.

Egregia d.ssa Volpini: innanzitutto Gardner non era psichiatra, non offendiamo la categoria; in secondo luogo, ma quale studioso, Gardner non ha mai studiato un cazzo, perché se avesse studiato non si sarebbe inventata quella cazzata della PAS. Nel 1985, proprio per l’articolo sulla PAS, venne cacciato dalla Columbia University con la motivazione che era “ignorante nella disciplina di psichiatria e incapace di ragionare in base al metodo scientifico” (comunicazione personale del Dr Salvatore Pitruzzello, PhD in Scienze politiche e Assistant Professor presso la Columbia University, NY).
Le università italiane invece sono colonizzate da ignoranti della psichiatria e incapaci di ragionare secondo il metodo scientifico. E non aggiungo altro.

… Dello studioso Pompilia Rossi salverebbe il concetto della triade: “Le problematiche relazionali non dipendono solo da un genitore” ma “dal comportamento della triade”.

Egregia avv.a Pompilia Rossi, faccia l’avvocata, cosa ne sa lei di triadi e problemi relazionali? Né Gardner ha mai parlato di triadi; ma ha mai letto qualcosa di quel pessimo soggetto?
E la questione è sempre la stessa, in assenza di prove della presunta manipolazione psicologica del minore, ci si rifugia nella malattia, adesso problema relazionale. Se la famiglia è separata non esiste più una triade, ma due diadi, quella madre-figlio e quella padre-figlio. Il problema relazionale in quale diade c’è? Ecco, cominciamo da qui, dal definire con chiarezza il campo di intervento.

… Marisa Malagoli Togliatti, nota Ctu, ha insistito sulla “conflittualità che fa male ai bambini, tanti vanno in terapia per questo motivo”, ha detto. Sull’ascolto del minore la nota Ctu ha precisato che prima di ascoltare un minore bisogna sincerarsi “del suo discernimento”, soprattutto dal momento che “la maggior parte delle separazioni avvengono quando i figli sono molto piccoli, di due o tre anni”.

Egregia d.ssa Malagoli-Togliatti, la conflittualità fa male ai bambini. Certo, ma la conflittualità c’era già prima della separazione o è iniziata al momento della separazione? Se ha un minimo di formazione sistemico-relazionale, sa che la conflittualità c’era già prima della separazione e che è stata proprio la conflittualità, ormai insanabile (verosimilmente per violenza o abusi sessuali incestuosi) la causa della separazione. La separazione quindi mette fine alla conflittualità.
Poi arrivate voi CTU e riaprite la conflittualità, la esacerbate. A che pro? Follow the money trail, scrivono gli americani.
E poi: “prima di ascoltare un minore bisogna sincerarsi del suo discernimento“; cavolo! Ma se il giudice non lo ascolta come fa a sapere se abbia o meno capacità di discernimento? E lo deve ascoltare personalmente il giudice. Lo scrive chiaramente l’ultima Ordinanza della Cassazione.

Ma infine, questa vicenda la ricorda? E quindi? Di che obiettività andate parlando quando agite in quel modo? Chiedemmo per questo la sua ricusazione come CTU; e la giudice si mise a urlare in udienza contro l’avvocato. Ma che bel sistema!

Conclusione

Mi avvio ora alla conclusione.

Concludo qui questa prima parte.

L’utilizzo del concetto di PAS nelle CTU per l’affidamento dei minori ha causato una distorsione dei processi che ha comportato la negazione, l’occultamento delle violenze in famiglia e degli abusi sessuali sui minori; i CTU che aderiscono acriticamente al concetto di alienazione parentale mostrano scarso senso di ragionamento logico oltre a una formazione professionale approssimativa che dà ragione del duro giudizio espresso da Paolo Crepêt (1).

La psicologia giuridica ha manipolato la dichiarazione del Ministro della salute del 18 ottobre 2012 giungendo ad affermare che la PAS non era più una malattia dell’individuo (cosa sostenuta con veemenza sino al giorno prima) ma una malattia della relazione (2), iniziando a parlare di alienazione parentale; nella sostanza il concetto di base è rimasto identico, vale a dire la convinzione, errata, che il bambino che rifiuta un genitore sia manipolato dall’altro genitore. Alcuni psicologi giuridici hanno persino pubblicato un articolo sulla rivista “Psicologia contemporanea” per sostenere questo cambiamento di etichetta, riproponendo gli stessi sintomi della PAS, ribattezzati criteri, per diagnosticare l’alienazione parentale. Naturalmente criticai fortemente questo articolo (3). Del resto, anche la direttrice della rivista mostrò di avere le idee poco chiare in materia (4).

In un altro articolo (5) un gruppo di psicologi giuridici giunse a profetizzare l’imminente inserimento dell’alienazione parentale nel DSM-5; naturalmente il DSM-5 non ha classificato l’alienazione parentale perché ovviamente, come la defunta PAS, è solo spazzatura pseudoscientifica. Ma loro nella spazzatura ci sguazzano, evidentemente.

Anche il patetico tentativo di assimilare la loro alienazione parentale al problema relazionale genitore-bambino è stato un fiasco (6); e questo è davvero vergognoso, indegno di professionisti ed esperti quali dicono di essere. Se un problema relazionale esiste tra un genitore e un figlio è di tutta evidenza che tale problema di relazione esiste tra il bambino che rifiuta un genitore e il genitore rifiutato dal figlio. Per questi cotanto esperti invece il problema relazionale ci sarebbe tra il figlio e il genitore che non viene rifiutato, con il quale il bambino ha scelto di vivere, con il quale il figlio non ha nessun problema di relazione, anzi ha un’ottima relazione. Un modo di ragionare che fa seriamente dubitare, ancora una volta, delle capacità di ragionamento logico di questi soggetti.

E allora l’ottima relazione madre-figlio diviene una relazione simbiotica; un’altra totale assurdità perché la simbiosi madre-figlio pertiene ai primi mesi di vita del bambino (7) e se non si risolve entro i dodici-quindici mesi, quando inizia la fase della separazione-individuazione, dà luogo a problemi psicotici precoci del bambino (8). Ma questi soggetti non leggono, non studiano? La loro formazione e professionalità sono a un’unica dimensione, quella della psicologia giuridica, ovvero dell’ignoranza delle cose della psicologia.

Nel marzo 2013 la Cassazione si è pronunciata sull’utilizzo dei concetti scientifici in Tribunale, condannando l’utilizzo della PAS perché priva di validità scientifica. Questa pronuncia della Cassazione non ha minimamente scalfito le certezze granitiche di alcuni giudici sulla presunta manipolazione dei figli da parte delle madri; sempre assunta pre-giudizialmente e senza prove.

Più volte alcuni magistrati si sono espressi pubblicamente in favore della PAS (9).

La giustizia minorile e della famiglia è fortemente inquinata da questo concetto antiscientifico e fatica a disintossicarsi; risale addirittura al 2004, infatti, un articolo pubblicato sulla rivista ufficiale dell’AIMMF (Associazione dei magistrati minorili e della famiglia) che descrive la PAS (10). Chi ne abbia voglia può andare a vedere chi erano all’epoca i responsabili della rivista (11).

