Un secondo parere

Per il caso seguente venni contattato da una madre alla quale il Tribunale aveva collocato il figlio in una comunità per minori. Mi chiese di redigere un parere terzo, da consegnare al suo legale per una eventuale azione contro i servizi sociali.

Le chiesi di inviarmi la documentazione del caso in maniera da valutare se potevo impegnarmi nel redigere una relazione del genere.

In effetti, leggendo i vari atti mi resi conto che i servizi sociali erano responsabili di questo disastro; ebbi l’impressione netta che intento dell’assistente sociale sia stato sin all’inizio, da quando il tribunale affidò il bambino ai servizi sociali, di lavorare per farlo rinchiudere in comunità.

Per redigere la presente relazione, che è fatta sugli atti esistenti, mi sono avvalso della consultazione dei documenti allegati e di informazioni fornitemi dalla sig.a ….

Come emerge dai documenti in atti, dopo un breve periodo di armonia i rapporti tra i due coniugi, … e …, sono ben presto divenuti estremamente conflittuali (“dal … al … ho condotto una vita infernale da reclusa con maltrattamenti fisici e psicologici – sottrazione dei documenti, imposizione assoluta del … sulla mia vita con orari per mangiare, per uscire e lavorare; portando a casa la paga ero obbligata a consegnarla a lui, non potendo mai disporre del mio stipendio per le necessità personali e del bambino; … sceglieva i posti di lavoro, mi seguiva, sceglieva i luoghi dove potevo andare anche a prendere un caffè”).

Nel … la sig.a … decise si separarsi dal coniuge e nel … …, con la sentenza di separazione, il bambino venne dato in affido esclusivo alla madre. Da questa epoca la sig.a … è stata fatta oggetto di continue molestie da parte dell’ex-coniuge (“continue persecuzioni giornaliere consistenti in telefonate continue ad ogni ora del giorno e della notte, minacce di ogni genere, inseguimenti in auto ed in motorino ad ogni mio spostamento, minacce e diffide ai miei amici anche scritte. Lo stesso atteggiamento il sig. … lo pone in essere col proprio figlio YYY, operando nei suoi confronti un totale lavaggio del cervello”) che, per le modalità dalla stessa descritte, si configura come un vero e proprio comportamento di stalking.

Nel … la sig.a …, preoccupata per le ripercussioni dei comportamenti paterni sullo sviluppo psicologico del figlio YYY, chiese aiuto ai Servizi Sociali del Comune di …, i quali tentarono, nella figura della D.ssa …, un’opera di mediazione familiare ma si trovarono di fronte al rifiuto opposto dal sig. … a ogni mediazione e dialogo.

Nel … ha avuto inizio la causa di divorzio, che è stato giudiziale su richiesta del sig. …, e che si è protratta per ben quattro anni che vengono così descritti dalla sig.a …: “sono stati quattro anni di grandissima belligeranza in cui il sig. … ha proposto ben 8 ricorsi in corso di causa per la modifica delle condizioni di separazione e di modifica delle condizioni temporanee ed urgenti assunte in sede presidenziale nonché un appello”.

In questo periodo il minore, continuando a subire l’opera di manipolazione da parte del padre che ad ogni incontro gli parlava male della madre, ha cominciato a presentare segni di disagio psicologico (“sempre più agitato, con abbassamento del rendimento scolastico, e iniziava ad avere conflitti terribili verso di me apostrofandomi con termini come ‘brutta russa di merda’ ed altri epiteti, presentava inoltre aggressività, insonnia e continue crisi di pianto”) che hanno portato la madre a richiedere insistentemente ai Servizi Sociali una consulenza da parte di un neuropsichiatra infantile per il piccolo ed una valutazione psicologica sul comportamento dell’ex-coniuge. I Servizi Sociali non solo non si sono attivati per garantire al minore tale consulenza neuropsichiatrica infantile ma hanno anche omesso di segnalare al Tribunale la condizione di maltrattamento psicologico che il minore subiva ad opera del padre; omissione censurabile dato che i maltrattamenti psicologici vengono a configurarsi come reato (art. 572 CP) che i Servizi Sociali erano tenuti a segnalare al Tribunale.

Il Tribunale di … con decreto del … conferma l’affido esclusivo alla madre negando l’affido condiviso, richiesto dal padre.

Nel corso dello stesso anno, preoccupata per la salute del figlio, la sig.a … informava i Servizi Sociali della sua decisione, quale genitore affidatario, di far visitare il piccolo da uno specialista di sua fiducia, nella persona del Dr …, psicoterapeuta; il Dr … invitava più volte il padre perché collaborasse al trattamento intrapreso ma come risposta otteneva un rifiuto e la minaccia di deferimento all’Ordine dei Medici; cosa che effettivamente venne messa in atto successivamente ma l’Ordine dei Medici non ravvisò nel comportamento del Dr … elementi deontologicamente censurabili.

Il trattamento psicoterapeutico intrapreso sortì dei risultati positivi tanto che il minore migliorò il suo comportamento, riprese il sonno fisiologico, si mostrò meno ansioso e più sereno.

Nonostante le migliorate condizioni psichiche del minore, le segnalazioni dei Servizi Sociali portarono il Tribunale dei minori di … ad emettere, il …, un decreto di affidamento del minore ai Servizi Sociali del Comune di …; minore che non versava, però, in stato di abbandono e che, grazie alle cure del Dr … iniziava a migliorare sul piano psicologico. Quindi, lo stato di affidamento alla madre e la collocazione presso di essa si dimostravano già protettivi per il minore.

Il Tribunale per i Minori di …, in data … emanò un proprio decreto nel quale testualmente si legge: “… – dagli atti emerge un disagio importante del minore, collegato ad una possibile (se verificata, grave) sindrome da alienazione genitoriale con riferimento alla madre …”. Pur non entrando, in questa sede, nel merito di codesta molto discutibile presunta sindrome non si può non rilevare un errore di valutazione del Tribunale che, forse, ha condizionato tutto l’iter successivo della vicenda, e cioè l’attribuzione della sindrome di alienazione genitoriale alla madre.

Il Dr …, psicoterapeuta che ha avuto in trattamento il minore dal …, sin dall’inizio ha parlato di sindrome di alienazione genitoriale provocata nel minore dal padre e non dalla madre (relazione Dr … del …); dal … … al … … questa sindrome si “trasferisce” dal padre alla madre.

Da questo errore di valutazione, e cioè l’attribuzione della suddetta sindrome alla madre piuttosto che al padre, scaturisce la decisione del Tribunale di … di affidare il minore ai servizi Sociali del Comune di …; un errore di valutazione meritevole di approfondimento nelle sedi opportune (errata interpretazione delle relazioni del Dr …? intenzionale rappresentazione al Tribunale dei Minori di … di una realtà non corrispondente alla situazione effettiva? è per caso intervenuto nella vicenda un altro medico specialista che ha visitato il minore e la madre e ribaltato la diagnosi? e se nella vicenda non è intervenuto, come di fatto non è intervenuto, nessun altro specialista che ha visitato il minore e la madre da chi è stata formulata la diagnosi di “sindrome di alienazione genitoriale riferita alla madre”? e se è intervenuto, si può fare una diagnosi senza una preventiva vista medica del paziente?).

Con successivi decreti il Tribunale dei Minori di … ad … … sospende la potestà genitoriale alla madre e a … … interrompe la psicoterapia da parte del Dr … dispone che il Servizio Sociale collochi “il minore in idoneo luogo protetto” e “convoca il minore accompagnato dai Servizi avanti il Giudice onorario D.ssa … il giorno …”.

Tutto questo in un quadro generale che vedeva invece le condizioni del minore migliorare sempre più.

Il minore, informato della decisione del Tribunale di inserirlo in comunità, ha una serie di crisi ansiose, che lo portano a due accessi al Pronto Soccorso, rispettivamente dell’Ospedale di … il … con ricovero di un giorno e dell’Ospedale di … il …, ed infine al ricovero, il …, presso il Reparto di Pediatria dell’Ospedale di …, in seguito ad una crisi di agitazione psicomotoria con idee autosoppressive, che ha richiesto l’intervento urgente del 118, dei Vigili del Fuoco e del suo terapeuta, Dr …, dato che si era barricato in bagno rifiutando di uscire e minacciando gesti estremi. Circostanza, quest’ultima, e cioè il motivo del ricovero, che i servizi Sociali del Comune di … omettono di relazionare al Tribunale.

Nella sua relazione dell’… l’Assistente Sociale riporta tali fatti minimizzandone la portata; i toni usati (“… nuovo accesso … nuova comunicazione telefonica …”) dall’Assistente Sociale nel relazionare tali fatti al Tribunale dei Minorenni sembrano allo scrivente (ma è una impressione meramente personale) quasi un voler vedere in questa escalation negativa dello stato di salute del minore una sorta di tentativo messo in atto dalla madre e dal Dr … per sottrarre il minore alle decisioni del Tribunale. Tra l’altro questa relazione presenta ulteriori aspetti da approfondire; nella relazione è scritto “la scrivente e la psicologa D.ssa … presente all’incontro…” ma poi la relazione è a firma della sola Assistente Sociale; anche qui meriterebbe approfondimento il motivo della mancata firma della psicologa. L’affidamento del minore è all’Ente Servizi Sociali del Comune di …, quindi congiuntamente Psicologa ed Assistente Sociale o alla sola Assistente Sociale? Come mai fino a un certo punto le relazioni al Tribunale sono a firma congiunta e da un certo momento in poi a firma della sola Assistente Sociale, pur partecipando la psicologa alle attività del Servizio per questa vicenda?

Il giorno … il minore, ricoverato presso il Reparto di Neuropsichiatria dell’Ospedale di … viene dimesso per consentirgli di andare dal Giudice (almeno così gli viene riferito), ma l’Assistente Sociale, D.ssa …, recatasi a prelevarlo per accompagnarlo in comunità, di fronte al rifiuto del minore di seguirla, di fatto lo raggira, dicendogli che lo porterà dal Giudice mentre invece, una volta nel pulmino si avvia in direzione della comunità. Comportamento che non si può certo definire dall’etica cristallina. E anche qui la domanda: come mai la Psicologa, che pure ha seguito la vicenda sin dall’inizio non è presente in questa fase delicatissima, in cui la sua presenza avrebbe potuto essere di aiuto psicologico al minore per affrontare il trauma del distacco dalla madre e dell’inserimento in comunità? E con quelle modalità, poi.

Tale vicenda presenta ulteriori aspetti poco chiari poiché mentre l’Assistente Sociale sosteneva che il Giudice, …, non avrebbe più sentito il minore, “avendoci ripensato” (sic!), il legale della sig.a … telefonava più volte nella stessa giornata in Tribunale ricevendo conferma invece che la D.ssa … (giudice onorario) era in attesa di parlare col minore; solo in seguito il legale è stata informata che il Tribunale aveva revocato l’udienza di ascolto del minore senza nemmeno comunicarlo alla D.ssa … (giudice onorario), che infatti ha atteso inutilmente il minore sino a tardi. Dagli atti risulta che è stata la stessa Assistente Sociale a chiedere al Tribunale di posticipare l’audizione del minore, ma di questo non ha informato, come avrebbe dovuto, né il minore né la madre né il suo legale.

Dall’esame della copiosa documentazione pare di dedurre che i rapporti tra i Servizi Sociali del Comune di … e la sig.a … si siano deteriorati a partire dal …, da quando cioè quest’ultima, vista l’inerzia dei Servizi Sociali, ai quali aveva più volte richiesto una visita specialistica neuropsichiatrica per suo figlio, per via del comportamento che lo stesso manifestava, ha deciso di rivolgersi a uno specialista di sua fiducia, nella persona del Dr …, scavalcando, in un certo, senso gli stessi Servizi (o almeno così deve essere stata vissuta questa decisione dalle operatrici), pur, correttamente, informandoli della sua decisione e del nominativo dello specialista prescelto per curare suo figlio.

A … …, infatti, il Tribunale dei minori di … affida il minore ai Servizi Sociali del Comune di …; decisione che non sembra essere stata presa nell’interesse del minore che, affidato alla madre e grazie alle cure del Dr …, era decisamente migliorato rispetto al periodo precedente.

Sono numerose poi le relazioni al Tribunale Ordinario di … e a quello dei Minori di …, a firma della sola assistente sociale, prassi inusuale poiché tutte le altre sono a firma congiunta dell’Assistente Sociale e della Psicologa.

Nella relazione dei Servizi Sociali del giorno …, a firma della sola Assistente Sociale, pur riportando quanto disposto dal provvedimento del Tribunale dei Minori di … (“affida il minore al Servizio Sociale del Comune di … ovvero al Servizio Sociale competente in relazione al luogo ove dovesse in futuro trasferirsi”) afferma più avanti che, a suo parere evidentemente, “sia nell’interesse del minore … non cambiare lo stato della residenza del minore”, ponendo il proprio mandato al di là delle prescrizioni del Tribunale (che invece scrive “… ovvero al Servizio Sociale competente …”) e paventando in chiusura della relazione una sorta di timore che qualcuno voglia sottrarle il mandato (“Questo Servizio è intenzionato a portare a termine il proprio mandato”); volontà che nessuno ha mai espresso. Perché utilizzare quel concetto? Perché arrivare a dire alla sig.a … che non poteva trasferire la residenza del minore? Quale sarebbe stato il problema se la competenza del caso fosse passata ai Servizi Sociali del nuovo Comune di residenza del minore?

La relazione dei Servizi Sociali del …, trasmessa al tribunale con nota n° … di Prot. (nota di accompagnamento che porta però una data antecedente a quella della relazione stessa, e cioè …), è a firma della sola Assistente Sociale pur riportando anche il nominativo della psicologa ma senza la sua firma autografa. Vi si legge: “Rispetto al punto richiesto da codesto Tribunale di un percorso di mediazione familiare … Allo stato attuale non ci sono spazi né disponibilità per ritentarlo. Le scriventi (ma la relazione porta una sola firma) rilevano la difficoltà di gestire questa situazione per lo scarso spazio per una contrattazione e mediazione e le difficoltà di proseguire con obiettività il mandato …. YYY sembra mostrarsi coeso nei confronti della madre e del suo compagno che sembrano rappresentare per lui un elemento di stabilità …”.

