(e forse dell’intera regione Puglia)
Per lunghi decenni la psichiatria salentina è stata rappresentata da una grossa struttura manicomiale, l’Ospedale Psichiatrico Interprovinciale Salentino (OPIS), che ricoverava i pazienti provenienti dalle tre province salentine; nato nei primi anni del 1900 come Manicomio provinciale di Terra d’Otranto, sulla scorta della legge sui manicomi varata nel 1906, venne istituito dall’allora Provincia di Terra d’Otranto e mantenne la sua unitarietà anche quando, nel 1923, la Provincia di Terra d’Otranto venne smembrata nelle attuali tre Province autonome di Brindisi, Lecce e Taranto.
Risale a quegli anni il primo attacco delle istituzioni politiche locali ai diritti delle persone con disturbi psichici; il manicomio perse allora la sua caratteristica tipologica di Ente pubblico per acquisire il carattere privatistico proprio di un’istituzione che vive di vita propria, sganciata dagli interessi della comunità locale. Il manicomio di Terra d’Otranto si trasformò infatti nel Consorzio OPIS, con un suo Consiglio di amministrazione che non coincideva più con il Consiglio provinciale, espressione della volontà popolare liberamente espressa in elezioni democratiche.
Questo ‘peccato originale’ della psichiatria salentina si è poi riverberato a cascata sugli eventi futuri determinando quell’arretratezza culturale che caratterizza ancor oggi le istituzioni psichiatriche della nostra Provincia.
Il Consorzio OPIS, difatti, cominciò a operare perseguendo i suoi fini istituzionali, certo, ma che non coincidevano più con quelli dell’Istituzione Provincia, dalla quale pur dipendeva; fu così che si addivenne, con notevole ritardo rispetto alla legge istitutiva, alla creazione del Servizio di Igiene Mentale Provinciale (SIM)1; non solo si registrò un ritardo quasi decennale rispetto alla legge ma si verificò il paradosso dei paradossi.
I SIM provinciali, difatti, in tutta Italia venivano istituiti dalle Amminiostrazioni Provinciali, con l’obiettivo di svolgere nel territorio l’assistenza ai pazienti psichiatrici riducendo così il ricorso all’ospedalizzazione indiscriminata, riducendo così la spesa per l’assistenza psichiatrica, o comunque in parte riconvertirla, da spesa meramente manicomiale a spesa anche territoriale; la Provincia di Lecce, che aveva già delegato al Consorzio OPIS l’assistenza psichiatrica ospedaliera, pensò bene di delegarvi anche quella territoriale. Per via di questa delega il SIM provinciale venne istituito dal Consorzio OPIS, e cioè dalla medesima istituzione con la quale il SIM, per mandato istituzionale si poneva in antagonismo.
Tipica situazione edipica, direbbe qualcuno, nella quale un padre (il consorzio OPIS) mette al mondo un figlio (il SIM) destinato, se non proprio a soppiantarlo – i tempi non erano ancora maturi -, perlomeno a ridimensionare il suo ruolo nell’assistenza psichiatrica; e un Edipo non sufficientemente elaborato porta sempre dei danni, come c’insegna certa psicanalisi.
Giungeva in fretta il 1978 con la sua Legge n° 180 e con la successiva Riforma sanitaria che istituiva le Unità Sanitarie Locali (USL); il SIM provinciale venne smembrato nei, dapprima, 10 e poi tredici Centri di igiene mentale (CIM) di ciascuna USL ma per fortuna non perse il patrimonio, sia pur ancora nascente, di cultura ed esperienza accumulato nell’assistenza psichiatrica territoriale.
Nella fase di transizione tra il vecchio modello manicomiale e il nuovo modello territoriale, un grosso impulso alla realizzazione della riforma veniva dalle Amministrazioni provinciali che trovavano le loro convenienze, sia economiche (il modello territoriale ha costi minori rispetto a quello ospedaliero) sia politiche visto che decentrava nel territorio attività e personale sino ad allora concentrato nell’istituzione manicomiale; ma l’Amministrazione provinciale di Lecce aveva delegato, o se si vuole, appaltato, l’assistenza psichiatrica territoriale al Consorzio OPIS, ente pubblico che operava secondo logiche privatistiche.