Articolo copia-incollato da questo (12) a firma di un certo Guido Parodi; non si trovano sue tracce in rete e se si clicca sul link al suo sito (www.guidoparodi.it) si viene reinviati a siti pornografici.

Nel 2011 ho proposto alla rivista dell’AIMMF la pubblicazione della traduzione in italiano, autorizzata dall’autrice, di un articolo della Prof.ssa Carol Bruch, insigne giurista statunitense, che demoliva il concetto di PAS proprio dal punto di vista giuridico; la risposta della rivista fu che tale articolo non era di loro interesse.

Particolarmente inquietante è quanto scoperto dall’associazione Finalmente liberi onlus (13), dell’avv.a Cristina Franceschini: ben 200 giudici onorari in situazione di incompatibilità e conflitto di interessi; risultavano infatti avere rapporti con comunità per minori, a volte addirittura in qualità di presidenti di queste strutture. Un aspetto, a mio parere, solo appena sfiorato da questa indagine.

Così come altrettanto inquietante è quanto emerso, ma subito sommerso, dall’indagine romana su mafia capitale (14); il muro di omertà intorno a queste vicende è ancora ben solido.

Le associazioni forensi, tra quelle decisamente schierate a favore della PAS e vicine alle associazioni dei padri separati, quelle ondivaghe, quelle che non si pronunciano, quelle che stanno a vedere come tira il vento, ecc., hanno contribuito a diffondere questo concetto. Né il Ministero della Giustizia sembra voglia intervenire a tutela della regolarità dei processi di separazione e affidamento dei minori; l’utilizzo della scienza spazzatura danneggia la Giustizia, consente l’affidamento dei minori ai genitori violenti o pedofili e il collocamento presso di loro.

In ambito penale la PAS e i suoi correlati (amnesia infantile, suggestionabilità del minore, ecc.) consentono l’archiviazione dei processi per abusi sessuali sui minori, e mandano assolti i padri abusanti.

Gli Ordini professionali dei medici e degli psicologi sono assenti circa le posizioni antiscientifiche assunte da alcuni loro iscritti; tutt’altro, arrivano ad avviare procedimenti disciplinari nei confronti di chi critica l’alienazione parentale. Ho conoscenza personale di un caso del genere; o forse degenere, emblematico della degenerazione culturale della psicologia ormai ridotta a quinta colonna dei genitori violenti o pedofili. E questo pur prescrivendo agli iscritti che l’informazione sanitaria deve essere “fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite” (art. 55 Codice deontologico dei medici) e che sono tenuti a mantenere un “livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale” (art. 5 codice deontologico degli psicologi). Alcune segnalazioni ed esposti sono finiti nel nulla.

Non parliamo poi dei Servizi sociali comunali e dei consultori, quasi tutti indottrinati sulla PAS da convegni e corsi di formazione. Risalgono al 2014 le Linee guida per i Servizi sociali (15) per il contrasto alla violenza contro le donne; la PAS viene trattata e condannata alla pag. 58 delle linee guida, ma per la maggioranza delle assistenti sociali è come se tali linee guida non esistessero. E nel 2019 che ti fa l’Ordine degli assistenti sociali? Ti organizza un bel corso di formazione sulla PAS (16). E ad aprile 2020 si interessano ancora di PAS (17).

La SINPIA, società italiana di neuropsichiatria infantile, non ha ancora rimosso dalla linee guida (18) in tema di abuso sui minori il riferimento alla PAS e a Gardner, come più volte segnalato (19); naturalmente non è che una società scientifica debba obbligatoriamente accogliere segnalazioni provenienti da singoli medici, ma di certo non fa onore a una società scientifica, e a tutti i neuropsichiatri infantili italiani, il fatto che la SINPIA indichi tra i propri riferimenti bibliografici un apologeta della pedofilia, del tutto ignorante sulle questioni psichiatriche e dell’infanzia; questo la dice lunga sul livello di condizionamento subito dalla SINPIA. Oltretutto il riferimento (Gardner, 1984) è pure sbagliato perché Gardner pubblicò il suo articolo sulla PAS nel 1985.

Anche il CISMAI, coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia, sensibilizzato nel 2011 sulla questione PAS, rispose negativamente; ci scrissero che non avevano la possibilità di impegnarsi nella lotta alla PAS. Né il CISMAI ha mai preso una posizione chiara e definita di condanna della PAS; nel documento depositato in Commissione Giustizia del Senato nel 2018 parlano della PAS come di “un tema tuttora scientificamente controverso” (20). Ma per favore!! La PAS è una bufala antiscientifica, è solo una strategia processuale per difendere i genitori violenti o pedofili.

La retorica sui padri separati ha contagiato tutti i media, facendo scomparire dalla scena pubblica le madri separate e i figli; vari personaggi, tra giornalisti e conduttori televisivi, sono padri separati e approfittano del loro ruolo pubblico per soffiare sul fuoco della PAS e dell’alienazione parentale, alimentando così un clima di odio contro le madri e contro le donne.

Alcune trasmissioni televisive sponsorizzano sfacciatamente la PAS e l’alienazione parentale e contribuiscono al diffondersi di questa fake news.

In quasi tutte le facoltà di psicologia e scienze della formazione imperversano i sostenitori della PAS e dell’alienazione parentale e svolgono insegnamenti sulla scienza spazzatura, tesi di laurea, tesi di master, ecc.; nell’indifferenza del MIUR che pure dovrebbe vigilare sui contenuti didattici e sulla coerenza scientifica degli insegnamenti e della ricerca.

L’unica associazione che da anni combatte questi orrori è il Movimento per l’Infanzia, dell’avv. Coffari (https://www.movimentoinfanzia.it/).

Di recente sono giunte a dare man forte nella lotta contro la PAS l’associazione “Maison Antigone” (http://www.maisonantigone.it/) cui è collegato lo studio legale “Studio legale donne” – https://studiolegaledonne.webnode.it/), e il “Comitato Madri unite contro la violenza istituzionale” (https://www.facebook.com/siamotuttelaura).

I centri antiviolenza delle Rete DiRe sono attivi nel contrastare la PAS e le brutture conseguenti, ma in altri centri antiviolenza sono presenti operatori che sostengono la PAS, o comunque non hanno le idee ben chiare su questa problematica, e combinano disastri.

Le cosiddette associazioni di padri separati sono l’elemento sovversivo in queste vicende; sono queste presunte associazioni che soffiano sul fuoco, che armano i padri separati contro le ex-mogli e i figli. A queste associazioni sono collegati vari professionisti, in particolare avvocati e psicologi, che sostengono il concetto di alienazione parentale e incitano i padri separati a trascinare in giudizio le ex-mogli, infischiandosene del benessere di figli. Dalle vicende che ho riportato se ne ha ampia prova. Non è difficile immaginare il giro di denaro intorno a queste associazioni.

Molte di queste presunte associazioni sono in realtà scatole vuote; di esse esiste solo il sito web, a volte nemmeno quello (es. GESEF, FENBI, Genitori sottratti, ecc.), non hanno una struttura associativa, non risultano iscritte agli albi delle associazioni, riportano come sede sociale indirizzi improbabili. Per esempio, nel caso di GESEF un piccolo garage a Roma in Via Domenico Ciampoli n. 14 (21), o nel caso di Genitori sottratti addirittura uno sportello bancomat di Poste Italiane a Bologna in Via Marsili n. 10/A (22).