Come spiegare il fatto che, pur riscontrando che il minore ha finalmente trovato un “elemento di stabilità” nella madre e nel suo compagno la vicenda abbia poi preso una piega nettamente in contrasto con tale constatazione e cioè la collocazione del minore in una comunità?

In che modo sono stati rappresentati i fatti al Tribunale dei Minori di … tanto da portarlo ad assumere nel … decisioni così drastiche, in assenza di uno stato di abbandono del minore o di maltrattamenti fisici o psichici da parte della madre?

La lettura degli atti porterebbe a ritenere che all’origine di tutto ciò vi sia la diagnosi della cosiddetta “sindrome di alienazione genitoriale riferita alla madre”; i passi effettuati (sospensione della potestà genitoriale, affido ai Servizi Sociali, inserimento del minore in comunità, interruzione dei rapporti con i genitori) sono infatti coerenti con la “terapia” di codesta presunta sindrome. Ma il Dr …, che è l’unico specialista ad averla nominata, ha chiaramente attribuito la causa di tale condizione, sin dalla sua prima relazione del …, al padre del minore e non alla madre. Come può una malattia causata dal padre essere poi attribuita alla madre? Su che basi? Chi lo ha determinato? Non certo il Tribunale dei Minori di …. E gli unici atti sui quali il Tribunale ha basato le sue decisioni sono le relazioni dei Servizi Sociali del Comune di …. Cosa è scritto in queste relazioni? I Servizi Sociali hanno frainteso la relazione del Dr …?

Si deve inoltre rilevare che l’atteggiamento svalutativo dei Servizi Sociali del Comune di … nei confronti della sig.a … è proseguito anche successivamente; nella relazione dell’…, infatti, si legge che “la madre ha continuato a porre quesiti e richieste ben lontane da quelle che potevano essere i bisogni di un ragazzino” citando fra questi, ad es., la richiesta di far visitare il figlio dal proprio medico di fiducia, come se una madre preoccupata per la salute del figlio (che a gennaio … aveva subito un ricovero ospedaliero in condizioni di urgenza per minaccia di suicidio) non abbia il diritto, costituzionalmente garantito, di far visitare il proprio figlio dal medico di sua fiducia. Richiesta che l’Assistente Sociale arriva a definire addirittura impropria.

Nel prosieguo della sua relazione l’Assistente Sociale lamenta l’atteggiamento di sfiducia della sig.a … verso il Servizio, sottovalutando però il fatto, a mio parere, che questa madre, rivoltasi ai Servizi Sociali per chiedere un aiuto per il figlio e per se stessa contro i maltrattamenti psicologici messi in atto dal padre, non solo non ha ricevuto l’aiuto richiesto (far visitare il figlio da un neuropsichiatra infantile) ma, nel momento in cui, da madre coscienziosa ha fatto visitare il figlio privatamente da uno specialista di fiducia e quando il figlio ha cominciato a presentare un miglioramento del suo comportamento si è vista togliere la potestà genitoriale e collocare il figlio in comunità.

E ancora si rileva come l’Assistente Sociale travalichi il suo ruolo di operatore sociale addebitando addirittura alla sig.a … i malesseri del minore, laddove esiste copiosissima documentazione medica specialistica che chiarisce che i comportamenti disturbanti del minore sono dovuti alla strumentalizzazione paterna contro la madre (maltrattamenti psicologici che i Servizi Sociali hanno omesso di segnalare al Tribunale); il ruolo paterno dal … al … non è stato affatto marginale tanto che proprio il Tribunale di … nel … ha riconfermato l’affidamento esclusivo alla madre del minore.

Circa gli accessi al Pronto Soccorso e il successivo ricovero risulta chiaramente dagli atti che gli stessi sono avvenuti in seguito alla comunicazione al minore del suo imminente ingresso in comunità; periodo in cui il minore era sì gestito dalla madre, collocataria, per gli aspetti attinenti la quotidianità, ma dimentica, l’Assistente Sociale, che il minore era affidato ai Servizi Sociali dal … … e che quindi, sono state proprio le azioni messe in atto dall’Ente affidatario a provocare i malesseri del minore del … … e del … …, che sono con esse in stretta relazione di causa-effetto.

Nella sua relazione del …, infine, il Dr …, psicologo dello … della ASL di …, segnala di aver rilevato nel minore “segni anedonici” reattivi alla istituzionalizzazione, “segni d’ansia attribuibili alla situazione di provvisorietà in cui si sente versato il minore”; indicatori questi che consigliano fortemente che il minore faccia ritorno ai suoi affetti familiari data anche la segnalata assenza di un “disturbo di salute mentale che giustifichi un inserimento residenziale prolungato”. E se le relazioni del Dr … (primo neuropsichiatra infantile del bambino) potrebbero essere considerate di parte, pur essendo molto obiettive, tale non può essere considerata quella del Dr …, psicologo del servizio pubblico.

Le perizie svolte su entrambi i genitori, finalmente espletate nel … del …, hanno sostanzialmente confermato quanto già noto sin dal …, e cioè gli aspetti tuttora problematici della personalità del padre e l’assenza di disturbi nella madre.

Si ritiene più che mai necessario, a questo punto, un approfondimento nelle sedi opportune dell’intera vicenda.

Non ho ulteriori notizie di questo caso. È evidente, dai fatti descritti, l’interesse dell’assistente sociale per rinchiudere il bambino nella casa famiglia.

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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Un primo parere

Riporto adesso un parere che mi venne richiesto dalla madre dei minori (due ragazzi di 16 anni).

La CTU si era già svolta e a carico della madre era stata fatta la diagnosi di PAS; la madre temeva quindi conseguenze negative, e cioè un collocamento in una comunità per minori dei suoi figli in seguito a questa diagnosi.

Uno di quei casi in cui pur essendo palese l’incapacità genitoriale del padre dei due ragazzi, il CTU ha voluto penalizzare la madre con questa diagnosi, colludendo con la CTP del padre.

I quesiti posti dal Giudice sono stati i seguenti:

Dica il CTU, esaminati gli atti di causa, valutata la personalità dei genitori nonché dei minori, anche alla luce delle specifiche accuse, quale sia la attuale situazione dei minori e la relazione con ciascun genitore, nonché la capacità dei bambini di rapportarsi con la realtà, di conoscerla, di ricordarla nella mente e di rappresentarla con le parole.

Dica inoltre quale siano le competenze genitoriali sia del padre sia della madre, quale il regime di affidamento più adatto ai bambini al fine di garantire agli stessi una sana ed equilibrata crescita psico-fisica, quale la collocazione più idonea e la modalità di frequentazione con il genitore eventualmente non affidatario e non collocatario, indicando altresì se e quali interventi di supporto ai genitori ed ai minori siano necessari a tutela di quest’ultimi.

Corre l’obbligo preliminare, da parte dello scrivente, di far osservare a codesto spett.le Tribunale che la cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale (PAS) lungi dall’essere una patologia acclarata e unanimemente accettata dalla comunità scientifica è, al contrario, un concetto molto controverso che non ha ancora un riconoscimento ufficiale nelle classificazioni internazionali delle malattie. Un giudizio che basato su concetti estranei alla scienza ufficiale è pertanto viziato a priori.

Non credo che un tribunale civile baserebbe un giudizio, es. in cause di lavoro o di interdizione, su malattie che non siano comprese nelle classificazioni ufficiali; men che meno in sede penale si procederebbe per la non imputabilità dell’autore di reato basata su malattie non previste dalla scienza ufficiale. Non si comprende pertanto perché, in questa sede, si debba tirare in ballo una presunta malattia che non esiste nelle classificazioni ufficiali dei disturbi mentali, né nel DSM, classificazione dell’Associazione Americana di Psichiatria, né nell’ICD, classificazione della Organizzazione Mondiale di Sanità.

Qualsiasi accenno a tale presunta sindrome è privo quindi di qualsivoglia valore scientifico, per i motivi suesposti.

Si tratta pertanto di un mero parere personale del CTU espresso su un suo personale pre-giudizio formulato sulla scorta di un ragionamento tautologico (“se un figlio esprime il rifiuto di vedere un genitore lo fa perché è stato manipolato dall’altro genitore”).

Non avendo conoscenza di prima mano dei fatti per cui è causa e delle persone coinvolte, non sono ovviamente in condizioni di esprimere una valutazione su questa presunta manipolazione psicologica dei minore da parte della madre; ma se così fosse, ovvero se si abbia il fondato sospetto che la madre ha messo in atto comportamenti manipolatori nei confronti dei figli minori, ciò integra il reato di maltrattamento psicologico. Reato sul quale deve essere chiamato ad esprimersi il Giudice Penale in un regolare processo con diritto della madre a difendersi da questa accusa.

Come è possibile difendersi dall’accusa di avere una malattia, la PAS, peraltro inesistente per la scienza ufficiale? Come è possibile difendersi dall’accusa di avere provocato la stessa malattia inesistente nei figli minori?

Praticamente il CTU, sulla scorta della sua autorevolezza, sostiene la presenza nella madre e nei minori di una malattia inesistente, non assumendosi minimamente l’onere di provare la scientificità di quel che esprime e lasciando l’onere alla controparte di dimostrare che tale malattia non esiste.

Francamente è un po’ troppo; davvero questo modo di procedere è un insulto all’intelligenza di chi legge e forse anche oltraggioso verso il Tribunale al quale il tecnico, in veste di CTU, ma anche di CTP o comunque di consulente di una delle parti in causa, ha l’obbligo di fornire dati scientifici certi, riconosciuti e riconoscibili, con elementi che consentano al Magistrato di potere con facilità risalire alle fonti originarie citate (es. nel caso di riferimento a malattie il medico ha l’obbligo di indicare accanto al nome della malattia anche il relativo codice nosologico, come da classificazione internazionale delle malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – classificazione ICD – o, se si vuole, del DSM per i disturbi psichiatrici, dato che le codifiche dei due sistemi nosografici internazionali sono sovrapponibili).

È questa la prassi corrente nella medicina legale e nella psichiatria forense; omettere questo codice potrebbe configurarsi come negligenza; citare malattie sprovviste di questo codice, e cioè non classificate, potrebbe configurarsi come imperizia, potendo addirittura rappresentare, a parere dello scrivente, oltraggio al Tribunale; oltraggio perché si cerca di spacciare per vero ciò che vero non è, rendendo in tal modo un pessimo servizio alla Giustizia.

Si tratta di aspetti formali ma non dimentichiamo che nel diritto la forma è sostanza; altrimenti non ci troviamo più nel solco del diritto ma in quello dell’arbitrio (come scrive Remo Bodei, in latino l’atto di andare fuori del solco si chiama de lira – Bodei R, Le logiche del delirio, Ed. Laterza, 2002).

Su questa presunta malattia vi è ampia e recente letteratura internazionale, giuridica e psichiatrica, che ne dimostra l’insussistenza e la pericolosità quando utilizzata nei processi di affidamento dei minori; si citano a titolo di esempio:

A) Bruch C, Parental Alienation Syndrome: Junk Science in Child Custody Determination, 3 European J L. Reform 383, 2001.

B) Bruch C, Parental Alienation Syndrome and Parental Alienation: Getting It Wrong in Child Custody Cases, 35 Family Law Quaterly 527, 2001. http://www.law.ucdavis.edu/faculty/Bruch/files/fam353_06_Bruch_527_552.pdf

C) Bruch C, Parental Alienation Syndrome and Alienated Children: Getting It Wrong in Child Custody Cases, 14 Child & Family Law Quarterly 381, 2002. http://www.law.ucdavis.edu/faculty/Bruch/files/bruch.pdf

D) Rivera Ragland E & Fields H, Parental Alienation Syndrome: What Professionals Need to Know Part 1 of 2, Update – NDAA’s American Prosecutors Research Institute – Volume 16, Number 6, 2003. http://www.ndaa.org/ncpca_update_v16_no6.html (1)

E) Rivera Ragland E & Fields H, Parental Alienation Syndrome: What Professionals Need to Know Part 2 of 2, Update NDAA’s American Prosecutors Research Institute – Volume 16, Number 7, 2003. http://www.ndaa.org/ncpca_update_v16_no7.html (2)

F) Bruch C, Sound Research or Wishful Thinking in Child Custody Cases? Lessons from Relocation Law, 40 Family Law Quarterly 281, 2006. http://www.law.ucdavis.edu/faculty/Bruch/files/BruchFLQSummer06.pdf

G) Hoult J, The Evidentiary Admissibility of Parental Alienation Syndrome: Science, Law, and Policy Children’s, Legal Rights Journal, 26, N° 1, Spring 2006. http://www.leadershipcouncil.org/docs/Hoult.pdf

H) Escudero A, Aguilar Redo L, de la Cruz LeivaL, La lógica del Síndrome de Alienación Parental de Gardner (SAP): terapia de la amenaza, Rev. Asoc. Esp. Neuropsiq. v. 28 n. 2, Madrid 2008. http://www.thelizlibrary.org/liz/Escudero-on-PAS.rtf e http://scielo.isciii.es/scielo.php?pid=S0211-57352008000200004&script=sci_arttext&tlng=es

I) Vaccaro S e Barea Payueta C, El pretendido Síndrome de Alienación Parental: un instrumento que perpetua el maltrato y la violéncia, Ed. Desclée Brower, Bilbao, 2009 (La presunta sindrome di Alienazione Genitoriale: uno strumento che perpetua il maltrattamento e la violenza, EdIt, Firenze, 2011).