Il primo direttore del SIM provinciale è stato il compianto prof. Rodolfo Belsanti, Vice-presidente della Lega di Igiene Mentale. Il prof. Belsanti, pur con la drammatica carenza di organico (un solo psichiatra per ciascun CIM) diede notevole impulso alla territorializzazione dell’assistenza psichiatrica e stimolò i CIM alla creazione delle prime strutture intermedie, che in effetti videro la luce negli anni ’80 e accolsero pazienti dimessi dall’ospedale psichiatrico.
Il pensionamento del prof. Belsanti e l’arrivo al SIM, nel frattempo divenuto DSM (Dipartimento di salute mentale) di direttori poco avvezzi all’assistenza territoriale dei pazienti con disturbi mentali ha non solo frenato il processo di territorializzazione ma addirittura provocato, sopratttutto nei tempi più recenti, un’inversione del processo di territorializzazione dell’assistenza psichiatrica.
La carenza di strutture intermedie a gestione diretta del DSM ha portato alla proliferazione di una miriade di comunità residenziali psichiatriche e quindi all’incremento della istituzionalizzazione dei pazienti psichiatrici sino a numeri pre-180.
Di questo processo involutivo ha dato atto il CSV Salento con una sua pubblicazione dal titolo emblematico: “Psichiatria, 180 passi indietro”2.
A mero titolo di esempio, il solo CIM di Lecce, rinominato CSM (ma non è certo il cambio del nome che può cambiare la sostanza), nel 2001 contava circa 20 pazienti inseriti in comunità residenziali, nel 2013 è giunto a inserirne circa un centinaio.
Questo incremento si comprenderebbe laddove ci fosse stato un parallelo aumento della frequenza nella popolazione di patologie mentali gravi; ma così non è, tant’è vero che i nuovi casi di schizofrenia si contano ormai col lanternino.
E allora come spiegare tutto questo?
Con il venir meno dell’assistenza psichiatrica nel territorio, ovvero, come si scriveva negli anni ’70, “nel luogo di realtà ove con consuetudine si svolge l’individualità umana normale o malata”.
Compito istituzionale dei CIM/CSM è quello di assicurare l’assistenza ai pazienti psichiatrici nel territorio, nelle loro case, nei luoghi di svago, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, ecc. Senza un concreto impegno in attività di assistenza domiciliare, da svolgere all’esterno della sede del CSM, nel territorio dove i pazienti vivono, si ritorna inevitabilmente all’istituzionalizzazione, alla creazione di luoghi speciali e separati ove le persone con disturbi mentali trascorrono la loro intera esistenza; si ricrea l’apartheid psichiatrico, tipico delle istituzioni manicomiali del passato ma tuttora attuale anche se le nuove istituzioni si chiamano comunità residenziali o semiresidenziali, centri diurni, laboratori protetti, ecc.
Il paziente si ritrova a girare sempre sulla stessa giostra dell’istituzionalizzazione, magari più sofisticata, più tecnologica, ma sempre dentro il recinto del circuito assistenziale psichiatrico. E a fine giro, quando i tecnici decidono che non è più riabilitabile si ritrova in un altro circuito, quello delle strutture socio-assistenziali, dove costa meno alle ASL, anzi deve pagare lui stesso per poterci restare.
Deriva da qui l’inutilità di una psichiatria, quella pubblica, che si mostra sempre più incapace di svolgere il proprio mandato istituzionale, incapace di assicurare ai pazienti psichiatrici una dignitosa esistenza nel loro domicilio, riducendo il ricorso alla ospedalizzazione e alla istituzionalizzazione prolungata. Una psichiatria sempre più autoreferenziale e parassitaria, che ha dei costi sempre maggiori per un’assistenza sempre peggiore. Una sorta di moloch che fagocita persone ed espelle relitti umani.
1La legge che istituiva i Servizi di Igiene Mentale Provinciali, la Legge Mariotti, è del 1968, ma è solo nel 1975 che il Consorzio OPIS istituisce il SIM della provincia di Lecce.
2CSVS: Visti da noi . Lo sguardo del volontariato sui bisogni del territorio. Redazione Volontariato Salento, 2011.