FENBI è l’acronimo di Federazione Nazionale per la Bigenitorialità; dovrebbe quindi essere una federazione di associazioni di padri separati. Il sito web non esiste più (23); riportava come sede sociale una palazzina a Pordenone in Via Col di Lana n. 3. Stesso indirizzo di un’altra presunta associazione, il CIATDM; CIATDM è l’acronimo di Coordinamento Internazionale di Associazioni per la Tutela dei Minori, una cosa grossa quindi. Ebbene nulla di internazionale, dichiarava una sede a Pordenone e altre due a Gagliano del Capo (LE) e Racale (LE), in Puglia; tutta qui l’internazionalità di questa associazione (24). A che pro tutto questo fumo? Chi ne è in grado cerchi la risposta.

Elemento inquietante circa queste associazioni è l’interesse, e l’insistenza, che mostrano nei loro scritti e convegni, sui cosiddetti falsi abusi sessuali, sulle cosiddette false denunce, ecc.; a chi giova questa disinformazione? Non occorre essere complottisti per intuire in questo attivismo un interesse precipuo, se non proprio un piano preciso, per occultare gli abusi sessuali sui minori e le violenze in famiglia.

L’aspetto economico non è affatto secondario in queste vicende, si parla di decine, a volte centinaia di migliaia di euro spesi dalle famiglie che si separano. Gli autori di un articolo pubblicato nel 2012 (25) scrivono letteralmente: «se si vuole comprendere il senso del sostegno alla teoria della PAS basta seguire la pista del denaro»; le stesse parole usate dal Giudice Falcone nella lotta alla mafia. Come ho scritto più volte, la PAS è una grande quantità di denaro che cambia proprietario.

Nella seconda parte parlerò di altre CTU altrettanto drammatiche; siamo al 2020 e la situazione non sembra migliorare affatto.

NOTE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

  1. https://bit.ly/3dzQqkg
  2. Concetto davvero singolare quando espresso da psicologi; le relazioni possono essere disfunzionali ma non malate, chi si ammala è l’individuo non la relazione.
  3. http://www.andreamazzeo.it/docu/zuppa-panbagnato.pdf
  4. http://www.andreamazzeo.it/docu/articolo_psicologia.pdf
  5. https://bit.ly/3aiCmcU
  6. http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/chiarezza.pdf
  7. Galimberti U (2002), Enciclopedia di Psicologia. Garzanti.
  8. Mahler MS (1968), Le psicosi infantili. Boringhieri, 1972.
  9. https://www.youtube.com/watch?v=fD21wDY5RYY https://bit.ly/31aSNTL https://bit.ly/2NMT5gF https://bit.ly/3wmbi6d https://bit.ly/3rRxtxF https://bit.ly/2Pr9fNF https://bit.ly/3chAjY9
  10. http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/aimmf_pas.pdf
  11. https://bit.ly/3gEeHYm
  12. https://bit.ly/3emb6vv
  13. https://www.facebook.com/finalmenteliberionlusofficial/
  14. http://andreamazzeo.altervista.org/blog/stelle-polari/
  15. https://bit.ly/32GqjC2, pag. 58
  16. https://bit.ly/3dHETzN, evento ID 34007
  17. https://bit.ly/3tHWM6R
  18. https://bit.ly/3eqzYCe
  19. http://andreamazzeo.altervista.org/blog/la-sinpia-e-la-pas/
  20. https://bit.ly/2OHdlAM
  21. Aspetto evidenziato nella relazione depositata in Commissione Giustizia del Senato nell’ambito della discussione sul DDL 735. http://www.alienazionegenitoriale.org/comsep/pdf/d-0006.pdf
  22. Ne parlo in quest’altro documento, sempre depositato in Commissione Giustizia del Senato.
    http://www.alienazionegenitoriale.org/comsep/pdf/d-0007.pdf
  23. Reperibile sull’archivio del web; il suo presidente si definiva illustratore di fumetti; una qualifica che conferisce molta competenza nel campo del diritto di famiglia. Attualmente al link http://www.fenbi.it si trova un sito di incontri online con ‘donne mature’.
  24. Un’analisi di questa presunta associazione si trova qui: http://www.andreamazzeo.it/pas/0005.htm
  25. http://jaapl.org/content/40/1/127.full

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

Una delusione

Nella vicenda che segue la madre della bambina aveva già incaricato uno psicologo di seguirla come CTP; mi chiese di affiancarlo poiché aveva notato un’eccessiva familiarità di questo psicologo con la CTU e temeva quindi di non essere sufficientemente tutelata.

Non conoscevo né questo psicologo (ma sapevo che si era espresso, in altra sede, a favore della PAS), né la CTU, anche lei psicologa; cercando in rete vidi che era collegata a gruppi che combattevano la teoria della PAS per cui pensai, accettando, che la CTU si sarebbe svolta correttamente. Si rivelò, invece, una completa delusione.

La presente CTU nasce dal ricorso di parte del sig. …, con il quale vengono pretestuosamente mossi alla sig.a … una serie di addebiti che sono stati smentiti proprio nel corso delle operazioni peritali.

È emerso con chiarezza che non solo la madre mai ha ostacolato il rapporto padre-figlia ma che è stato lo stesso padre a rendersi inadempiente sotto diversi profili.

Difatti:

1) Per circa un anno non ha chiesto notizie della figlia, né ha chiesto di frequentarla (dichiarazione al giudice in un precedente procedimento).

2) Non ha mai contribuito, per la parte a lui spettante, alle spese straordinarie per la figlia; a … ha perso la causa. Il Tribunale ha stabilito che tali spese spettano a lui e che è tenuto a pagarle, per quanto dovuto, per gli ultimi 7 anni.

3) Non ha corrisposto gli arretrati sull’incremento dell’assegno a suo carico disposto in sede di sentenza di separazione del ….

Nonostante queste sue inadempienze, cita la ex-moglie in giudizio accusandola di ostacolare il suo rapporto con la figlia quando è lui stesso, come emerso dalle operazioni peritali, e di cui si darà conto di seguito, a non aver saputo stabilire un sereno rapporto padre-figlia e a disinteressarsi della crescita e dello sviluppo della figlia sotto diversi profili, non ultimo quello economico. Addirittura chiede la «decadenza della responsabilità genitoriale della sig.a …», insinuando che la stessa abbia «disturbi fisici, psicologici impeditivi del rapporto madre-figlia», e mettendo in dubbio le sue capacità genitoriali a fronte del dato oggettivo di una bambina di … anni ben sviluppata sia sotto il profilo fisico sia psicologico, del rendimento scolastico, della socializzazione, ecc. Chi l’ha cresciuta sinora se non la madre senza l’apporto, anche economico, del padre?

Venendo alle operazioni peritali.

1) Per nulla condivisibile è quanto scrive la CTU nella premessa (pag. 3) laddove si esprime sulla minore XXX (e non … …) che, a suo giudizio, prima ancora dell’inizio delle operazioni peritali, sarebbe «già soggetta a sporadiche manifestazioni sintomatiche e ‘candidata’ (addirittura!!) allo sviluppo di una più seria e strutturata patologia»; non si comprende su che basi la CTU esprima quel giudizio prima ancora di iniziare le operazione peritali. Né di tali manifestazioni sintomatiche (sintomatiche rispetto a cosa? andrebbe precisato), sia pur sporadiche, si trova una descrizione nell’elaborato peritale.