J) Asociación Española de Neuropsiquiatría, Declaración en contra del uso clínico y legal del llamado Síndrome de Alienación Parental, marzo 2010. http://www.aen.es/docs/Pronunciamiento_SAP.pdf (3)

K) Mazzeo A, La Sindrome Di Alienazione Parentale (PAS): realtà clinica o argomento retorico?, Osservatorio per la Psicologia nei Media, 2011. http://www.osservatoriopsicologia.com/2011/01/29/la-sindrome-di-alienazione-genitoriale-pas/

A ulteriore disconferma della PAS e dei presunti danni psicologici che essa provocherebbe nei minori, si cita un lavoro del 2005 che ha confrontato un gruppo di minori cui era stata diagnostica la PAS con un gruppo di minori senza questa diagnosi; il lavoro dimostra in maniera inequivocabile che i minori cui, nei contesti separativi, viene diagnosticata la cosiddetta PAS non presentano ai test danni psicologici maggiori di quelli causati dalla stessa separazione genitoriale (Lavadera Lubrano A, Marasco M: La sindrome di alienazione genitoriale nelle consulenze tecniche d’ufficio: uno studio pilota. Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol 7, n. 3, dicembre 2005):

In entrambi i gruppi si evidenzia una condizione di disagio psichico per i minori coinvolti, senza differenziazioni tra i minori con PAS e quelli senza PAS (x2=.38; df=1; a=.538; N=43). Questo dato sembrerebbe indicare che la PAS non produce effetti più “dannosi” rispetto a quelle prodotti generalmente nei casi di separazione/divorzio conflittuali: in entrambe le situazioni il minore presenta una condizione di rischio evolutivo, relativo all’essere coinvolto in dinamiche conflittuali.

Ma se una cosa non provoca danni continuiamo a chiamarla malattia? Esistono malattie che non provocano danni? Non mi risulta.

E comunque, al di là delle controversie scientifiche, resta il dato insormontabile del non riconoscimento internazionale della PAS e della sua assenza nelle classificazioni, e quindi della sua non utilizzabilità in Tribunale.

Alla luce delle considerazioni su esposte occorre pertanto, anche e non solo per via delle considerazioni del Dr Gardner favorevoli alla pedofilia, più volte da lui espresse nei suoi scritti e da lui mai smentite essendosi limitato ad affermare in qualche intervista di essere stato frainteso (come si possano poi fraintendere affermazioni dal tenore inequivocabile quali: “il bambino deve essere aiutato ad apprezzare che noi abbiamo, nella nostra società, un atteggiamento esageratamente punitivo e moralistico, riguardo agli incontri sessuali adulto-bambino” o “[I bambini abusati sessualmente] si possono considerati fortunati per avere avuto un genitore che ha donato loro una tale gratificazione”, davvero non saprei), occorre, dicevo, che dalla CTU vengano espunti tutti i riferimenti alla falsa malattia chiamata PAS.

Occorre ripartire dai fatti nudi e crudi così come si presentano, senza interpretazioni forzose:

A pag. 9, nel riportare l’esame della madre, il CTU scrive che i due ex-coniugi, dopo che la donna è rimasta incinta, “Hanno deciso di sposarsi anche per le pressioni familiari”.

A pag. 17, nel riportare l’esame del padre, scrive invece che “Hanno deciso di sposarsi di comune accordo”.

Come si vede le due versioni sono stridenti, contraddittorie, né il CTU si sforza di comprendere il perché di questi due punti di vista radicalmente opposti; aderisce in maniera pedissequa alla visione edulcorata che ne dà il padre senza compiere il minimo sforzo di comprendere la realtà dei rapporti all’interno della coppia prima e dopo il matrimonio.

Ciò conferma il pregiudizio del CTU nei confronti della madre.

Ovviamente, a distanza di 15 anni dai fatti riportati è difficile averne un’idea realistica, ma circostanze oggettive possono consentire una ricostruzione che si avvicini alla realtà.

Il sig. … conosce la sig.a …nel …, durante un suo viaggio all’estero; inizia la frequentazione e, verosimilmente, la sig.a … rimane incinta nell’… del … (e non “durante le vacanze del …” come riferito dal sig. … – pag. 17 – il padre viveva in Italia, la madre nel suo paese) visto che i due gemelli sono nati nel … … con un mese di anticipo (normalmente le gravidanze hanno una durata di 9 mesi; il fatto di avere datato l’inizio della gravidanza a un’epoca anteriore dimostra quanto grande fosse l’interesse del sig. … per la sua compagna).

Il matrimonio viene celebrato nell’… del …, a distanza cioè di ben 4 mesi dall’inizio della gravidanza; ciò porta a pensare più che a un comune accordo (in tal caso il matrimonio si sarebbe celebrato prima e non a pochi mesi dal parto) alla veridicità di quanto riferito dalla sig.a … circa le pressioni familiari per giungere al matrimonio.

Né il CTU mostra minimamente di cogliere le sfumature che si leggono tra le righe di quanto riferito nel corso delle operazioni peritali sia dalla sig.a … sia dal sig. … in merito alla gravidanza e al parto.

Si legge infatti (…) “Il padre ha visto per la prima volta i figli quando avevano un mese di vita … Poi è rientrato in Italia non vedendoli per altri sei mesi” (pag. 10) e il sig. … “spiega di non essere potuto partire subito per via del lavoro anche se ‘ho cercato di fare il possibile’” (pag. 18).

Francamente desta sconcerto il comportamento di questo padre che pur in presenza di una gravidanza difficile della moglie (pag. 10) tanto che il parto avviene prematuramente, non solo non si reca mai a trovare la moglie durante la gravidanza della stessa, ma nemmeno trova il tempo per una telefonata ogni tanto (pag. 10), e quando la moglie partorisce nemmeno si reca a trovarla, sostenerla durante il parto, ma addirittura va a visitare i figli gemelli dopo un mese dalla loro nascita. Ma che comportamento di padre è mai questo?

E desta ancora più sconcerto l’adesione acritica del CTU a queste affermazioni del padre, l’incapacità di cogliere, come già detto, ciò che si legge tra le righe della narrazione del sig. …, e cioè il suo totale disinteresse per la moglie e per i figli, tanto che pur sapendo di una gravidanza difficile non solo non si precipita a trovarla per avere notizie del suo stato di salute ma nemmeno trova il tempo per una telefonata ogni tanto, per farle sapere che lui esiste ancora (credo non sia nemmeno il caso di osservare che se un uomo ama una donna, la madre dei suoi futuri figli, le telefona ogni giorno per avere notizie del suo stato di salute e di come procede la gravidanza); né addirittura, al momento della nascita dei figli, che per ogni padre è un momento di immensa felicità, trova il tempo per prendersi qualche giorno di permesso dal lavoro e stare vicino alla moglie per condividere quei momenti unici e irripetibili, nella vita di una persona, rappresentati dalla nascita di un figlio.

Non solo, ma pur avendo presente il quadro chiaro di questo disinteresse del sig. … verso i figli e la loro madre, pur in presenza di un test di Rorschach della madre sostanzialmente normale (“Unico indice psicopatologico positivo è il DEPI=5 che mette in luce una attuale situazione di tristezza e malessere” – lo scrive lo stesso CTU a pag. 13, prime due righe) al contrario di quello del padre che presenta molteplici criticità:

La lettura del protocollo mette in luce la presenza di difficoltà nella gestione della sfera interpersonale (CDI=5) che si correlano a un problema di natura affettiva (DEPI=6). Si rileva, dunque, una immaturità … vulnerabilità verso i problemi quotidiani e una marcata incapacità nell’instaurare relazioni mature e durature nel tempo. Questa problematicità nel creare e mantenere effettive e gratificanti relazioni interpersonali genera un problema a livello affettivo, che è connotato da vissuti di insicurezza nel fronteggiare le relazioni con gli altri e i diversi aspetti della vita … È probabile, dunque, che il signor … fatichi a comprendere in maniera adeguata le persone e non consideri in maniera positiva i legami sociali per cui tende a rimanere in disparte durante le interazioni di gruppo, non partecipandovi in maniera attiva … A livello affettivo si osserva una condizione di squilibrio e tensione. Non si tratta di un disturbo affettivo cronico, ma di una tendenza a cambiare umore ed emozioni … Si ritiene, infatti, che il signor … si senta molto a disagio quando ha a che fare con le emozioni e gli affetti … Emerge una chiara difficoltà nelle relazioni con l’altro, espressione non di timidezza, come potrebbe sembrare, bensì di slabbrature che riguardano il proprio Sé” – pagg 20 e 21.

Il CTU non si astiene dall’etichettare spregiativamente la madre come aggressiva (pag. 15), irruenta (pag. 12), svalutante (pag. 15); francamente più che comportamento da CTU questo sembra allo scrivente il comportamento del secondo CTP del padre.

Senza eccessivamente dilungarmi nell’ulteriore analisi di questa CTU, rilevo solo che nelle conclusioni il CTU non ha tenuto affatto conto di quanto emerso durante le operazioni peritali, in particolare dalla somministrazione dei test di personalità. Ora, o i test si fanno per poi tenerne conto al momento delle conclusioni, altrimenti rappresentano solo un orpello inutile, una cornice barocca con la quale impreziosire il quadro all’interno del quale si disegna a mano libera oppure secondo i propri pre-giudizi.

Tale pare infatti allo scrivente la conclusione sull’esistenza della cosiddetta PAS (pag. 42); pur richiamando integralmente la propria contrarietà, espressa in apertura, all’uso di questo concetto ampiamente screditato dalla letteratura specialistica più recente, il sottoscritto non può mancare di far rilevare l’assoluta incongruenza tra quanto espletato in sede di operazioni peritali (colloqui clinici, test psicologici, ecc) e le conclusioni.

In nessun punto della relazione di CTU viene esaminato il caso come un caso di PAS, in nessun punto della relazione di CTU vengono discussi i cosiddetti otto sintomi della PAS che sia il CTU sia la CTP del padre dovrebbero ben conoscere essendo fervidi ‘sostenitori’ della PAS (i quali cosiddetti ‘sintomi’ comunque sintomi non sono ma solo descrizioni obiettive di comportamenti, poiché i sintomi in medicina sono manifestazioni soggettive di sofferenza).

Per quanto abbia esaminato la relazione di CTU in lungo e in largo, in nessun punto della stessa ho trovato l’analisi dei cosiddetti otto sintomi; e senza l’analisi di quelli che dovrebbero essere i sintomi o i segni di una malattia in che modo si può concludere per l’esistenza di tale malattia?

Tale diagnosi sta a questa CTU come i classici cavoli a merenda.

Non è questo il modo di procedere della medicina, non è questo il modo di giungere a formulare un giudizio diagnostico!

Tali conclusioni sono frutto, purtroppo, di un pregiudizio in base al quale ogni volta che i figli rifiutano il rapporto col padre è perché sono ammalati di PAS insieme alla madre (o viceversa); in virtù di tale pregiudizio le conclusioni sono già scritte prima ancora di dare avvio alle operazioni peritali le quali hanno la funzione, come già detto, di rappresentare la cornice barocca che impreziosisce la crosta che si vuole spacciare per un quadro di valore.

Ma al di là delle considerazioni su esposte vi è un dato oggettivo che il CTU non ha tenuto nel debito conto; una maggiore attenzione avrebbe evitato alla madre e ai suoi figli tante sofferenze provocate loro da questa CTU.

Nella sua costituzione nel processo dal quale è scaturita la CTU la madre non si è opposta alla frequentazione dei figli da parte del padre ma ha chiesto “L’introduzione della frequentazione dei minori col padre solo previa CTU e in modo graduale e protetto”; ciò perché, memore dei precedenti atteggiamenti del padre verso i figli, ha voluto proteggerli mediante l’intervento di specialisti che mediassero tra il padre e i figli.

Non è certo questo il comportamento di una madre che ha manipolato i figli mettendoli contro il padre, o li ha alienati secondo la terminologia gardneriana; la madre ‘alienante’ si oppone ad ogni frequentazione dei figli col padre e come si vede non è certo questo il comportamento tenuto dalla sig.a ….

Ma c’è un ulteriore elemento che induce a pensare non solo a comportamenti di colpa grave del CTU (per negligenza e imperizia) ma addirittura a un comportamento doloso laddove, nella replica alle affermazione sulla PAS del Dr …, CTP della madre, si lascia trascinare dall’entusiasmo sino ad affermare che a breve la PAS sarà compresa nella futura classificazione del DSM-V.

Il CTU sa benissimo, o perlomeno dovrebbe sapere e se non lo sa ha il dovere di essere aggiornato, che la pubblicazione del DSM-V è prevista per il 2013 e che quindi non è affatto “a breve”; ma, cosa ancora più grave, nella bozza del futuro DSM-V, disponibile per la consultazione gratuita in internet sul sito della Associazione Americana di Psichiatria, la cosiddetta PAS, ribattezzata PAD (Parental Alienation Disorder), non è affatto presa in considerazione come patologia ma è relegata nell’appendice, come “condizione proposta da fonti esterne e in attesa di ulteriori studi”.

Il CTU dichiara quindi il falso quando afferma che è imminente il riconoscimento della PAS da parte degli estensori del DSM.

I due ragazzi sono rimasti con la madre, sono ormai adulti alle soglie della laurea.

NOTE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

  1. Il sito è stato aggiornato e il documento non è più reperibile; sono riuscito trovarlo sul webarchive e attualmente si trova a questo link: http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/update-16-6.pdf
  2. C.s.: http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/update-16-7.pdf
  3. C.s.: http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/aen_sap.pdf

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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Secondo caso

Riporto di seguito una seconda CTU nella quale venni incaricato dalla madre del bambino perché i servizi sociali avevano inviato una relazione al tribunale dei minori parlando esplicitamente di PAS e la madre temeva che il figlio venisse nuovamente rinchiuso in comunità.

