La domanda mi è venuta spontanea, come si suol dire, leggendo e ascoltando alcune esternazioni di coloro che si auto-definiscono psicologi giuridici. Hanno creato siti internet, blog, fondazioni, corsi di alta formazione, ecc, tutti ossessivamente declamanti la medesima giaculatoria: “L’alienazione parentale esiste”.

Ora, è questione di psicologia spicciola, questo reiterato reclamizzare, quasi una monomania delirante, la giaculatoria di cui sopra ha più l’aria di convincere se stessi prima di convincere gli altri su quello che vanno sostenendo.

Non solo; ci lasciano capire, in questo modo, che la psicologia giuridica trova la sua ragione di essere soltanto nell’esistenza della cosiddetta alienazione parentale, ex-PAS, e che senza di essa anche la psicologia giuridica cesserebbe di esistere.

La psicologia giuridica è quindi stata fondata alcuni anni fa solo per propagandare la PAS, (sindrome di alienazione genitoriale), ora alienazione parentale, e non per altri nobili scopi; dopo che la PAS è stata dichiarata priva di validità scientifica dal Ministro della Salute, per non correre il rischio di estinguersi la psicologia giuridica si è abbarbicata su questa nuova invenzione, l’alienazione parentale.

L’operazione PAS/alienazione parentale somiglia molto a quelle operazioni commerciali in cui un’autorità sanitaria dispone il divieto di vendita di un prodotto perché adulterato; il produttore lo ritira dal commercio e poi lo rimette in vendita cambiando solo l’etichetta. In casi del genere si parla di truffa, di frode commerciale. Nel caso che c’interessa potremmo parlare di truffa, di frode scientifica?

Per non correre il rischio di essere nuovamente smentiti a livello scientifico ne affermano ora l’esistenza a prescindere; un po’ come la scie chimiche, esistono, basta crederci e chi non ci crede è un complottista, o, come si esprimono loro, un negazionista dell’alienazione parentale.

Il termine ‘negazionismo’ ha un chiaro riferimento alla shoah e cioè a un fatto storico drammatico, l’olocausto degli ebrei a opera del nazismo; il suo uso perverso da parte dei sostenitori dell’alienazione parentale, dimostra l’assoluta mancanza di sensibilità umana, e di capacità di ragionamento logico, di questi soggetti poiché anche nell’ipotesi di reale e concreto condizionamento di un bambino a opera di un genitore, ci troveremmo, nel singolo caso giudiziario, di fronte a un reato, il maltrattamento psicologico del minore (art. 572 CP) e non a un fatto storico verso il quale vi possano essere posizioni negazioniste.

Reato che, come tutti i reati previsti dal codice penale, necessita, perché se ne affermi l’esistenza in quello specifico caso giudiziario, di prove concrete e incontrovertibili, al di là di ogni ragionevole dubbio, e non di petizioni di principio.

Difatti, un conto è affermare che i reati (es. furto, rapina, omicidio) esistono, altro conto è dimostrarlo nello specifico caso giudiziario. Così, un conto è affermare che un condizionamento psicologico di un figlio è possibile, altro è dimostrarlo nel processo. Credo che nessun giudice condannerebbe una persona senza la prova che quella persona sia responsabile del fatto-reato che le viene imputato.

Naturalmente, loro assumono quale prova dell’avvenuto condizionamento il rifiuto che talvolta alcuni figli mostrano verso la relazione con un genitore; e qui dimostrano ancora una volta, la loro scarsa capacità di ragionare logicamente, oppure la loro clamorosa malafede.

Il rifiuto può essere la conseguenza di un condizionamento psicologico ma non è la sua prova, la sua dimostrazione; questo tipo di ragionamento, quello cioè di invertire i termini logici del discorso, di ritenere la conseguenza di un fatto come prova di quel fatto, somiglia molto al tipico ragionamento dei deliranti che assumono l’identità di due proposizioni sulla base dell’identità dei predicati e non dei soggetti.

Un tipico esempio è il seguente:

Io sono un uomo;
Napoleone è un uomo;
io sono Napoleone.

È chiaro a tutti noi che le due proposizioni (‘io sono un uomo’ e ‘Napoleone è un uomo’) sono differenti perché differente ne è il soggetto; il predicato però è il medesimo (‘un uomo’). Nel delirio, ma anche nel sogno, nel pensiero pre-logico dei bambini, nell’inconscio, le due proposizioni vengono assunte come identiche sulla base dell’identità del predicato, e così uno si convince di essere Napoleone.

Nel caso della cosiddetta alienazione parentale il ragionamento che gli psicologi giuridici (non so quanto consapevolmente e quanto in malafede), e i padri separati (questi ultimi in sicura malafede) fanno è il seguente:

Il figlio rifiuta il padre;
il rifiuto è la prova del condizionamento;
chi ha condizionato il figlio è la madre.

Un’azione (l’atto del rifiutare) che può essere la conseguenza di un fatto (il presunto condizionamento) viene assunta come prova del fatto stesso; l’errore logico, il corto circuito logico, è quello di scambiare la conseguenza per la prova.

Un ragionamento corretto, sotto il profilo logico è invece il seguente:

Il bambino rifiuta il padre;
il rifiuto può essere la conseguenza di un condizionamento psicologico
ma può essere anche la conseguenza dei comportamenti del padre.
Abbiamo elementi concreti che dimostrino il condizionamento?
Abbiamo elementi concreti che dimostrino che il padre
ha dei comportamenti incongrui verso il figlio
che portano quest’ultimo a rifiutarlo?

L’analisi da svolgere nella eventuale CTU è proprio di questo tipo, un’analisi causale, per riprendere una sentenza della Suprema Corte di Cassazione, spesso citata a sproposito dai professionisti che sostengono l’alienazione parentale (cosiddetta sentenza Cozzini); in quella sentenza i Giudici della Cassazione hanno ribadito il principio giuridico, oltre che logico, per il quale un evento trova la sua motivazione in una molteplicità di cause.

Dico eventuale CTU perché se i giudici si attenessero a quelli che sono principi giuridici consolidati, nei casi di rifiuto non ci sarebbe bisogno di disporre alcuna CTU; si tratta di questioni giuridiche da risolvere, magari complesse, ma sempre di natura giuridica e non psicologica. Accertare i fatti è compito della Giustizia, non della Psicologia sia pure giuridica.

In questi anni la psicologia giuridica non ha fatto altro che falsificare la realtà, dapprima enfatizzando come scientifica una presunta malattia (la PAS) che scientifica non era (e non lo dico io ma, autorevolmente, lo ha dichiarato il Ministro della Salute nel 2012); poi manipolando l’informazione con l’affermare che non più di PAS si doveva parlare ma di alienazione parentale, lasciando però inalterata la sostanza della questione; poi dicendo che anche se l’alienazione parentale non è descritta nel DSM-5 vi è presente sotto forma di spirito; poi affermando che è distribuita nel DSM-5 tra varie categorie diagnostiche; poi “ma chi se ne frega del DSM-5”.

Ma la Giustizia ha bisogno di questa Psicologia?

Una psicologia alla quale difetta proprio il logos, e cioè il pensiero razionale, la capacità di ragionare in base alla logica.

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