A pag. 21, descrivendo gli aspetti di personalità della minore, la CTU scrive:

«La gestione emozionale, però, specie in presenza di sollecitazioni forti o di uno stress continuativo non riesce ad essere del tutto efficace, determinando un’elevazione dell’ansia in misura eccessiva rispetto alla possibilità di un’adeguata elaborazione; ciò determina somatizzazioni a carico del sistema muscolare volontario ed involontario, con la possibile manifestazione occasionale di disturbi gastrointestinali,della deambulazione, svenimenti, emicrania, difficile controllo della minzione, etc.»

Non si comprende da dove la CTU tiri fuori queste considerazioni visto che nulla del genere si è verificato nel corso delle operazioni peritali; in realtà la bambina ha presentato due episodi non di incontinenza ma di urgenza minzionale mentre era col padre al quale diceva da più di mezzora che aveva bisogno di andare in bagno ma lui non se ne è preoccupato minimamente e alla fine la bambina non è più riuscita a trattenere le urine. Così per quanto riguarda la caduta accidentale (la bambina mentre camminava è inciampata, altro che somatizzazione!), verificatasi una sola volta, anche questa quando era col padre; lo specialista ortopedico le ha consigliato un periodo di riposo. Tutto qui, senza scomodare improbabili somatizzazioni né a carico del sistema muscolare volontario (?) né tanto meno di quello involontario (?), che, oltretutto, se davvero ci sono, hanno un decorso cronico e non episodico o saltuario, né sono migranti ma si focalizzano su un organo o apparato che viene caricato di significati psicologici. Il mal di testa (non emicrania) di cui si è lamentata a volte XXX è provocato proprio dalle domande martellanti del padre che la sfiniscono. Se il padre la stressasse di meno XXX sarebbe più serena.

Non si può parlare, scientificamente, di somatizzazione per via di singoli episodi spiegabili con dati oggettivi (qualsiasi persona se ha bisogno di andare in bagno e le viene impedito, finisce per urinarsi addosso; qualsiasi persona può inciampare accidentalmente camminando per strada senza somatizzare un bel niente; qualsiasi persona può presentare un episodio di vomito giustificabile con mille motivi senza pensare che stia somatizzando; né risulta che la bambina soffra di emicrania o di svenimenti ripetuti).

2) Non è nemmeno condivisibile l’affermazione (pag. 11) che i genitori si sono «reciprocamente concentrati su attacchi, minacce e rivendicazioni da rivolgersi reciprocamente molto più che dedicarsi a far crescere la figlia».

La CTU dà atto (pag. 21) che XXX ha uno «sviluppo psico-fisico adeguato» all’età cronologica, «adeguata competenza verbale», «ottimi risultati scolastici», «buoni rapporti con tutti i compagni di classe», «diverse amichette», ecc. E questa sarebbe una bambina che non è stata fatta crescere? E va dato atto che chi l’ha fatta crescere così bene è la madre.

Si leggano in merito i giudizi lusinghieri espressi dalle insegnanti nelle pagelle, che sono dati oggettivi, piuttosto che fare illazioni sul fatto che la bambina non sarebbe stata fatta crescere.

Giudizio del …: «l’alunna dal carattere pacifico e sensibile continua ad essere autonoma e serena. Ha ottimi rapporti con i coetanei ma preferisce stabilire legami con compagni tranquilli e riflessivi. Il suo rapporto con la scuola continua ad essere di grande motivazione per l’apprendimento. È sensibile alle gratificazioni e accetta giudizi e consigli. Possiede ottime capacità e ha acquisito buone conoscenze in tutte le aree disciplinari. Procede con regolarità nell’apprendimento aumentando sistematicamente le sue competenze».

Giudizio del …: «la bambina assidua nell’impegno ha mostrato un ulteriore interesse e curiosità di conoscere ed ha raggiunto maggiore prontezza ed un metodo di lavoro efficace. Accurata e creativa, ha compiuto ottimi miglioramenti in quasi tutte le discipline grazie proprio all’assiduità, alle capacità logiche e linguistiche. È diventata più sicura nelle attività logiche e matematiche con risultati apprezzabili anche nella competenza per la soluzione di situazioni problematiche. Ha gusto personale e sensibilità artistica. Riesce a mantenere viva l’attenzione anche per tempi prolungati e porta a termine tutti lavori».

3) XXX ha ottimi rapporti con i familiari di parte materna; se non ha rapporti con i familiari di parte paterna bisogna che sia il sig. … a darne conto e spiegare:

3.1) perché non ha accompagnato la figlia dai suoi familiari, dalla nonna paterna (solo 4-5 volte in questi 3-4 anni), durante gli incontri non protetti della durata di ben tre ore dal mese di … al …, data di inizio delle operazioni peritali, né la accompagna tuttora;

3.2) perché nessuno dei familiari di parte paterna ha mai telefonato alla bambina per salutarla, farle gli auguri in occasione del suo compleanno o del suo onomastico. Il padre stesso non le ha mai fatto gli auguri per il suo onomastico.

A pag. 30 e seguenti la CTU riporta l’esito dei monitoraggi degli incontri padre-figlia e raramente compare una visita alla nonna paterna (dal 2010 a oggi le visite alla nonna paterna si contano sulle dita di una sola mano!) o altri familiari di parte paterna ma solo incontri con tre-quattro lontani parenti adulti (una sua cugina, una cugina del padre, cioè del nonno di XXX, con il marito – quello che fa gli ‘scherzi’ – ved. infra), che il padre frequenta abitualmente. Oltretutto la frequentazione con questi parenti non è stata certo di giovamento per XXX perché proprio loro l’hanno informata delle vicende giudiziarie che interessano il padre (cose che in precedenza la bambina non conosceva). Se questo sia nell’interesse supremo della minore è lasciato all’apprezzamento del Giudice.

4) La CTU invece di attenersi ai dati oggettivi cerca di costruire una storia romanzata che però si rivela più una fiction che un fedele resoconto della realtà; dal video dell’incontro madre-figlia XXX non mostra proprio di essere una bambina «dipendente dalla madre» con la quale avrebbe un «legame fortemente simbiotico» ma si osserva tutt’altro.

La bambina è vispa, spigliata, interloquisce con la CTU e la sua collaboratrice in maniera spontanea e genuina senza cercare con gli occhi l’assenso della madre (questo sarebbe stato segno di dipendenza e di rapporto simbiotico), nell’esecuzione del disegno agisce attivamente e autonomamente rispetto alla madre (non in maniera passiva come attendesse l’assenso della madre). Insomma l’osservazione del video, che è un dato oggettivo, stride fortemente con la descrizione che ne dà la CTU.