Preliminarmente, il sottoscritto sente il dovere di precisare all’Ill.mo Tribunale che la cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale (PAS), di cui alla relazione del Servizio Sociale del Comune di … del giorno…, lungi dall’essere una patologia acclarata e unanimemente accettata dalla comunità scientifica è, al contrario, un concetto molto controverso che non ha ancora un riconoscimento ufficiale nelle classificazioni internazionali delle malattie. Un giudizio che si basi su concetti estranei alla scienza ufficiale sarebbe pertanto viziato a priori.

Non credo che un tribunale civile baserebbe un giudizio, es. in cause di lavoro o di interdizione, su malattie che non siano comprese nelle classificazioni ufficiali; men che meno in sede penale si procederebbe per la non imputabilità dell’autore di reato basata su malattie non previste dalla scienza ufficiale. Non si comprende pertanto perché, in questa sede, si debba tirare in ballo una presunta malattia che non esiste nelle classificazioni ufficiali dei disturbi mentali, né nel DSM, classificazione dell’Associazione Americana di Psichiatria, né nell’ICD, classificazione della Organizzazione Mondiale di Sanità.

Qualsiasi accenno a tale presunta sindrome è privo quindi di qualsivoglia valore scientifico, per i motivi suesposti.

Tutto il lavoro svolto dagli operatori dal Servizio Sociale del Comune di … appare viziato da questo pre-giudizio antiscientifico.

Un modo di agire sconsiderato, un esprimere concetti senza valutarne le conseguenze, mostrando scarsa conoscenza della materia e soprattutto ignorando che già dal lontano 2005 è stato dimostrato che i minori cui viene diagnosticata la cosiddetta PAS non presentano danni psicologici maggiori di quelli causati dalla separazione genitoriale (Lavadera Lubrano A, Marasco M: La sindrome di alienazione genitoriale nelle consulenze tecniche d’ufficio: uno studio pilota. Maltrattamento e abuso all’infanzia, Vol 7, n. 3, dicembre 2005).

Il sottoscritto, per motivi legati alla distanza della sua residenza dal luogo in cui si è svolta la CTU non ha potuto partecipare a tutti gli incontri; ha partecipato all’incontro preliminare con la madre e il padre (…), a quello con il minore e la madre (…); a questo incontro il padre, pur regolarmente convocato dal CTU, non si è presentato, così come non si è presentato all’incontro del giorno …; ha partecipato inoltre all’incontro con il padre e nuovamente con la madre e il minore (..).

Nel corso delle operazioni peritali è parso chiaro che non vi è, da parte della madre, alcuna opposizione all’esercizio del diritto alla genitorialità del padre ma vi è una incapacità del padre a far fronte alle sue responsabilità di genitore, una inadeguatezza dello stesso sul piano educativo verso il minore con il quale non riesce a rapportarsi secondo una sana modalità genitoriale ma declinandosi secondo registri autoritari e violenti, che ovviamente non vengono accettati dal minore.

Né sono emersi elementi tali da far pensare alla messa in atto da parte della madre di processi di ipercura nei confronti del figlio, di cui alla già citata relazione del Servizio Sociale del Comune di ….

Come definita dal prof. Francesco Montecchi nel suo libro “Dal bambino minaccioso al bambino minacciato – Gli abusi sui bambini e la violenza in famiglia: prevenzione, rilevazione e trattamento” con questo termine (pag. 79) s’intende “la cura eccessiva dello stato fisico del bambino, caratterizzata da una persistente e dannosa medicazione”.

Nella forma più classica di ipercura materna, la cosiddetta Sindrome di Münchausen per procura, il bambino viene fatto “viaggiare tra medici e ospedali, sottoponendolo ad accertamenti clinici inutili e a cure inopportune”; le altre forme minori, descritte proprio dal Prof. Montecchi, sono state denominate Chemical abuse (eccessiva somministrazione di farmaci al bambino ma anche di altre sostanze chimiche) e Medical shopping (vengono continuamente consultati medici per presunte malattie del bambino).

Dagli accertamenti effettuati nel corso della CTU non è emersa alcuna forma di ipercura materna, nessun sintomo o segno di tali condizioni. Si ritiene pertanto che gli operatori del Servizio Sociale del Comune di … abbiano preso un abbaglio parlando di condizioni di natura medica, che oltretutto non compete a loro accertare o rappresentare al Giudice Minorile che sulla base di tali relazioni assume le sue decisioni.

Il dato costante che si è posto nel corso delle operazioni peritali è quello della totale inaffidabilità del padre sotto molteplici punti di vista (ritardi o mancata presentazione alle convocazioni del CTU, estrema instabilità lavorativa, verbalizzazione di fantasie su lavori che gli venivano proposti ma che non gli sembravano adeguati, ecc).

La storia personale del padre conferma tale sua inaffidabilità, con i frequenti cambi di lavoro, adducendo a scusante suoi frequenti litigi con i datori di lavoro e giungendo ad affermare di aver avuto “difficoltà di lavoro a causa degli incontri con il figlio” che gli avrebbero impedito di lavorare costantemente.

Come ben noto al Tribunale, la separazione coniugale è intervenuta nell’… del …, dopo circa due anni dal matrimonio, celebrato nel … …; motivo della separazione sono state le violenze coniugali che la madre ha subito sin dall’inizio della convivenza. Dopo la separazione il bambino ha frequentato il padre ma appena è divenuto più grandicello e capace di esprimere la sua volontà ha cominciato a rifiutare di recarsi dal padre e dalla famiglia paterna, confidando alla madre che lì subiva dei maltrattamenti, che veniva picchiato dal padre (in una occasione, riferisce il minore in sede di CTU, ha addirittura riportato una ferita al labbro per uno schiaffo sferratogli dal padre; sulla ferita gli sarebbe pure stato messo del sale!!).

Non si tratta quindi, a leggere gli eventi con gli occhi sgombri da pregiudizi e dalle chimere di presunte malattie (queste cose lasciamole ai medici), della madre che ostacola il rapporto del figlio con il padre e la famiglia di lui, ma sono i comportamenti posti in essere da questi ultimi a portare il minore a rifiutare tale relazione.

Alla luce dei dati emersi, e della definizione data dal CTU del padre come di soggetto “schizoide”, lo scrivente non intravede molte possibilità di recuperare il rapporto del minore col padre perché oltremodo compromesso dai comportamenti incongrui di quest’ultimo, ma anche, si ritiene, per la scarsa volontà del padre di recuperare il rapporto con sul figlio. Al fine di non fare di YYY un nuovo adulto violento, come il padre, è necessario che venga tutelato proprio dalla violenza paterna e che possa avere un riferimento di vita certo e costante e questo riferimento può trovarlo solo nella madre e nella famiglia della madre. All’interno di questo contesto potrà trovare modelli di figure maschili positive alle quali rapportarsi.

Allo stato delle cose pertanto si ritiene del tutto ingiustificato il prosieguo dell’affidamento del minore ai Servizi Sociali, visto che YYY può contare su un nucleo familiare caloroso e amorevole, qual è quello materno.

Altamente controindicate in questo sono soluzioni di collocazione extra-familiare, sia perché non ne ricorrono le condizioni (abbandono, trascuratezza) sia perché il minore è già fortemente traumatizzato dalla precedente esperienza di inserimento in comunità.

Il bambino è intelligente, vivace, assertivo, ben sveglio, ha una sua volontà che esprime chiaramente; certi atteggiamenti come di sfida dell’adulto, fraintesi dal CTU, sono a parere dello scrivente reattivi al trauma riportato per l’inserimento in comunità, e suscettibili di miglioramento se a YYY viene consentito vivere in un ambiente sereno e non oppressivo né coercitivo.

OSSERVAZIONI SUI TEST PSICOLOGICI

I periziandi sono stati sottoposti a valutazione psicodiagnostica a cura della D.ssa ….

VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA DELLA MADRE

Un primo rilievo riguarda l’utilizzo del questionario SCID in quanto lo stesso è un questionario di screening, utile in contesti di ricerca ma i cui risultati devono essere validati dall’intervista clinica per assumere un valore psicodiagnostico.

In secondo luogo un disturbo di personalità non è una diagnosi clinica ma è un modo di essere di una persona, più o meno stabile, ovvero, citando il DSM-IV:

Un Disturbo di Personalità rappresenta un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, è pervasivo e inflessibile, esordisce nell’adolescenza o nella prima età adulta, è stabile nel tempo, e determina disagio o menomazione.

Al di là di ogni test, l’elemento dirimente ai fini della diagnosi di una condizione morbosa è che la stessa determini sofferenza soggettiva o una qualche forma di disadattamento sociale. Al di fuori di ciò non si può diagnosticare proprio nulla.

E del resto la stessa psicologa si contraddice quando da un lato formula una diagnosi ma poi afferma che “l’indagine … non ha rivelato una vera e propria patologia”; o più avanti quando nelle conclusioni del test ASQ-IPAT afferma che “Il punteggio ottenuto dalla madre rileva un livello di ansietà assente”.

Il cluster C dei disturbi di personalità di cui al DSM è proprio il gruppo delle personalità ansiose (DSM-IV) e se manca proprio l’elemento caratteristico di questo gruppo, l’ansia, non credo che si possa diagnosticare un bel nulla.

Circa i supposti problemi della madre con la figura paterna, di cui al test Wartegg, è la stessa psicologa ad affermare che il riquadro 4 del test, per molti è la figura paterna; per molti, appunto, ma non per tutti. Tale risultato non può pertanto essere generalizzato a tutti i soggetti in quanto non per tutti tale riquadro rappresenta la figura paterna.

Le conclusioni cui perviene la psicologa non sono pertanto condivisibili.

VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA DEL PADRE

Nel caso del padre, ferme restando le riserve su espresse circa il questionario SCID, vengono diagnosticati addirittura due disturbi di personalità, ma francamente, clinicamente parlando, mi riesce proprio difficile immaginare il padre come un soggetto ossessivo-compulsivo poiché il suo comportamento, per come si è manifestato nel corso delle operazioni peritali, è esattamente l’opposto (disordinato, impreciso, inaffidabile).

Si condividono comunque le conclusioni cui perviene la psicologa.

VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA DEL MINORE

Nella valutazione psicodiagnostica del minore, al test della figura umana, la psicologa scrive che “Disegnare più personaggi al Disegno della figura umana indica in letteratura …”; peccato però che si sia dimenticata di citare almeno un riferimento bibliografico della letteratura da lei consultata.

Ciò che scrive la psicologa non ha nulla a che vedere con quanto scritto da Karl Jaspers (Psicopatologia Generale, Il Pensiero Scientifico Editore, 2000) che riporta la pseudologia fantastica (o mitomania, pur se le due cose sono differenti e Jaspers nel suo trattato non usa mai il termine di mitomania né quello di fabulazione, che invece si ritrova sui blog di internet), a casi di psicosi endogene (schizofrenia – e non esiste una schizofrenia all’età di cinque anni) o di demenza organica (patologia dell’età senile).

Nella valutazione inoltre non viene tenuto conto dell’incidenza sui vissuti di YYY del trauma psichico riportato per il forzoso inserimento in comunità e del fatto che le operazioni peritali possono avere in lui risvegliato l’angoscia del trauma e quindi falsato in qualche modo i risultati ai test.

Pertanto le conclusioni cui perviene la psicologa non sono per nulla condivisibili.

CONCLUSIONI

Ai quesiti posti dal Magistrato:

Dica il CTU, visti gli atti, esaminati i genitori del minore ed il minore stesso, effettuati gli eventuali test, avvalendosi, eventualmente anche dell’ausilio di una testista, se il minore YYY sia portatore di patologie, nonché se i genitori abbiano una diminuita capacità genitoriale e se alle volte siano portatori di patologie. Indichi il CTU il miglior regime di vita e di rapporti fra il minore e i genitori.

si può così rispondere:

A) Il minore YYY non è portatore di alcuna patologia; l’asserita definizione data dal CTU come di un bugiardo cronico (che comunque non è una patologia) è un parere personale del CTU.

B) Il padre, …, presenta una ridotta capacità genitoriale; la ripresa dei rapporti col figlio deve necessariamente essere subordinata al recupero di tale capacità genitoriale. Le modalità per il recupero della propria capacità genitoriale, non potendosi imporre con un TSO, sono lasciate, ovviamente, alla libera autodeterminazione del padre.

C) La madre, …, presenta una capacità genitoriale intatta, non inficiata da patologie di sorta. Non è emerso da alcun dato oggettivo che la madre presenti dei problemi con i suoi genitori e pertanto anche questa rimane una illazione personale del CTU, priva di riscontri oggettivi.

D) Il miglior regime di visita e di rapporti fra il minore e i genitori è l’affidamento esclusivo alla madre con sospensione delle visite del padre, che potranno riprendere all’accertato recupero da parte di costui, della propria capacità genitoriale.

Si è espressa in tal senso in passato la Cassazione con sentenza che così recita:

«Tuttavia il diritto di visita del coniuge non affidatario non ha carattere assoluto, ma resta viceversa subordinato ai preminenti interessi morali e materiali dei minori. Sicché ben può essere limitato od anche disconosciuto (nel senso di poter essere sospeso) dal Giudice ove ricorrono gravi e comprovate ragioni di incompatibilità del suo esercizio con la salute psico-fisica del minore stesso»(cfr: Cass. Civ. Sez. I 9.7.1989 n. 3249; Cass. Civ. Sez. I 22.9.1999 n. 6312).

Sulle conclusioni cui perviene il CTU vi è il totale disaccordo del sottoscritto.

Non ha alcun senso il mantenere l’affido ai Servizi sociali visto che non esistono situazioni di pregiudizio per lo sviluppo psico-fisico del minore, né dagli esiti della CTU emergono a carico della madre condizioni limitative della potestà genitoriale.

Non ha alcun senso un percorso terapeutico per la madre per superare le resistenze verso il padre di YYY poiché ciò dovrebbe comportare una sorta di lavaggio del cervello.

