MATRIFOBIA

Il termine matrifobia non è proprio di conio recente; una ricerca sul web mostra che è già stato utilizzato con differenti accezioni.
Dalle mie ricerche, l’uso più remoto risale al 2006 nell’accezione di allergia al matrimonio. Ma in questo senso forse sarebbe più corretto il termine ‘matrimoniofobia’
L’ho poi ritrovato in un tweet del 2011, del sito in lingua spagnola “bioeticaweb”; purtroppo il link cui rimanda è muto, quindi non sappiamo in che accezione sia stato utilizzato.
Il termine compare anche in un libro dello scrittore peruviano Marco Aurelio De Negri dal titolo “Polimatía – Saber que abarca diversos conocimientos“, pubblicato nel 2014.


Infine, il termine matrifobia è stato usato, più recentemente, da Marina Terragni nel libro “Gli uomini ci rubano tutto“, pubblicato nel 2018. In questo libro il termine matrifobia sembra essere utilizzato sia per indicare una sorta di timore per la maternità (forse sarebbe stato più indicato, in questa accezione, il termine maternofobia) sia per indicare l’odio verso la donna-madre.

Ritengo di proporre il termine ‘matrifobia‘ per indicare l’atteggiamento di singoli e gruppi, anche istituzionali, di odio verso la donna-madre, che si aggiunge alla sempre più dilagante misoginia.
Odio verso le madri, discriminazione psico-sociale, ma anche giudiziaria, che vede le madri sempre più discriminate nelle vicende del diritto di famiglia, additate come malevoli, manipolatrici, alienanti, ritenute pre-giudizialmente incapaci sul piano genitoriale pure quando la realtà, e cioè la crescita e lo sviluppo armonico dei figli, dimostra esattamente il contrario.

Una latinista interpellata per un parere ci ha fornito la seguente risposta: «Trattandosi di un neologismo, le alternative sono tante e tutte meritevoli di attenzione, ma l’opzione matrifobia (o madrifobia) sembra la più promettente in termini di ricezione e sopravvivenza. In merito all’ipotesi di un neologismo alternativo, di derivazione greca, volto a esprimere un sentimento di odio più rimarcato, sul modello di forme cristallizzate come “misantropia” e “misoginia” (“misomatria”? “misometria”?, termini meno immediati) sarebbe interessante formulare il quesito all’Accademia della Crusca».

È in atto un attacco alla donna in quanto madre; ovvero datrice/donatrice di vita. E c’è molto in questa matrifobia – odio contro le madri – del rapporto non risolto con la propria madre, reale o fantasmatica; sia da parte di uomini sia da parte di donne. E più di recente, e questa è la novità, l’odio contro la donna madre vede aggregarsi i più feroci misogini con il variegato mondo dei confusi sul proprio genere, anche esponenti del mondo LGBT, pro-GPA, pro-prostituzione, ecc.; espressione di un vero e proprio istinto di morte. Può l’umanità sopravvivere se si sopprimono, sia pure figuratamente, le madri?

E non è un luogo comune il richiamo all’eros/thanatos di Freud. Cioè la pulsione di morte che cerca di sopraffare la pulsione di vita.

… Venere datrice di vita, che sotto i corsi celesti degli astri dovunque avvivi della tua presenza …” (Lucrezio).

Questo viene invidiato alla donna madre.
E se si parla di invidia non si può non chiamare in causa Melanie Klein, psicanalista austriaca allieva di Sándor Ferenczi e di Karl Abraham che con maggiore competenza di Freud ha esplorato le primissime fasi dello sviluppo infantile e descritto il potere distruttivo dell’invidia irrisolta. La Klein collega questa pulsione alla posizione schizo-paranoide del bambino. Nel suo testo “Invidia e gratitudine” la Klein scrive: “L’invidia è un sentimento di rabbia perché un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode … l’invidioso soffre della gioia altrui e si sente a suo agio soltanto vedendo gli altri soffrire“.


Secondo Hanna Segal, psicanalista inglese di origine polacca, allieva della Klein, l’invidia “può essere considerata come la più precoce esternalizzazione diretta dell’istinto di morte“.

Praticamente, la società occidentale sta regredendo alla posizione schizo-paranoide del bambino nei suoi primi mesi di vita. E l’istinto di morte sta prevalendo sull’istinto di vita.

Il concetto di “matrifobia” non può poi prescindere dal suo aspetto politico. Si insinua nelle maglie della rete giuridica, laddove viene utilizzato dalle istituzioni come strumento di tortura psicologica da infliggere alle madri, perché fuori dai tribunali le lobbies politiche chiedono questo: delegittimare la Madre, toglierle potere, per favorire gli interessi dei più forti.

Dell’odio verso le madri non ne parla nessuno in Italia, tanto meno il ddl Zan di prossima discussione parlamentare. Dal testo del suddetto si evince come unica preoccupazione quella di difendere principalmente i diritti dei trans, pur violando la libertà delle donne di autodefinirsi tali, impedendo loro di differenziarsi per identità biologica, emotiva e culturale sia dagli uomini sia dai transgender senza per questo venir tacciate di transfobia. Le donne, e le madri in particolare, sono il bersaglio principale dell’odio misogino da parte della comunità transgender, sostenitrice da sempre della maternità surrogata.

Per citare Martin Luther King: “La tua libertà finisce dove inizia quella degli altri“.

Con la collaborazione di Anna Consoli

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