Né si comprende da cosa la CTU deduca (pag. 22) che la bambina sembri «timorosa del fatto che una sua “disinvoltura” nel restare sola con il padre possa eventualmente essere dalla madre disapprovata o fraintesa, o vissuta come “abbandono”, piuttosto che come effettiva preoccupazione per la lontananza». Questa è una congettura bella e buona (la stessa CTU scrive ‘sembra’; sembra, su che basi? Ma in una CTU i fatti devono sembrare o devono essere? Una sentenza può basarsi sul sembra o deve basarsi su ciò che è?).

5) Non è che XXX abbia uno «uno scarso riconoscimento del ruolo paterno» ma è proprio, come si dirà di seguito, che il padre non sa porsi, nei confronti della figlia, come padre. E ciò emerge in maniera lampante dal video dell’incontro col padre dove quest’ultimo indispettisce sistematicamente la figlia («… sei sempre stanca … sei molto impegnata – detto con enfasi negativa – … ci s’incontra alle sei di mattina – tra l’altro quest’ultima assurdità viene rinforzata dalla CTU che arriva a proporre l’incontro padre-figlia alla 11 di sera (!), alleandosi col padre nel prendere in giro la bambina), infastidendola con le continue riprese che le fa con la telecamera accompagnate da espressioni enfatiche che alla figlia sono poco gradite («immortaliamo questo momento», ecc.), entrando in competizione con la figlia durante il gioco svolto («hai paura di perdere», ripetuto più volte), indispettendola non chiamandola con il suo nome, ecc. Più che il comportamento di un padre sembra quello di un fratello maggiore dispettoso e irascibile.

6) Così come un’altra serie di falsità vengono riportate dal sig. … alla CTU la quale le riporta integralmente senza peritarsi di verificarle nella loro veridicità.

6.1) Non corrisponde al vero che il dispositivo degli incontri protetti non sia stato messo in atto per circa un anno; sono agli atti dichiarazioni del sig. … al giudice che è stato lui stesso che per circa un anno non ha chiesto di vedere la figlia.

6.2) Non corrisponde al vero che il precedente percorso di mediazione familiare sia stato abbandonato dalla sig.a …, ma è stato lo stesso mediatore familiare a dire che era inutile continuare visto che il sig. … rimaneva fermo sulle sue richieste e non accettava di mediarle con quelle della madre.

SULLE VIOLENZE

1) La CTU riporta a pag. 6, erroneamente, che circa il procedimento penale a carico del sig. … per l’aggressione alla madre della sig.a …, vi sarebbe stata archiviazione; ciò non corrisponde al vero perché vi fu richiesta di archiviazione, conseguente opposizione e inizio del processo nel … (non riapertura). Inoltre il procedimento è anche per violenza anche nei confronti della sig.a ….

Alla luce di ciò lo scrivente, nell’incontro di CTU del … rappresentò la necessità di tenere conto di quanto prescritto dalla Convenzione di Istanbul in tema di affidamento in presenza di violenza in famiglia, ma la CTU non si espresse in merito mostrando di non voler tenere conto di una legge dello Stato (Legge n. 77/2013, art. 26, comma 2).

2) La CTU riporta (pag. 6) che la sig.a … avrebbe denunciato il sig. … per presunte molestie sessuali sulla figlia; poiché non esiste nessuna denuncia del genere la CTU deve riportare la fonte di questa notizia, che è totalmente falsa.

3) Nel corso del week-end del mese di … c.a., nella città di …, in seguito a motivi banali, la bambina è stata quasi aggredita dal padre, che le ha urlato gesticolandole sul viso e avvicinandosi minaccioso a lei, in pubblico, tanto da attirare un capannello di gente. Questo dato oggettivo dà conto dell’incapacità del sig. … di contenere i suoi impulsi aggressivi; questo elemento avrebbe dovuto portare la CTU ad approfondire clinicamente l’ipotesi che il sig. … possa presentare una qualche forma di un disturbo del controllo degli impulsi, ma nulla di tutto ciò si riscontra nel suo elaborato. La CTU prosegue il suo romanzo senza tenere conto dei dati oggettivi di realtà.

È di tutta evidenza che la bambina, già vittima di violenza assistita, resti ulteriormente traumatizzata da questi comportamenti del padre e preferisca frequentarlo per brevi periodi di tempo poiché alla lunga il padre non riesce a controllare i suoi impulsi aggressivi verbali.

4) Anche il resoconto che la bambina fa il giorno …, nella sede della CTU, lascia alquanto perplessi.

«La prima volta che siamo andati a … siamo andati dai dei cugini dei parenti del nonno… che allora si chiama … ha un marito di nome …, quando siamo andati a mangiare ha detto “ti devo tagliare i capelli”, un’altra volta ha detto “datemi una corda che ti impicco”, poi un altra volta “ti metto con le capre che c’hanno le corna”, poi un’altra volta mi ha preso, mentre parlavo con papà, da dietro mi prende in braccio e mi ha buttata nel camino, sono sbattuta con la testa vicino al camino, non mi sono fatta il livido però mi faceva un dolore tremendo, cioè ma veramente immagina tu stai parlando normalmente con tuo padre all’improvviso uno da dietro ti prende e ti lancia. E papà lo sai che ha fatto? Anziché dire “uh mamma mia che hai fatto che ti sei fatta?” Si è messo a ridere. Papà dice sempre – se c’è qualcosa che non va dimmelo – io glie l’ho detto: “papi ma quello m’ha buttato con la testa nel camino” e lui ha detto ehm “ma qui si scherza così”. Ma si scherzerà in quel paese in quel modo ma io non scherzo così, cioè veramente mentre una persona sta parlando con un’altra persona, all’improvviso una persona da dietro la prende e la butta nel camino non è uno scherzo, poi dire ti impicco, dire ti metto con le capre che c’hanno le corna, dire ti taglio i capelli…».

È chiaro che la bambina sia traumatizzata da questi ‘scherzi’ e che preferisca evitare lunghi periodi di permanenza dal padre e dai suoi parenti che ‘scherzano’ con lei in maniera così pesante.

SULLA SIG.A …

A pag. 12 la sig.a … viene descritta come nevrotico-ossessiva. Su quali basi la CTU si esprime in questi termini?

Risultano per caso alla CTU comportamenti ossessivi della …? Nel corso della CTU non sono emersi; la CTU ha utilizzato fonti esterne? E se sì quali? L’esame clinico, che, non si dimentichi, è sempre quello che deve guidare le operazioni peritali, ha fatto emergere comportamenti ossessivi della …?

Per citare il Prof. Ugo Fornari, grande maestro di psichiatria forense per tutti noi: «In ambito psico-forense occorre non confondere le evidenze scientifiche che emergono dagli strumenti diagnostici di volta in volta utilizzati con il metodo seguito, perché solo questo e non certo l’uso di uno strumento piuttosto di un altro offre garanzia di “scientificità” all’elaborato peritale. Ancora una volta la clinica è sovrana con un’attrezzatura mentale sua propria» (Fornari U, Trattato di Psichiatria Forense, pag. 636. UTET Giuridica, 2015).

Nessun comportamento ossessivo è emerso dall’esame clinico della madre e pertanto quella frase è pura invenzione della CTU e come tale deve essere eliminata e non se ne deve tenere conto.

SULLA GENITORIALITÀ

A pag. 18 parlando della genitorialità del padre la CTU così si esprime:

«presenta un ruolo paterno non immaturo, che tuttavia potrà sicuramente acquisire una maggiore competenza con una frequentazione più assidua ed un sostegno genitoriale mirato a correggere le fragilità e residue carenze che si evidenziano».