Non ha senso il prospettato percorso terapeutico per il bambino poiché nessun percorso terapeutico potrà servire a convincere YYY di avere un buon rapporto col padre finché non sarà il padre a mostrare nei fatti di essere cambiato nei confronti di suo figlio.

Non ha alcun senso rivedere la situazione tra un anno poiché tra un anno nulla potrà essere cambiato se il padre non decida seriamente di effettuare un percorso per recuperare la sua capacità genitoriale. E alla luce della incostanza dimostrata nel corso delle operazioni peritali si ha motivo di dubitare di ciò.

Non ho più avuto notizie di questo caso.

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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Il mio primo caso

Quella che segue è la prima CTU in ambito separativo e di affidamento dei figli minori alla quale ho partecipato, come CTP della madre.

I figli minori sono tre, due maschietti e una femminuccia. La bambina era collocata dalla madre e rifiutava ogni rapporto con il padre; i due maschietti vivevano con il padre e la sua nuova compagna; non rifiutavano la relazione con la madre ma il padre vietava loro di avere rapporti con la madre. La CTU doveva rispondere ai motivi del rifiuto della bambina.

La bambina rifiutava la relazione con il padre accusandolo di abusi sessuali; il processo penale però si era concluso con l’assoluzione del padre perché la prova portata dalla madre (un filmato) venne ritenuta non genuina e quindi non utilizzabile nel processo; in seguito a ciò la madre venne denunciata per calunnia (1).

Come CTU erano incaricati uno psichiatra e uno psicologo.

LA MIA CTP

Preliminarmente si osserva che nel richiamare la documentazione in atti, i periti incaricati dal TdM di svolgere la CTU rispondendo ai quesiti posti dal Giudice, introducono in essa riferimenti a prove documentali, testimonianze, ecc, che, pur facendo parte del medesimo fascicolo processuale, non hanno attinenza con quanto in esame poiché trattasi di elementi probatori formatisi in occasione di altri procedimenti, sia civili sia penali, e che costituiscono verità processuale solo in quei procedimenti. Introdurli surrettiziamente, ovvero parzialmente, nel procedimento in essere porta al formarsi di pre-giudizi che rischiano di invalidare le operazioni peritali stesse.

La presente CTU, difatti, nasce dalla decisione assunta dal TdM in Camera di Consiglio in data …; nell’assumere la sua decisione il TdM aveva ovviamente contezza delle vicende giudiziarie precedenti, che non era il caso quindi di riprendere, più volte, nel corso della relazione di CTU. …

Un secondo preliminare rilievo riguarda la cosiddetta Sindrome da Alienazione Genitoriale, o Parentale (SAP, o PAS per gli autori americani), che dai CTU viene attribuita a XXX; questo disturbo non esiste nelle classificazioni internazionali dei disturbi mentali (DSM e ICD); questi due sistemi nosografici non sono il frutto del lavoro di un singolo ricercatore ma di migliaia di ricercatori in tutto il mondo e delle società scientifiche nazionali e internazionali, e per questi motivi sono utilizzati anche in ambito forense.

Il concetto di sindrome da alienazione genitoriale, pur in auge da una ventina d’anni circa, resta ancora solo un’ipotesi teorica che manca tuttora di validazione scientifica; l’unico studio che l’avrebbe validata è quello svolto da Gardner, che è lo stesso neuropsichiatra infantile (2) che l’ha proposta alla comunità scientifica; lo studio è basato su 16 citazioni bibliografiche delle quali 15 sono dello stesso Gardner, e pertanto è scopertamente autoreferenziale (questa è “pseudo-science”, secondo le parole di Paul Fink, Past-President della American Psychiatric Association, o addirittura junk-science – Carol S. Bruch, Parental Alienation Syndrome:Junk Science in Child Custody Determination, European Journal of Law Reform, vol 3, n 3).

Come già detto, questa cosiddetta “sindrome” non è compresa nelle classificazioni internazionali dei disturbi mentali (DSM e ICD); anche nei lavori preparatori per il prossimo DSM-V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione), che sono tuttora in corso, non ha ancora trovato una sua sistematizzazione, venendo relegata nell’appendice, tra le condizioni per le quali sono necessarie ulteriori ricerche; va aggiunto che, modernamente, l’inclusione di un fenomeno, o comportamento, o atteggiamento, in un sistema nosografico, e quindi la sua concettualizzazione come disturbo, o sindrome che dir si voglia, oltre all’esistenza di sintomi osservabili presuppone che gli stessi causino una sofferenza soggettiva ovvero un disagio “clinicamente significativo”, una compromissione del funzionamento psico-sociale a livello lavorativo, scolastico, della socializzazione, ecc. In assenza di ciò nessuno è legittimato a diagnosticare alcunché poiché significherebbe voler patologizzare ogni aspetto dell’esistenza umana.

Non è quindi il caso di prendere in considerazione una mera ipotesi priva di validità scientifica e che non ha ancora trovato ufficialità nella manualistica psichiatrica e neuropsichiatrica infantile corrente; ciò perché, in una questione di estrema delicatezza che può cambiare per sempre il destino dei minori coinvolti (e secondo alcuni autori causarne anche la morte, nel caso di modifica dell’affidamento), occorre procedere con estrema cautela e fornire al magistrato che dovrà giudicare elementi di certezza scientifica, o perlomeno di ragionevole certezza, e quindi riferimenti scientifici inoppugnabili, provenienti dalla nosografia ufficiale accettata dalla comunità scientifica internazionale.

Recentemente, nel marzo 2010, l’Associazione Spagnola di Neuropsichiatria si è pronunciata contro l’uso clinico e giudiziario della “cosiddetta Sindrome da Alienazione Parentale”, definita un “castillo en el aire” (castello in aria), documento allegato alla presente CTP. Le società scientifiche italiane non hanno ancora assunto una propria posizione su questa problematica e anche per questo andrebbe suggerita cautela, invocando solo quello che, oggi, è scientificamente acclarato.

Il sottoscritto, nominato CTP dall’Avv. …, ha partecipato a tutte le operazioni peritali a esclusione delle fasi di somministrazione dei test psicologici ai periziandi.

LA MADRE

In data … alle ore …, presso …, si è svolta l’osservazione della madre.

Si presenta al colloquio comprensibilmente tesa e ansiosa, tranquillizzandosi nel corso dello stesso. Riferisce i dati anamnestici.

Per nulla condivisibile è l’affermazione dei CTU che la madre “tenda a squalificare il comportamento dell’ex-convivente” (pag 28 della CTU) poiché ciò non risulta dal resoconto della seduta e quindi non si comprende su quali basi tale giudizio sia stato formulato; ovvero, nella CTU non vengono riportati frasi e/o comportamenti che possano avallare questa ipotetica squalifica del comportamento dell’ex-convivente da parte della madre; tale affermazione sembra essere una inferenza dei CTU non supportata dai dati obiettivi; una mera impressione soggettiva, e come tale di scarso valore scientifico.

Si riportano i dati salenti, come riferiti dalla medesima. …

IL PADRE

In data …, alle ore …, presso …, si è svolta l’osservazione del padre.

Si presenta al colloquio tranquillo e riferisce i dati anamnestici con notevole precisione e dettagli, anche in relazione alle date di certi eventi (l’impressione che se ne trae è quella di una buona lezione mandata a memoria). …

IL FIGLIO ULTIMOGENITO

In data …, alle ore …, presso …, si è svolta l’osservazione del minore.

Il ragazzo è vivace, spontaneo, pronto nelle risposte, con comportamento, nel corso dell’intervista, adeguato all’età cronologica. Circa la conflittualità genitoriale ricorda che “litigavano” sin da quando lui era piccolo, e mostra un certo distacco emotivo dal clima di conflittualità dei suoi genitori (“sono problemi loro”). Vorrebbe incontrare la sorellina, visto che sinora i loro colloqui si sono svolti nei tribunali.

Dal test somministrato (Tavole di Blacky) si evince un vissuto traumatico della sua separazione dalla madre (risposta alla tavola II); non è stata somministrata la tavola X.

IL FIGLIO PRIMOGENITO

In data …, alle ore …, presso …, si è svolta l’osservazione del minore.

Il ragazzo appare ipercontrollato, mostra una certa latenza nel rispondere alle domande (come se avesse necessità di elaborare la risposta che lui ritiene più corretta, temendo di sbagliare), rigido anche nella postura, poco spontaneo, come “ingessato” in un ruolo di “piccolo adulto” (che si è dato o che gli altri hanno deciso per lui e lui si è adeguato). Nel corso del colloquio emerge una certa labilità emotiva, espressa dall’incrinarsi della voce a tratti e dal distogliere lo sguardo dall’interlocutore, quando il discorso tocca la conflittualità genitoriale.

Significativa mi sembra la conclusione cui sono pervenuti i CTU, e cioè che il ragazzo “è adultizzato” e si avverte la presenza di un “falso Sé” (pag 40 della CTU).

LA FIGLIA, SECONDOGENITA

In data …, alle ore …, presso …, si è svolta l’osservazione della minore XXX.

In apertura si precisa che l’osservazione di XXX avrebbe dovuto avere luogo, come da calendario stabilito dai CTU, in data … alle ore …, ma che non avvenne poiché XXX, accompagnata dalla madre in auto dinanzi a …, ebbe un malessere, rappresentato ai CTU dal sottoscritto e verificato dall’Avv.ssa …, Curatore speciale dei minori.

Tale precisazione, forse superflua, si rende necessaria in quanto il padre colse l’occasione per l’ennesimo esposto al TdM, denunciando un presunto comportamento ostruzionistico della madre verso le operazioni peritali; cosa come si vede, da quanto sopra riportato, non corrispondente al vero, in quanto il malessere fisico di XXX era reale, verosimilmente da ansia somatizzata, e comparso nel momento in cui la ragazza doveva scendere dall’auto della madre per recarsi dai periti, cosa che probabilmente l’ha riportata ai traumi del passato per situazioni analoghe, temendo di essere staccata dalla madre.

La ragazza è vivace, spontanea e dopo i primi momenti di timore verso la situazione di osservazione, già da lei vissuta più volte, si apre e dialoga volentieri. È disponibile a incontrare i fratelli ma non vuole incontrare il padre, chiudendosi improvvisamente quando si parla del padre; non fornisce spiegazioni e nessuno ritiene di chiederle il perché, vedendo il profondo turbamento che presenta.

Dal test somministrato (Tavole di Blacky) emerge che il suo ideale dell’io e oggetto d’amore è la madre (risposta alla tavola XI); anche in questo caso non è stata somministrata la tavola X.

MINORI CON LA MADRE

In data …, alle ore …, presso …, si è svolta l’osservazione dei tre minori con la madre.

L’imbarazzo iniziale è superato dalla madre, che chiede ai due figli maschi di poterli abbracciare e baciare, ottenendo però un rifiuto dal primogenito, al quale l’ultimogenito si accoda passivamente. L‘impressione è che l’ultimogenito si faccia influenzare dal primogenito. Successivamente la madre chiede al primogenito notizie sulla sua vita, sulla scuola, le amicizie, gli interessi; il primogenito risponde, correttamente ma con una certa freddezza.

Segue una interazione tra XXX e il primogenito, nel corso della quale XXX si dice risentita per il contenuto di alcune mail che il fratello le ha inviato.

La madre si informa anche dall’ultimogenito sulla sua vita.

Si parla poi dell’imminente compleanno di XXX e il CTU suggerisce che XXX inviti alla sua festa i fratelli, cosa che viene gradita dai tre fratelli e dalla madre.

Alla fine dell’incontro i due maschietti abbracciano la madre (i CTU scrivono “si lasciano abbracciare dalla madre” ma è scontato che chi si lascia abbracciare abbraccia a sua volta).

MINORI CON IL PADRE

In data …, alle ore …, presso …, si è svolta l’osservazione dei tre minori con il padre.

L’incontro si è svolto solo con il padre e i due figli maschi, … e …, per il rifiuto di XXX, nonostante le insistenze della madre e i tentativi di convincerla esperiti dai presenti (il sottoscritto e l’Avv. …, l’Avv.ssa – curatore della minore – e infine il CTU), di incontrare il padre.

Nel corso dell’incontro il Dr …, consulente di parte del padre, ha chiesto se conoscevamo i motivi di questo rifiuto di XXX e il padre gli ha risposto che “XXX non vuole vedermi perché è convinta che io l’abbia violentata”. Questo discorso non ha avuto seguito, e l’incontro si è concluso dopo breve tempo.

Gli accertamenti peritali effettuati consentono una risposta ai quesiti posti dal Tribunale.

1) Valutazione del livello di sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale conseguito dai minori in rapporto all’età cronologica.

Sulla scorta delle risultanze dell’esame clinico e dei test effettuati, il livello di sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale conseguito dai minori in rapporto all’età cronologica può ritenersi adeguato.

Qualche riserva potrebbe intravedersi per il primogenito, che è “adultizzato” e con “falso sé” secondo l’espressione usata dai CTU. Tale concetto esprimerebbe una qualche criticità nello sviluppo affettivo e comportamentale del primogenito, che potrebbe richiedere uno specifico intervento psicologico, o forse solo un minor carico di responsabilità da parte del padre e l’introiezione di una figura materna amorevole, cosa che evidentemente non ha trovato nell’attuale contesto familiare.

2) Valutazione della capacità dei minori di esprimere libere propensioni per l’uno o per l’altro genitore (ed in caso positivo indicare quale) in relazione al grado di sviluppo raggiunto dai minori e sul piano affettivo.

I minori, sia pure con i condizionamenti per la situazione di conflittualità genitoriale, che permane tuttora, mostrano di saper esprimere libere propensioni per la convivenza con l’uno o l’altro genitore; in particolare i due maschietti, pur non avendolo espressamente affermato, mostrano maggiore propensione per la convivenza con il padre, mentre XXX è molto legata alla madre e mostra esclusiva propensione per la convivenza con la madre.