Il periodo è oltremodo contraddittorio poiché se vi sono, lo scrive la CTU, ancora fragilità e carenze evidentemente il ruolo paterno è immaturo, ma soprattutto non è per nulla condivisibile il concetto che la frequentazione più assidua con la figlia dovrebbe servire al padre per acquisire una maggiore competenza genitoriale. NO! La frequentazione più assidua padre-figlia deve rispondere ai bisogni della minore non a quelli del padre.

Né è condivisibile quanto la CTU scrive alla pagina successiva sullo svolgimento dei compiti scolastici. XXX ha più volte riferito in sede di CTU che il padre le impedisce di completare i compiti, le sottrae penne e matite, le tira i libri, le straccia i quaderni. Né il sig. … ha smentito queste affermazioni della figlia, sostanzialmente confermandole. Dai video di monitoraggio degli incontri padre-figlia si vede chiaramente che il padre entra in competizione con la figlia, comportandosi, come già detto, più come un fratello maggiore dispettoso e irascibile che come un genitore.

CONCLUSIONE

Si richiama preliminarmente la Convenzione di Istanbul (Legge n. 77/ 2013) che prescrive di tenere conto degli episodi di violenza al momento di definire le condizioni di affidamento e frequentazione con il genitore non collocatario.

A) Sul collocamento della minore

La CTU non lo esplicita, dandolo forse per scontato, ma a parere dello scrivente va precisato che il collocamento della minore resta presso la madre per un duplice ordine di motivi.

a) Nel corso delle operazioni peritali si è dato atto dell’ottimo livello di crescita e sviluppo raggiunto dalla minore attualmente, collocata dalla madre, e pertanto è nel supremo interesse della minore mantenere questo collocamento.

b) Nella casa del padre a … (…) non c’è una stanzetta arredata idonea ad accogliere la minore. Questa circostanza non è stata rilevata dalla CTU ma va segnalata al giudice. Lo dimostra il fatto che nel corso del week-end trascorso con il padre entrambi hanno dormito a casa della cugina del padre

B) Sull’affidamento

a) Si concorda con la proposta della CTU della conferma dell’affido condiviso; pur se le tante inadempienze del sig. … dovrebbero orientare verso la richiesta di un affidamento esclusivo alla madre, l’adesione alla proposta della CTU di conferma dell’affido condiviso testimonia la buona disposizione della sig.a … verso il padre di sua figlia, nonostante tutto, e deve essere di auspicio per il futuro, per una maggiore responsabilizzazione del padre verso la figlia.

b) La sig.a … sta già effettuando un suo percorso psicologico.

c) Se il sig. … voglia effettuare un suo percorso psicologico e di sostegno alla genitorialità è decisione che spetta a lui medesimo, nella consapevolezza di correggere quelle carenze alla funzione genitoriale sopra segnalate.

d) Si esprime contrarietà per il cosiddetto percorso di coppia sia perché sarebbe una forma mascherata di mediazione familiare, vietata dalla convenzione di Istanbul in presenza di violenza (art. 48, comma 1), sia perché la coppia …-… non è più una coppia, nel senso di quello che si intende per coppia, in quanto separati da circa otto anni.

C) Sulla frequentazione padre-figlia

Come già riportato, nella casa del sig. … manca una stanzetta arredata dove la minore possa dormire la notte, avere uno spazio suo, un suo armadietto per gli abiti, un tavolinetto per svolgere i compiti scolastici, ecc.; questo di per sé esclude, allo stato attuale, la possibilità di pernottamenti della minore dal padre. Certo, dormirebbe, come già accaduto, a casa della cugina del padre con la di lei figlia, ma non sembra questa una soluzione che risponda alla lettera della Legge 54/2006 sull’affido condiviso. Dormendo in casa d’altri, sia pure parenti del padre, la minore porterà con sé il vissuto che quando trascorre la notte col padre non la trascorre nella sua casa, nella sua stanzetta, nel suo lettino, ma come ospite in casa d’altri, nel letto d’altri; un vissuto di precarietà, alla stregua di una profuga senza casa.

Esprimendo pertanto contrarietà ai pernottamenti, per i motivi suddetti, si propone il calendario alla tabella seguente(omessa).

Per i periodi festivi (Natale e Pasqua) e quello delle vacanze estive, è da ricercare una modalità che garantendo la frequentazione padre-figlia, particolarmente significativa per rinforzare i legami familiari in quei periodi, tuteli la minore dal senso di precarietà abitativa sopra segnalato.

Il sig. … deve dare garanzie concrete che non deve delegare ad altri il suo diritto di visita, quindi deve dire se i giorni e gli orari indicati sono compatibili con i suoi impegni, lavorativi ed extra-lavorativi, se è in grado di assicurare che sarà lui personalmente a prendere e riaccompagnare la figlia, che sarà lui presente fisicamente in casa in quei giorni e in quegli orari, che garantisce di seguire la figlia nello svolgimento dei compiti scolastici e nella pratica di attività extra-scolastiche (es. danza, catechismo, ecc.), accompagnandola e riprendendola al termine delle stesse se cadono nei giorni di sua spettanza, rispettando le esigenze e i bisogni della figlia (tempi di sonno o altre esigenze fisiologiche). La responsabilità genitoriale si sostanzia proprio in questo e non solo nell’aspetto ludico-ricreativo. Se non è in grado di dare queste garanzie il diritto di visita va rimodulato in base alla sua disponibilità.

Il cosiddetto diritto di visita del genitore non collocatario si sostanzia anche del dovere che detto genitore ha di dedicare parte del suo tempo alla crescita ed educazione del figlio, non solo agli aspetti ludici e ricreativi ma anche pedagogici ed educativi: «non devi essere solo “l’amico dei giochi” ma anche un papà», come ebbe a scrivere XXX nella letterina che di solito le insegnanti fanno scrivere in classe agli scolari in occasione di ricorrenze come la festa del papà o la festa della mamma.

Nel ricorso l’avvocato di controparte ironizza su questa letterina dicendo che per lui è evidente che una bambina di sette anni non è in grado di esprimerla. Bontà sua. Ha delle prove che supportano questa sua affermazione? È evidente che la sua opinione personale, sia pur rispettabile, non fa testo.

Il venir meno di questa circostanza fa perdere significato pedagogico al cosiddetto diritto di visita. È fondamentale, per la serena crescita affettiva del bambino, che egli abbia certezza che il tempo che non trascorre con la madre dovrà trascorrerlo con il padre e non con altre persone. Su questo punto il padre deve essere coerente: se gli orari previsti lui intende trascorrerli con sua figlia da genitore responsabile, bene, altrimenti si dovrà rivedere anche il diritto di visita del padre alla figlia.

Infatti, l’esercizio del diritto di visita del genitore non collocatario non è solo una facoltà ma un dovere, da inquadrare nella “solidarietà degli oneri verso i figli” da parte degli ex-coniugi. Il mancato esercizio, da intendersi anche nel caso in cui il figlio sia affidato solo a terzi, può comportare la decadenza dalla potestà genitoriale ai sensi dell’art. 333 c.c. e integrare gli estremi del reato di cui all’art. 570 c.p.