3) Valutazione del senso di appartenenza dei minori nei confronti di uno dei due contesti sociali frequentati.

La risposa al quesito n° 3 ricalca quella al quesito precedente: i due maschietti mostrano maggiore senso di appartenenza al contesto sociale rappresentato dal padre e dalla famiglia allargata; XXX mostra spiccato ed esclusivo senso di appartenenza al contesto sociale rappresentato dalla madre.

L’interazione fra i minori alla festa di compleanno di XXX ha mostrato che i due maschietti non disdegnano la partecipazione al contesto sociale della sorellina.

4) Valutazione della percezione che i minori hanno di sé e dei loro genitori conviventi.

L’impressione che si può trarre dalle operazioni peritali è che i minori abbiano una buona percezione di sé e dei loro genitori conviventi.

5) Valutazione degli eventuali elementi di anomalia nei rapporti con le figure adulte conviventi specie per quanto concerne il ruolo dei genitori.

L’unico elemento di anomalia riscontrato concerne il rapporto del primogenito con il padre; quel suo essere “adultizzato” secondo l’espressione usata dai CTU, e il “falso sé” farebbero pensare a qualche problema educativo che ha influenzato negativamente il ragazzo; ma poiché lo stesso si è mostrato capace, in contesti di tipo ludico-edonistico (festa di compleanno di XXX) di saper dismettere questa maschera, tale aspetto non riveste caratteri francamente patologici.

Non condivisibile è l’affermazione dei CTU di una “collusione” di XXX e della madre contro il padre, poiché ciò non emerge in nessun punto delle operazioni peritali svolte. Né è condivisibile la tautologia che sembra guidare questa deduzione: “se non vuoi vedere tuo padre è perché sei collusa con tua madre contro di lui”.

6) Valutazione in entrambi i genitori degli atteggiamenti affettivi ed educativi nei confronti dei minori, evidenziando eventuali messaggi espliciti o anche impliciti (3) che gli stessi possano inviare ai figli con riguardo al genitore assente.

Gli unici messaggi espliciti inviati ai figli da un genitore con riguardo al genitore assente si leggono nelle mail del primogenito a XXX, fortemente denigratori verso la madre; poiché il primogenito ha mostrato nei fatti di non pensare quelle cose della madre (abbracciandola alla fine dell’incontro, partecipando entusiasta alle festa di compleanno di XXX, ove era presente la madre, dialogando con la madre e chiedendole di poter andare in vacanza con lei) è chiaro che il contenuto di quelle mail non è farina del suo sacco ma di qualcuno che conosceva in dettaglio le vicende processuali della madre e che fosse in grado di indurre il primogenito a scriverle.

7) Valutazione della personalità di entrambi i genitori mettendo in evidenza:

7.1) le rispettive capacità educative relativamente a ciascun figlio in riferimento all’acquisizione di regole, abitudini, norme;

7.2) la progettualità di costruzione familiare di ognuno e le corrispondenti capacità di garantire il benessere psichico dei minori.

Dall’insieme delle operazioni peritali svolte (inchieste e test mentali) emergono buone capacità educative di ciascun genitore verso ciascun figlio convivente, in riferimento all’acquisizione di regole, abitudini, norme.

Una qualche criticità deve rilevarsi nel processo educativo del primogenito da parte del padre, alla luce della denigrazione manifestata da quest’ultimo verso la madre, nelle mail inviate a XXX, come già evidenziato al punto precedente. Questa strumentalizzazione da parte del padre del figlio primogenito è negativa per il processo educativo di quest’ultimo, poiché potrebbe portarlo a formarsi idee errate sul rapporto con la madre, o con le figure femminili in genere. Pur tuttavia, tali atteggiamenti non raggiungono livelli patologici, e le buone capacità di resilienza del primogenito (durante la festa di compleanno di XXX) mostrano che è capace di “lasciarsi andare”, ovvero di dismettere l’abito di piccolo adulto e ritornare ragazzo, ritrovando il suo vero sé. Il rafforzamento del legame con la sorellina porterebbe il primogenito a superare le sue difficoltà affettive contingenti.

Per quanto concerne il quesito 7.2 qualche riserva va espressa sulla capacità del padre di garantire il benessere psichico dei minori, visto che il primogenito viene diagnosticato dai CTU come “minore adultizzato” e con un “falso sé”; queste due situazioni rilevate nel ragazzo sono sicuramente conseguenza di errori educativi, e non testimoniano certo uno stato di benessere psichico.

Altra riserva riguarda la capacità del padre di assicurare benessere psichico a XXX, visto che sinora, con l’esecuzione forzata, ha causato a XXX solo grave sofferenza psichica espressa dagli stati d’ansia, crisi di panico e somatizzazioni.

8) Valutazione dei comportamenti personali della minore XXX, stabilendo se costei manifesti indici rilevatori del disagio lamentato nel corso dell’esecuzione del provvedimento di affidamento al padre.

Quel che si è osservato è che ogni volta che si è prospettata a XXX l’eventualità di incontrare il padre, la piccola ha presentato uno stato di acuto malessere, inquadrabile come crisi di panico (rossore in viso, sofferenza soggettiva, somatizzazione addominale). Né durante l’osservazione di XXX da sola, né nell’incontro con la madre e i fratelli, né durante la somministrazione del test (Tavole di Blacky) che avrebbe potuto slatentizzare problematiche psicologiche di una qualche natura, XXX ha presentato disagio; anzi ha affrontato tali situazioni senza problemi. Durante la sua festa di compleanno è stata felicissima per la presenza dei fratelli, socializzando con loro.

L’unica condizione di disagio compare quando XXX deve confrontarsi con il padre.

I CTU, seguendo l’ipotesi di Gardner, hanno parlato a tale proposito di sindrome di alienazione parentale; senza ripetere cose già dette in apertura su questa fantomatica entità, scorrendo il resoconto delle operazioni peritali, si scopre che nel suo esame è stato proprio il padre a parlare per primo di questa ipotetica sindrome, affermando che XXX soffre di “sindrome da alienazione paterna e fraterna”. Diagnosi, questa del padre, ben singolare, visto che è stata fatta a distanza (lui stesso ha affermato che non vede XXX da qualche anno); come si possa diagnosticare una qualche cosa ad una persona che non si vede da tempo mi risulta ben strano, se vogliamo seguire una metodologia clinica oggettiva.

Diagnosi che, oltretutto, potrebbe specularmente essere formulata anche per i due figli maschi (anzi nel caso del primogenito sarebbe ancora più plausibile vista l’aperta denigrazione della madre emersa dalle mail, che è proprio uno dei “sintomi” di questa sindrome), e che sarebbe riuscita più agevole avendo i due “pazienti” con sé ogni giorno e quindi potendo osservarli nel loro comportamento.

Ma, come già detto in apertura, questa sindrome è inesistente, per la psichiatria ufficiale italiana e mondiale, per cui meglio lasciar perdere; ciò che esiste invece, presente nella manualistica psichiatrica corrente, è lo stato fobico di XXX.

Stato fobico di XXX verso la situazione di convivenza, o addirittura di solo incontro, con il padre, inquadrabile come “Fobia Specifica, Tipo Situazionale”, secondo il DSM-IV (Codice F40.2).

Così il DSM-IV definisce la Fobia Specifica:

Caratteristiche diagnostiche

La caratteristica essenziale della Fobia Specifica è la paura marcata e persistente di oggetti o situazioni chiaramente discernibili, circoscritte (Criterio A). L’esposizione allo stimolo fobico provoca quasi invariabilmente un’immediata risposta ansiosa (Criterio B). Questa risposta può prendere la forma di un Attacco di Panico causato dalla situazione o sensibile alla situazione. Mentre gli adolescenti e gli adulti con questo disturbo riconoscono che questa paura è eccessiva o irragionevole (Criterio C), questo può non essere il caso nei bambini. …(4).

Esaminando la storia personale di XXX emerge che la fobia verso il padre risale al …, quando XXX, che all’epoca aveva 3 anni, cominciò a non voler più andare a visitare il padre, cosa che faceva in precedenza ogni 15 giorni, come da disposizione del TdM. Da quell’epoca il padre ritenne di dover agire per ottenere l’affidamento esclusivo di XXX, arrivando, nel …, al provvedimento di esecuzione forzata della consegna di XXX, addirittura con l’ausilio di un ufficiale giudiziario.

Come si sono svolti i fatti è ben noto a codesto spett.le Tribunale; osservo solo che il comportamento del padre non pare, allo scrivente, quello di un padre amorevole che voglia riconquistare l’amore della figlia ma, piuttosto, quello di un creditore che attraverso l’ufficiale giudiziario vuole rientrare in possesso di un suo bene materiale, non rendendosi conto che tale modo di procedere non fa altro che aggravare la fobia di XXX nei suoi confronti.

La ragazza è fortemente traumatizzata dalla vicenda, ormai ha … anni e ha consapevolezza che il comportamento del padre nei suoi confronti esprime volontà di possesso più che amore, e la cosa la spaventa ancora di più. Credo sia oltremodo necessario seguire le indicazioni degli operatori del Consultorio di … sulla opportunità di “ripristinare gradualmente il rapporto con il padre e i fratelli”, evitando atti di forza che traumatizzerebbero ancora di più la bambina.

XXX è una ragazza di .. anni, sveglia, vivace, socievole, che frequenta con profitto la Scuola Media di primo grado a …, promossa con buoni voti dalla prima alla seconda media, curata nella persona e nell’abbigliamento, che vive da circa otto anni con la madre; staccarla ora dalla madre, dalle sue amichette e dai suoi amichetti, dai suoi giocattoli, dalla sua stanzetta, dalle sue abitudini, dalla sua scuola e dai suoi insegnanti e costringerla a vivere in un nuovo paese, in una nuova famiglia, con gente che non ha mai conosciuto (la moglie del padre e il figlio adulto di lei), con un genere di vita completamente nuovo e diverso avrebbe un’influenza negativa sul suo sviluppo psico-fisico e sulla sua personalità, potendo anche innescare processi psicotici di una certa gravità.

Le operazioni peritali svolte hanno confermato l’esistenza di una conflittualità genitoriale probabilmente insanabile, dalla quale i minori, ciascuno secondo le proprie caratteristiche di personalità, si sono in qualche modo tirati fuori, sia pur con qualche strascico di inevitabile invischiamento.

Il sottosistema “figli”, pertanto, sembra avere trovato un suo equilibrio che sarebbe opportuno non perturbare, da parte dei genitori, con richieste pressanti.

Circa il riavvicinamento dei minori al genitore non affidatario sembra allo scrivente opportuno non forzare la volontà degli stessi e, ove s’incontrino rifiuti netti (come nel caso di XXX), procedere con la necessaria gradualità, eventualmente con l’ausilio degli operatori delle strutture pubbliche territorialmente competenti (Consultorio di …).

Penso che i genitori debbano considerare che il loro diritto-dovere alla genitorialità deve contemperarsi con le istanze dei figli, nel rispetto dei principi contenuti nelle convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo – segnatamente quella di New York (1989) e quella di Strasburgo (1996) – le quali sanciscono che “il minore deve considerarsi un soggetto di diritto autonomo, portatore di istanze personali a cui deve essere data voce”.

Una nota, come dire, di colore.

Quando mi venne trasmessa la bozza della CTU per le controdeduzioni, la madre era letteralmente terrorizzata per la frase ‘sindrome di alienazione genitoriale’; io non ne sapevo nulla ma lei temeva che la figlia potesse essere collocata in una comunità per minori. Mi chiese di rinunciare alla CTP e che avrebbe consultato un altro psichiatra, docente universitario, per le controdeduzioni alla CTU.

Mi ritelefonò dopo qualche giorno chiedendomi di assumere nuovamente l’incarico; il ‘professore’ le aveva chiesto 500 euro per ascoltarla e poi seimila (!!) euro per la relazione contro la PAS.

Nel frattempo mi ero documentato per cui fui in grado di controdedurre, come sopra riportato.

Il suo avvocato utilizzò la mia relazione per il ricorso in Cassazione avverso il decreto della Corte di Appello di prelievo coatto della bambina; la Cassazione annullò tutti gli atti, compreso l’attuale procedimento al Tribunale dei minori, e rinviò ad altra Corte di Appello.

La vicenda ebbe quindi un seguito nella nuova Corte di Appello, ove fui nuovamente CTP per la madre. Eccone uno stralcio.

____________________________________

La presente CTU scaturisce dal rinvio operato dalla suprema Corte di Cassazione …

I quesiti posti dal tribunale ai CCTTUU nell’udienza dell’… sono stati i seguenti: …

Le operazioni di CTU sono iniziate il giorno … presso lo Studio dei CCTTUU in … con l’incontro col padre e i due maschietti, … e …, e proseguite il giorno … presso la medesima sede con l’incontro con la madre e la minore XXX.

Pur sostanzialmente condividendo l’osservazione dei CCTTUU della riproposizione in questa sede delle “medesime dinamiche, atteggiamenti e posizioni già rilevati nel precedente accertamento” non si concorda (pag. 8) con il riportato “disagio emotivo” di XXX poiché non viene precisato che tale disagio della minore è in relazione solo e unicamente al prospettato riavvicinamento al padre e non si manifesta in altre circostanze.

XXX è ormai una adolescente di … anni (a breve) che frequenta con profitto la scuola media, capace di esprimere la sua volontà senza condizionamenti di sorta. Nel corso delle operazioni di CCTTUU si è potuto osservare come la ragazza risponda alle domande in maniera diretta, guardando in viso l’interlocutore; ha espresso con chiarezza i motivi per cui non vuole incontrare il padre e le sue risposte paiono genuine. È apparsa, in questo suo interloquire, molto più matura rispetto alla CTU del … quando era inibita dall’ansia.