Per giurisprudenza consolidata e costante la discontinuità nell’esercizio del diritto di visita (da intendersi anche nel caso in cui il genitore non collocatario affidi, durante l’esercizio del diritto di visita, il figlio minore a terzi) in quanto sintomatica della inidoneità del genitore inadempiente ad affrontare le maggiori responsabilità che discendono dall’affidamento condiviso può risultare determinante al fine di una richiesta di affidamento esclusivo e può comportare l’impossibilità ad ampliare ulteriormente il diritto di vista spettante al genitore non collocatario.

Infine vista la tendenza del sig. … a non rispettare gli orari, occorre definire meglio questo punto perché riaccompagnare la figlia in ritardo (molto spesso) o in anticipo (qualche volta) perché ha altri impegni non corrisponde esattamente al concetto di responsabilità genitoriale; oltre a interferire indebitamente nella vita e nell’organizzazione di vita della ex-moglie.

Per fare un esempio concreto: se nei giorni di spettanza del padre la madre sa che la figlia viene riaccompagnata alle ore 19.00, può organizzare i suoi impegni in maniera da essere libera dalle 19.00 in poi; ma se il padre, per suoi impegni, riaccompagna la figlia in anticipo crea una situazione di disagio nella madre che potrebbe essere impossibilitata a liberarsi dai suoi impegni. E così via.

Se nelle giornate di sua spettanza ha altri impegni rinunci a esercitare il suo diritto di visita.

Non ho ulteriori notizie della vicenda precedente.

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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Un quinto parere

Quello che segue è un parere che mi è stato richiesto da una madre sulla CTU svolta da uno psicologo, docente universitario, che la vedeva penalizzata. Le risposi che dovevo prima dare un’occhiata a questa CTU per valutare se fosse necessario esprimere un mio parere critico.

Già alla prima occhiata mi caddero le braccia, perché la CTU era zeppa di errori grammaticali; eppure era stata scritta da uno psicologo, docente universitario. Il contenuto poi era da vero orrore, per cui redassi volentieri il mio parere critico.

In data … la sig.a …, unitamente alla figlia maggiore …, si è presentata nel mio studio, sito a Lecce in Viale Aldo Moro n° 34, chiedendomi di esprimere un parere in merito alla relazione della CTU del Dr …, consegnandomene una copia, oltre a ulteriore documentazione inerente la vicenda separativa e di affidamento dei figli minori, pendente innanzi al Tribunale Civile di … (Procedimento N. … R.G., G.I D.ssa …).

Il sottoscritto, presa visione dell’elaborato peritale e dell’ulteriore documentazione consegnatagli esprime, in piena scienza e coscienza le seguenti

OSSERVAZIONI SULLA CTU DEL DR …

1) Un primo rilievo concerne il mancato esame di tutti gli atti di causa da parte del CTU, in particolare della querela sporta dalla sig.a … nei confronti del sig. … il giorno …, ampiamente corredata dei referti del Pronto soccorso sulle lesioni da lei riportate in seguito alla violenza del coniuge, oltre che delle querele successive. Questo avrebbe consentito al CTU di inquadrare correttamente la presente vicenda separativa non come una ‘separazione conflittuale’ ma come una separazione che ha fatto seguito a un lungo periodo di violenza intrafamiliare e di conseguenza dare alle operazioni peritali un taglio più adeguato alla realtà dei fatti.

Ciò avrebbe evitato al CTU di porsi la domanda, alquanto retorica (pag. 65), circa il perché della lunga durata del matrimonio pur in presenza di una relazione disturbata, poiché vi avrebbe trovato la risposta; la sig. … ha deciso in quel momento di porre fine al matrimonio perché in quel momento ha avuto la prova provata che al marito ormai non interessava più nulla di lei, come donna, come moglie e come madre dei suoi figli, dal momento che in pubblico, con la moglie presente, il sig. … si lasciava andare a intime effusioni con un’altra donna.

2) In secondo luogo l’attento esame degli atti avrebbe inoltre evitato al CTU di compiere l’errore di proporre (pag. 62) per i sigg.i …/… un percorso di mediazione familiare. La mediazione familiare nei casi di violenza intrafamiliare è espressamente vietata dalla Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), art. 48, comma 1 (“Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a vietare i metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui la mediazione e la conciliazione, per tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione”).

3) Dalla lettura degli atti di causa si evince inoltre che dopo la separazione e la fissazione da parte del Tribunale delle modalità di affidamento dei minori e del diritto di visita del padre (Decreto Presidenziale del giorno …), il sig. … è sistematicamente inottemperante circa tali disposizioni. Difatti nei giorni di sua spettanza omette spesso di prendere i figli con sé pretendendo poi di tenerli con sé nei giorni di spettanza della madre. Continua cioè a voler gestire il tempo della ex-moglie e dei figli, come faceva in costanza di matrimonio, dimostrando in tal modo di non volersi attenere ad alcuna regolamentazione, sconvolgendo i ritmi di vita della ex-moglie, e dei figli, secondo una tipica modalità di stalking. Di ciò il CTU non dà atto alcuno dimostrando una certa superficialità di analisi.

4) Anche la stessa proposta che il sig. … fa nel suo ricorso, di collocamento dei figli per sei mesi da lui e per sei mesi dalla madre, o di 15 giorni alterni con ciascun genitore, avrebbe dovuto far comprendere al CTU che questo padre non ha per nulla a cuore la stabilità emotivo-affettiva, oltre che abitativa, dei figli ma il suo intento è solo quello di continuare a molestare la ex-moglie; la presa d’atto di questa circostanza da parte del CTU avrebbe consentito di orientare le operazioni peritali in una direzione differente.

5) Metodologicamente errato è il richiamo alla cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale o parentale (pag. 46) cui viene dal CTU fatta risalire la difficoltà dei minori a relazionarsi col padre. Viene del tutto omesso che i bambini sono vittime di violenza assistita e come tali traumatizzati dal comportamento passato del padre, del quale, evidentemente, temono ancora le reazioni. Di nessun rilievo è l’osservazione del CTU (pag. 38) che i ricordi inizierebbero a stabilizzarsi a partire dai 5-7 anni; dovrebbe desumersi che prima di quell’età i bambini siano completamente smemorati, ma sappiamo tutti, in base al buon senso comune, che così non è. Ma oltre al buon senso comune ci sono studi che dimostrano la capacità dei bambini di memorizzare, ritenere e rievocare eventi traumatici anche precocissimi; si cita, per tutti, il seguente lavoro: Gaensbauer TJ (2002), Representations of Trauma in Infancy: Clinical and Theoretical Implications for the Understanding of Early Memory. Infant Mental Health Journal, Vol. 23(3), 259–277.

6) Il richiamo alla teoria dell’alienazione parentale, ripresa più volte dal CTU nel suo elaborato, è metodologicamente errato anche e soprattutto perché questa teoria è stata dichiarata priva di basi scientifiche nell’ottobre del 2012 dal Ministro della salute. In tema di utilizzo nel processo delle teorie ed ipotesi scientifiche, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che non possono essere adottate “soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare” (Cass. Civ. Sent. 7041/2013). E difatti la soluzione proposta dal CTU di far frequentare ai minori un centro psico-socio-educativo, per far loro “respirare un’altra aria” è del tutto avulsa dalla realtà visto che la stabilità abitativa è essenziale per il benessere psico-fisico dei minori. Se, come ribadito in alcune sentenze, è impensabile che i minori facciano i pendolari tra le case dei due genitori, è ancora più impensabile che facciano i pendolari tra le due case dei genitori e il centro psico-socio-educativo; la loro vita ne verrebbe completamente stravolta e confusa.

7) Un ulteriore errore metodologico riguarda la modalità con cui sono stati ascoltati i minori, senza l’effettuazione della registrazione del colloquio medesimo. Pur non essendovi un obbligo cogente nei processi di affidamento, è buona norma della psicologia forense procedere alla videoregistrazione o anche alla sola audioregistrazione del colloquio (art. 11 delle Linee guida deontologiche per la psicologia forense). È vero che il colloquio si è svolto al domicilio dei rispettivi genitori e non nello studio del CTU, ma una audioregistrazione sarebbe stata comunque possibile, a garanzia del diritto di difesa delle parti che in questo modo è stato leso.

8) Il CTU propone quale unica ipotesi per spiegare le difficoltà relazionali tra il padre e i suoi figli minori quella della presunta alienazione materna, lo si legge in più pagine del suo elaborato. Non ne dà però una dimostrazione basata su fatti concreti ma solo su illazioni. Il perito, o CTU, è tenuto a esaminare, e proporre al Giudice, anche le altre possibili cause di un fatto, in questo caso la difficoltà dei minori di relazionarsi serenamente con il padre; “un evento può trovare la sua causa, alternativamente, in diversi fattori” (Cass. Pen, sent. 43786/2010). Questo tipo di analisi causale manca del tutto nella CTU del Dr … e la rende perciò inutilizzabile dal momento che propone un’unica ipotesi esplicativa senza minimamente considerare, a fronte delle numerose denunce di violenza diretta verso la madre e assistita verso i figli, altre ipotesi. Ipotesi esplicativa, quella dell’alienazione, oltretutto, non dimostrabile e quindi inutilizzabile nel processo; il concetto di alienazione parentale ha, difatti, molti punti in comune con il plagio e tra i motivi che portarono la Corte Costituzionale nel 1981 ad abrogare il reato di plagio c’era proprio “l’impossibilità del suo accertamento con criteri logico-razionali” (Flora).

Che un certo Dr Gardner, citato dal CTU tra i riferimenti bibliografici, abbia proposto questa teoria non rileva affatto, visto che sin dalla sua formulazione questa teoria è stata giudicata dalla psichiatria ufficiale, come pseudo-scienza o addirittura scienza spazzatura (junk-science – Paul Fink, Presidente dell’Associazione Americana di Psichiatria in quegli anni), né è mai entrata nelle classificazioni ufficiali o nei trattati di psichiatria. Citazione, sia detto en passant, che non brilla di certo per rigore scientifico, visto che la rivista citata, l’Academy Forum, che pubblicò l’articolo di Gardner, non è una rivista scientifica ma una semplice e banale rivista di opinioni. Basta un giro su internet per verificarlo.

9) Del tutto non pertinenti alla presente vicenda separativa sono le considerazioni del CTU (pag. 45) circa dinamiche, come quella della triangolazione, doppio legame, ecc., che rinvengono dagli studi, che risalgono agli anni ’50-60 del secolo scorso, sulle famiglie non separate in cui c’era un figlio schizofrenico; qui siamo in presenza di una famiglia separata e i figli, ne dà atto lo stesso CTU, non presentano alcun disturbo mentale. Quei concetti hanno un senso solo se utilizzati all’interno del paradigma concettuale della psicologia e psichiatria sistemico-relazionale; al di fuori di esso sono del tutto decontestualizzati. Né esiste letteratura scientificamente accreditata che abbia dimostrato la validità di quei concetti anche nelle famiglie separate. Paradossalmente, si potrebbe ipotizzare che se questa famiglia fosse rimasta unita avremmo potuto osservare nei figli una qualche forma di disturbo mentale.

10) Il CTU non tiene nel minimo conto, nemmeno ne fa cenno nel suo elaborato, che sia il procedimento avviato dal … innanzi al Tribunale dei minori di … nel … per la limitazione della potestà genitoriale della sig.a …, sia la denuncia di violenza fatta dal sig. … contro la sig.a … nel …, si sono entrambi conclusi con giudizio favorevole alla sig.a …; il primo per non luogo a provvedere in quanto non sussistevano i “presupposti per l’ablazione della potestà genitoriale”, il secondo di “assoluzione per l’insussistenza del fatto”. Entrambe queste vicende testimoniano nei fatti, più di ogni considerazione teorica, la spiccata tendenza del sig. … a utilizzare il sistema giudiziario per continuare a molestare la ex-moglie. Anche il presente giudizio, avviato dal padre con il suo ricorso per la modifica delle condizioni di separazione, stabilite con Decreto Presidenziale il giorno …, appare del tutto pretestuoso se non temerario. L’unico dato oggettivo emerso in questi due anni è che il sig. … non si attiene a quanto stabilito in detto Decreto circa il suo diritto di visita ai figli minori. Questo è motivo sufficiente a valutare un affidamento esclusivo in favore del genitore che si mostri più attento alle necessità dei figli, in questo caso la madre.

11) Ancor più grave è la circostanza che il sig. … abbia mostrato di preferire il figlio maschio alla femminuccia, nell’esercizio del suo diritto di visita (es., prende solo il maschietto a scuola, quando si reca alla casa della ex-moglie prende solo il figlio maschio, ecc.); l’esercizio del diritto di visita del genitore non collocatario non è solo una facoltà ma anche un dovere, da inquadrare nella “solidarietà degli oneri verso i figli” degli ex coniugi; tale facoltà-dovere deve essere svolta nell’interesse dei figli, al fine di garantire la sussistenza del rapporto tra i figli e il genitore non collocatario. Il mancato, o l’irregolare, esercizio del diritto-dovere di visita può comportare la decadenza dalla potestà genitoriale, ai sensi dell’art. 330 c.c., e integrare gli estremi del reato di cui all’art. 570 c.p.; l’esercizio del cosiddetto diritto di visita del genitore non collocatario non è solo facoltà ma anche dovere, da inquadrare tra le posizioni dei componenti la famiglia e nella solidarietà che deve legarli nel gruppo, anche se i genitori siano separati o divorziati, oltre a costituire un obbligo verso l’altro genitore, espressione della solidarietà negli oneri per i figli.

A questo grave comportamento genitoriale del sig. …, pur emerso nel corso della CTU, il CTU medesimo sembra non dare peso alcuno. Eppure è questo il motivo che porta la bambina a esprimere delle difficoltà nel relazionarsi col padre, sentendosi da lui esclusa, non considerata come figlia. Si tratta di un elemento concreto e oggettivo che il CTU avrebbe dovuto valorizzare adeguatamente poiché (Corte di Appello di Lecce, Sezione Minori, Decreto 11/03/2014) la valutazione della capacità genitoriale va fatta, per quanto possibile, sulla base di “riscontri concreti e oggettivi”.

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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