Voler dare a questo atteggiamento di XXX il nome di alienazione parentale è, a mio parere, una forzatura visto che il concetto di alienazione presuppone una manipolazione psicologica della quale, nel caso in oggetto, non vi è prova alcuna (sulla presunta natura di “malattia” di questo concetto non mi dilungo rinviando a quanto in appendice).

In merito alle conclusioni si condividono quelle espresse dai CCTTUU.

Alla fine della vicenda, la bambina è rimasta con la madre. Ormai è adulta, serena e felice.

NOTE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

  1. Qui una sintesi: http://www.andreamazzeo.it/docu/Bianca.pdf
  2. All’epoca non sapevo nulla di Gardner, in vari blog veniva presentato come psichiatra infantile; solo in seguito ho saputo che non era specialista né in neuropsichiatria infantile, né in psichiatria, né tanto meno in medicina legale. Svolgeva l’attività medico-legale in quanto ufficiale medico dell’esercito americano, in congedo.
  3. Annotazione aggiunta attualmente: come è possibile individuare gli eventuali messaggi impliciti, come oggettivarli, come rappresentarli in tribunale visto che in tribunale devono essere portate prove concrete e oggettive e non ipotesi su cose non obiettivabili? Questo è un esempio dell’eccessiva psicologizzazione di questi procedimenti.
  4. Nella relazione riportai per intero il paragrafo del DSM-IV sulla fobia specifica, cosa che ho omesso per non appesantire il testo. All’epoca, come già detto, non sapevo proprio nulla di questa PAS e pervenni a quella ipotesi nel tentativo di dare una spiegazione al comportamento della bambina. Un confronto con la D.ssa Sonia Vaccaro che aveva scritto il libro sulla PAS – El pretendido Síndrome de Alienaçion Parental. Un instrumento que perpetúa el maltrato y la violencia -, insieme alla D.ssa Consuelo Barea Payueta, mi chiarì che non si trattava di fobia vera e propria ma della conseguenza del trauma e quindi inquadrabile nei disturbi post-traumatici da stress. Non conoscevo ancora bene questo libro, avevo l’edizione spagnola ma la mia conoscenza dello spagnolo era approssimativa e non lo avevo letto per intero. Il DSM-IV riportava, già da allora, che uno dei criteri diagnostici (o sintomi) per il riconoscimento del disturbo post-traumatico da stress, è proprio il provare “sentimenti di distacco e di estraneità verso gli altri”; ovvero ciò che gli psicologi giuridici chiamano alienazione. “Feeling of detachment or estrangement from others” nell’originale inglese (pag. 428); estrangement è la parola che ritornerà poi in seguito, malamente tradotta con alienazione, per sostenere che l’alienazione parentale sia descritta nel DSM-5.

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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CONTRO LA PAS

E L’ALIENAZIONE PARENTALEConsulenze e pareri tecnici

PREMESSA

In questo testo riporto alcune relazioni di consulenze tecniche di parte da me svolte negli anni scorsi e pareri tecnici richiestimi, nei casi giudiziari in cui veniva diagnosticata la PAS; omettendo ovviamente tutti quegli elementi, nomi, luoghi, date, ecc. che potrebbero consentire di risalire e riconoscere i protagonisti, loro malgrado, di queste vicende assurde che vedono madri e bambini vittime di violenza o di abusi sessuali, rivittimizzati da un sistema psico-socio-giudiziario perverso.

Le vicende processuali sono concluse da anni e molti ragazzi sono ormai maggiorenni se non proprio adulti; nei casi che si sono risolti bene, sottratti alla violenza e qualche volta agli abusi sessuali paterni, i bambini hanno avuto tutti uno sviluppo sereno e una vita felice. Ciò smentisce nella maniera più categorica le previsioni sinistre fatte dai CTU sull’ipotetico rischio evolutivo che questi ragazzi correvano per via della cosiddetta alienazione parentale.

Rileggendole adesso, a distanza di alcuni anni dai fatti, non più coinvolto emotivamente in quelle vicende, posso parlare a giusta ragione, parafrasando il grande Charles Bukowski (2), di “storie di ordinaria follia psico-socio-giudiziaria”; qui le “erezioni, eiaculazioni ed esibizioni” sono soltanto simboliche ma rendono uno spaccato di quel mondo, davvero inquietante.

Mi sono imbattuto per la prima volta in questo concetto, quello di PAS (sindrome di alienazione genitoriale) nel 2010, ne ho già parlato in questo e-book: https://amzn.to/2QESIFO

Il concetto di PAS, pur non essendovi descritto perché ancora sconosciuto in Italia verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso, può far parte a pieno titolo di quella “Enciclopedia delle scienze anomale” dal titolo “Forse Queneau” (3). Il libro si apre con una citazione di Bertrand Russel: «Tutti gli argomenti induttivi si riducono alla seguente forma: “Se questo è vero, quello è vero: ora quello è vero, perciò questo è vero”. Questo argomento, si intende, è formalmente fallace».

Il concetto di PAS, costruito in maniera induttiva, è fallace; nella sostanza chi aderisce a questa concezione sostiene che se un bambino dopo la separazione dei genitori rifiuta di relazionarsi con uno di essi, ciò accade perché è stato manipolato dall’altro genitore; siccome è stato manipolato da un genitore rifiuta la relazione con l’altro genitore. Naturalmente, la dichiarata manipolazione non viene mai provata, è solo presunta; e sulla base di questa presunzione si rovina la vita di madri e bambini.

Si tratta di una di quelle “fedi pseudoscientifiche”, come si legge nell’introduzione del libro citato, a cura di Paolo Rossi storico della scienza, “nate spesso negli Stati Uniti e poi dilagate nel resto del mondo”; e ancora: “… il costruttore di teorie deliranti è ostinatamente attaccato a un unico e invariabile sistema di riferimento e non può effettuare revisioni. La sua idea viene mantenuta in modo incorreggibile. Non ci sono fatti che valgano a smentire il suo sistema e tutti i fatti vengono reinterpretati in modo da poter essere presentati come prove o conferme della teoria”.

Negli anni più recenti gli psicologi giuridici non parlano più di PAS, parlano di alienazione parentale, o usano altri sinonimi (4), ma in quegli anni, 2010-2013 usavano largamente il concetto di PAS da loro intesa come una grave malattia che colpiva donne e bambini dopo la separazione coniugale. Quanti orrori sono stati compiuti dagli psicologi giuridici! Quanti bambini sono stati strappati alle madri con questo pretesto e rinchiusi in cosiddette case famiglia, alcune veri e propri lager.

Una casa famiglia è un luogo nel quale si entra volontariamente e dal quale si può uscire in qualsiasi momento; ma se vi si viene rinchiusi contro la propria volontà, in seguito a un provvedimento giudiziario, e da quel luogo non si può uscire, non lo si può più chiamare casa famiglia ma è un carcere a tutti gli effetti, un luogo di detenzione mascherato da tutela del minore (“nel supremo interesse del minore” si scrive ipocritamente in alcuni di questi provvedimenti giudiziari).

Perché pubblico questo materiale?

La prima esigenza è quella informativa; sono ancora pochi coloro che conoscono l’orrore che devono affrontare le madri e i figli quando cercano di salvarsi dalla violenza in famiglia o addirittura dagli abusi sessuali, solo chi ci è passato lo sa. Pensano di potersi salvare con la separazione coniugale ma è proprio in quel momento che scatta la trappola più crudele, quella della Legge n. 54 del 2006, quella che consente agli uomini violenti o pedofili di tenere in pugno le proprie vittime, a volte sino alle più estreme conseguenze, il femminicidio e il figlicidio.

Voluta dal governo di centro destra, la legge 54/2006 venne valutata negativamente persino dalla Presidente della Commissione Infanzia e adolescenza, l’on. Maria Procaccini Burani di Forza Italia, che votò contro l’approvazione della stessa (5); il che è tutto dire.

La legge 54/2006 fu oggetto di puntuali critiche nel corso di un convegno giuridico che si svolse a Reggio Emilia, ad appena due mesi di distanza dalla sua approvazione (6); sotto l’etichetta della tutela dei minori la legge 54 tutela in realtà i padri violenti o abusanti ed è lo strumento più raffinato per perpetuare il controllo patriarcale su ex-mogli e figli anche dopo la separazione coniugale.

Poi per consentire, a chi sta vivendo l’orrore delle CTU, di trovare degli spunti per potersi meglio difendere dagli psicologi giuridici, ma anche dagli assistenti sociali, e contrastare le loro perverse teorie.

Inoltre per evidenziare, se ancora ce ne fosse bisogno, il grave pregiudizio contro le madri da parte degli operatori psico-sociali ma anche giuridici, che domina e guida questi processi.

Si noterà che nelle note bibliografiche delle CTP riporto sistematicamente, per confutare il concetto di PAS, sempre gli stessi riferimenti, aggiornati nel corso degli anni. Un elenco abbastanza esaustivo dei documenti che criticano il concetto di PAS si trova a questo link:

http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/link.pdf

Nonostante questi lavori siano stati a volte sbattuti in faccia, metaforicamente s’intende, ai sostenitori della PAS, non li hanno minimamente scalfiti nelle loro certezze granitiche; e sì, perché la PAS, o alienazione parentale che dir si voglia, è la classica gallina dalle uova d’oro. E di ‘ucciderla’ non ne hanno voglia alcuna.

Infine, per mettere in guardia i genitori, soprattutto le madri, quando i figli minori dovessero confessare di aver subito abusi sessuali, dall’improvvisarsi investigatori perché questo si ritorcerà contro di loro. Si affidino agli esperti giuridici, in primo luogo a un avvocato penalista di fiducia il quale saprà come consigliarli. Non si mettano a cercare prove, fare registrazioni, filmati; al processo tutto questo si ritorcerà contro di loro; sarà facilmente demolito dall’avvocato della controparte, e rischieranno poi una denuncia per calunnia. Chi è deputato a cercare le prove di un reato è la polizia giudiziaria, o il proprio avvocato svolgendo indagini difensive.

A mio parere, il quadro che emerge da queste vicende è desolante.

Alcuni CTU mostrano con evidenza di essere in malafede; pur avendo sotto gli occhi la palese incapacità genitoriale di alcuni padri, emersa dai colloqui e dai test psicologici da loro stessi somministrati, non ne hanno preso atto, cercando in ogni modo di danneggiare le madri e i bambini. In altri casi è palese la totale incapacità di alcuni professionisti di svolgere il delicato incarico di CTU.

Il concetto di alienazione parentale è solo una strategia processuale per difendere il genitore violento o pedofilo, il suo obiettivo è quello di occultare la violenza in famiglia su donne e minori (7). I CTU favorevoli all’applicazione del concetto di alienazione parentale tenderanno pre-giudizialmente, cioè ancora prima di iniziare l’accertamento peritale, a ridimensionare se non proprio negare quanto denunciato dalle madri, o comunque dai genitori protettivi verso i minori, e cioè l’esistenza in quella vicenda di violenza o di abusi sessuali; si approcciano alla CTU con la convinzione che il rifiuto del bambino verso un genitore sia causato dalla manipolazione psicologica operata dall’altro genitore. Scalfire questa certezza è praticamente impossibile.

È come se, in senso metaforico, per valutare reati connessi a fatti di mafia venissero incaricati esperti che negano la mafia; perché la violenza contro le donne ha la stessa valenza sociale della mafia (8). Il muro di omertà intorno queste vicende deve essere squarciato; questo testo, come i precedenti (9), si propone di cominciare ad aprire qualche crepa.

Né, almeno nelle vicende più recenti, è stata applicata la Convenzione di Istanbul che risale al 2011, e che dal 2013 è una legge dello Stato italiano (10); ciò in dispregio di più sentenze della Suprema Corte di Cassazione (es. Sentenza 29 gennaio 2016 n. 10959) nelle quali è ribadito univocamente il principio per il quale la normativa sovranazionale, in particolare quella comunitaria, è prevalente rispetto a quella nazionale e che in caso di conflitto tra le due il Giudice è tenuto a disapplicare la normativa nazionale in favore di quella sovranazionale, in questo caso la Legge 54/2006 – (“Ove sorgano questioni di conflitto con una norma interna, il giudice deve disapplicare la norma interna”).

NOTE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFICHE

  1. http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/20110506.pdf
  2. Bukowski C (1967), Storie di ordinaria follia – Erezioni, eiaculazioni, esibizioni. Feltrinelli Economica, 1982.
  3. Albani P e della Bella P (1999), Forse Queneau – Enciclopedia delle scienze anomale. Zanichelli.
  4. Sinonimi che vanno dal problema relazionale al rapporto simbiotico, madre assorbente, fusionale, ostativa, istrionica, malevola, oppositiva, bambino adesivo, appatellato, scisso, simbiotico, in conflitto di lealtà, arruolato nella guerra contro il padre, colonizzato dai voleri degli adulti, ecc. Una serie di termini pescati a caso, una vera e proprio insalata di parole di schizofrenica memoria.
  5. http://www.alienazionegenitoriale.org/0054.htm
  6. http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/etelina.pdf
  7. https://bit.ly/3fIOt6z; si veda anche: https://bit.ly/3sImJlA
  8. https://bit.ly/2PDqxXH; ved. anche https://bit.ly/3gxf72M e: Di Nicola P (2012), La mia parola contro la sua. Harper Collins Italia. https://bit.ly/2Prb90L
  9. https://amzn.to/2QuEuHM e https://amzn.to/3umTpSN
  10. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/07/01/13G00122/sg

(Dal testo “Contro la PAS e l’alienazione parentale – Consulenze e pareri tecnici)

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IL PROBLEMA RELAZIONALE (ANCORA) – A quelli che si masturbano sulle pagine del DSM-5.

Mi si perdoni la scivolata un po’ scabrosa, per così dire, ma se nonostante le evidenze c’è gente che continua a mistificare i testi scientifici, vuol dire che si tratta di masturbatori incalliti; e non è gente qualunque, si tratta di psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili.
Naturalmente della questione me ne sono già occupato negli anni scorsi, ma evidentememte alcuni hanno bisogno di un richiamo ogni tot anni.

La questione fondamentale è questa: il problema relazionale esiste tra il bambino e il genitore da lui amato o tra il bambino e il genitore rifiutato?
Rispondano a questa domanda; alla quale non hanno mai dato risposta. Perché, è chiaro, è una domanda che li mette con le spalle al muro, che richiede una risposta secca.
Per semplicità, perché alle menti semplici bisogna dare spiegazioni ancora più semplici, lo rispiego.

Prendiamo, come nell’immagine a lato, un genitore A, un genitore B e uno o più figli C.
I figli esprimono il rifiuto verso il genitore A; quindi il problema relazionale esiste tra i figli e il genitore A, e non tra i figli e il genitore B.

(Tra parentesi: l’immagine risale al 2011; avevamo le idee ben chiare sin da allora, ma certuni non le hanno ancora oggi).
Naturalmente alla domanda di cui sopra loro risponderanno, contro ogni logica, che il problema relazionale c’è tra il bambino e il genitore amato, (il genitore B della figura), si chiama alienazione parentale ed è la causa del rifiuto.
Ma se i “sentimenti non giustificati di alienazione” (uno dei ‘sintomi’ diciamo così del problema relazionale) sono rivolti dal bambino verso il genitore rifiutato, il DSM-5, correttamente applicato, ci dice che il problema relazionale esiste tra il bambino e il genitore rifiutato. Ma c’è di più; all’epoca di quello scritto non ci avevo fatto caso.
Nella versione originale inglese del DSM-5 la parola ‘estrangement‘ è utilizzata due volte.
Una prima volta nel capitolo dei disturbi da stress post-traumatico, ed è tradotta nella versione italiana con ‘sentimenti di estraneità’ (pag. 315, Criterio diagnostico D6).
Una seconda volta nel capitolo dei problemi relazionali ma in italiano viene invece tradotto con alienazione. Qualcuno ha giocato sporco, secondo me.

Naturalmente segnalai la cosa al responsabile per l’edizione italiana del DSM-5, e questa, la mail a lato, fu la sua risposta.

Ho oscurato il nome perché la mail è privata e non mi va di coinvolgere uno dei massimi psichiatri italiani in queste polemiche da pollaio degli psicologi giuridici (a Bari diciamo ‘galline spatriate’, cioè quelle galline che corrono su e giù per il pollaio, senza un fine preciso).

E vuoi vedere, per chiudere, che quella parola estrangement, che hanno utilizzato nel DDL Pillon e della quale si sono innamorati, significa in pratica che se il bambino manifesta sentimenti di estraneità verso un genitore vuol dire che quel genitore gli ha provocato un trauma e che il bambino ha un disturbo da stress post-traumatico?
Ragazzi, mi rivolgo a loro, il DSM-5 non è la smorfia napoletana dei numeri del lotto, quelli che date voi sfrucugliando tra le sue pagine, ma è un testo scientifico sul quale bisogna buttare il sangue prima di poterne discutere.

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Come fidarsi di voi

Come le madri fidarsi di voi
potranno, sindaci e assistenti
sociali, d’inganni solo capaci.
Tradite da chi dovrebbe

con lealtà a loro rivolgersi,
col rispetto medesimo per ogni
madre che il compito ha di dare
la vita e se stessa a’ suoi figli.

E che giudice è colui che non
ascolta il volere dei piccoli,
cittadini sì del domani ma già
oggi di scelta atti tra amore

e violenza, ma costretti ancora
a subire abusi e violenze.
Riuscite ad abbracciare i vostri
figli dopo avere torturato

figli altrui e le loro madri?
A baciar riuscite le vostre madri?
Baci di Giuda sono quelli vostri,
di traditori di tutte le madri.

Ma cosa vi spinge a stare sempre
dalla parte dei padri violenti?
In loro vi riconoscete forse?
Ma cosa vi spinge a stare sempre

dalla parte dei padri abusanti?
Figli che accusano alienati
non sono; così li vuole chi odia
la felicità che madri sanno dar

e che forse a loro è mancata.
Alienante non può dirsi la madre
che dà amore; dite che è troppo
ma qual è dell’amore la misura?

Psicologia senz’anima fissa
la misura con bilancia di frode,
corrotta da scienza spazzatura che
violenti e pedofili assolve.

“ASSASSINIO DELL’ANIMA”

Ho letto questa espressione, per questo è virgolettata, nel libro di James Hillman “La vana fuga dagli dei”.
Ecco il brano di Hillman:

Scrive Schreber verso l’inizio delle cinquecento pagine del suo libro: «Le voci che parlano con me dai primi inizi del mio collegamento con Dio (metà di marzo del 1894) fino a oggi indicano giornalmente il fatto che da qualcuno sia stato “commesso un assassinio dell’anima” come la causa della crisi che ha sconvolto i reami di Dio» (p. 23 [43]).
“Soul Murder” (Assassinio dell’anima) è diventato il titolo di un libro che spiega il caso di Schreber alla luce della sua infanzia, quando l’anima del futuro magistrato sarebbe stata assassinata da un padre crudele e repressivo.

Qualche riga di spiegazione.
Hillman (1926-2011), filosofo e psicanalista, è stato uno delle più geniali personalità del 1900.
Il suo concetto di ‘anima’ non ha nulla a che vedere con quello che si intende con anima nelle religioni; Hillman concepisce l’anima come metafora della psiche, la base poetica della mente.

Daniel Paul Schreber fu un magistrato tedesco che giunse a ricoprire la carica di Presidente della Corte di Appello di Dresda. Si ammalò di un disturbo mentale di tipo delirante paranoideo e scrisse un libro sulla sua esperienza di malattia, “Memorie di un malato di nervi”; qui c’è qualcosa di più.

Per metafora, i figli che rifiutano il genitore violento o pedofilo stanno, a mio parere, semplicemente cercando di sottrarsi all’assassinio della propria anima; le madri protettive cercano semplicemente di evitare l’assassinio dell’anima dei propri figli.

Le istituzioni senz’anima, invece, sembrano farsi complici di questo assassinio dell’anima dei bambini, costretti comunque a dover incontrare il proprio carnefice nel nome di un qualcosa che non si capisce cosa sia, scritto in una fredda legge degli uomini, manco fosse le tavole della legge date a Mosè sul Monte Sinai.

La legge 54 va rapidamente emendata, non nel senso decisamente peggiorativo proposto dal senatore Pillon, ma recependovi la normativa comunitaria di cui alla Convenzione di Istanbul, di rango superiore a quella nazionale, come ha già fatto la Francia da anni.
E gli avvocati che difendono madri e bambini comincino a pretendere che i Giudici recepiscano la giurisprudenza più recente della Suprema Corte di Cassazione (Ordinanze n. 13217/2021 e 9691/2022). E comincino a chiedere la nullità di tutti i processi nei quali non viene ascoltato il minore, anche se infradodicenne. Anche a costo di irritare i Giudici. O si arriva al muro contro muro, e vediamo quale cede prima, o per madri e bambini non c’è speranza di giustizia.

I fatti che vengono sistematicamente elusi:

  • Ottobre 2012: dichiarazione del Ministro della salute sulla mancanza di scientificità della PAS.
  • Marzo 2013: sentenza della Cassazione sulla non utilizzabilità nel processo di concetti privi di validità scientifica.
    Di cos’altro avevano bisogno i Giudici?
    Eppure in questi ultimi dieci anni hanno continuato a utilizzare concetti antiscientifici, pur sapendo che lo fossero, quindi in flagrante mala fede.
    Gli interessi in gioco, di natura economica ormai è più che evidente; sono proprio tali, anche per taluni Giudici, da continuare impunemente a non fare giustizia?
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LA CASSAZIONE HA DETTO QUESTO, LA CASSAZIONE HA DETTO QUEST’ALTRO – II PARTE

Veniamo adesso a esaminare cosa la Suprema Corte di Cassazione scrive in merito all’allontanamento dei minori con prelievo coattivo, cosa che manda in brodo di giuggiole psicologi giuridici e servizi sociali.
Le parole che rendono possibile questo orrore sono due, “rischio evolutivo”.

Riporto dal mio libricino, L’alienazione parentale:

«Il rischio evolutivo.- Qui devo invocare le capacità divinatorie degli psicologi giuridici; e sì, perché per affermare con assoluta certezza che un bambino che rifiuta un genitore (per violenza in famiglia o abusi sessuali, intendiamoci) da adulto avrà disturbi psichici bisogna proprio essere in possesso di capacità divinatorie. Del tutto errate comunque, perché la ricerca scientifica ha già ampiamente dimostrato che il principale fattore di rischio per i vari disturbi mentali non è il rifiuto di un genitore ma è proprio l’esposizione alla violenza e agli abusi sessuali durante l’infanzia. Basta sfogliare un qualsiasi trattato di psichiatria per rendersene conto; ma forse è chiedere troppo agli psicologi giuridici. Addirittura un trattato di psichiatria, ma scherziamo? Ci perderebbero la testa.
E comunque senza scomodare i trattati di psichiatria, un giretto in rete consente facilmente di trovare scritti di Alice Miller ed estratti dei suoi libri nei quali dimostra proprio questo: criminalità e disturbi mentali sono l’espressione cifrata delle violenze e degli abusi sessuali subiti nell’infanzia

Ma non devo autocitarmi, devo riportare quanto scrive la Cassazione.

Ora, un bambino strappato con la forza dalle braccia di sua madre, catturato, sì proprio catturato, che piange, urla, si dispera, rinchiuso in una comunità per essere ‘resettato’, strappato ai suoi affetti, ai suoi giochi, ai suoi amichetti, ai suoi compagni di scuola, che traumi riporta?

Qualcuno ha mai valutato se l’allontanamento del minore dal genitore protettivo abbia dato luogo nel lungo periodo a quell’esito positivo che vuole la Cassazione? Credo proprio di no. Personalmente ho conoscenza di tanti bambini strappati al genitore protettivo, che guarda caso è quasi sempre la madre, i quali una volta giunti alla maggiore età se ne sono ritornati proprio dalla madre. Alcuni hanno persino cambiato il proprio cognome, cancellando quello dal padre e assumendo quello della madre. Quindi a che pro tutte le sofferenze che sono state loro inferte?

L’allontanamento coattivo è una misura non conforme ai principi dello Stato di diritto, scrive la Suprema Corte. Serve altro, ai cattura-bambini?

La condizione psicologica di questi bambini è analoga a quella dei prigionieri di guerra, e si chiama disturbo da stress post-traumatico.

Sull’ascolto del minore.

Il giudice ha quindi il preciso obbligo di ascoltare il minore, anche infradodicenne, pena nullità del procedimento. Né l’ascolto diretto del minore da parte del giudice può essere sostituito dalla CTU (e qui ne avrei di cose da dire, ma lascio parlare la Cassazione, che è molto più autorevole).
Naturalmente ascolto del minore vuol dire dargli voce, rispettare la sua volontà. Perché se lo si ascolta e poi si fa il contrario di quello che dice, come accade spesso, si vanifica proprio questo principio, ribadito dalla Cassazione.

E infine, una conclusione dalla logica stringente: se i minori non vengono ascoltati come si fa a dire se siano capaci o meno di discernimento?

Quindi su che basi vengono fatte le sentenze? Sulle fantasie insane dei CTU?

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LA CASSAZIONE HA DETTO QUESTO, LA CASSAZIONE HA DETTO QUEST’ALTRO – I PARTE

Come si scatenano i giuristi da tastiera quando la Suprema Corte emette Ordinanze che non vanno a genio alle associazioni di padri separati e agli psicologi giuridici. Si scatena l’esegesi degli incompetenti.
Dice, ma tu che stai scrivendo questo post sei forse più competente di loro? In materia giuridica certamente no, non intendo parlare di ciò che secondo me la Cassazione avrebbe detto con l’ordinanza n. 9691 del 24 marzo 2022, ma solo evidenziare alcuni dei punti, per me più significativi, di tale Ordinanza.
Poi, chi è capace di intendere intenda.

Per prima cosa leggo questo.
Quante sospensioni della responsabilità genitoriale di un genitore sono state effettuate dai tribunali, nei casi di rifiuto tenace dei figli di relazionarsi con l’altro genitore! Tutte illegittime, frutto di abuso di potere.

Poi quest’altro. Io leggo che il cosiddetto diritto alla bigenitorialità è innanzitutto un diritto del minore, di fronte al quale altri pretesi diritti decadono; quanto volte l’ho scritto nella mie CTP e quante altrettante volte i giudici hanno fatto il contrario!

Credo che i concetti espressi dalla Suprema Corte di Cassazione siano abbastanza chiari e non richiedano particolari interpretazioni da parte dei giuristi da tastiera.

La Suprema Corte delinea quindi un percorso valutativo ben preciso in ordine all’applicazione del principio del superiore interesse del minore.

Veniamo adesso all’alienazione parentale. È chiaro per tutti o lo devo ancora spiegare?

Che significa corollario? (significa madre malevola, alienante, allineata, simbiotica, istrionica, assorbente, ecc. Tutti concetti nazisti). Che significa illegittimo? Che significa fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori?

E questo scrive la Suprema Corte sull’abuso psicologico, di cui tanto si pascono gli psicologi giuridici senza nemmeno sapere di cosa stanno parlando.

E non è che sul concetto di abuso psicologico sia stato avaro di spiegazioni. Il problema è che certi somari non solo solo somari perchè non sanno ma anche perché rifiutano di imparare.

In conclusione? In conclusione credo sia ora di mettere da parte la psicologia giuridica che tanti danni ha fatto in questi circa 40 anni dalla sua fondazione e cominciare a fare i processi basati sui fatti e non sulle illazioni psicologiche, di psicologi ignoranti tra l’altro.

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