LA RESPONSABILITÀ DELLE VITTIME

Nel 1969 una bomba venne fatta esplodere in una banca milanese, ammazzando 18 persone.

Gli innumerevoli processi, forse non ancora terminati, si sono concentrati “solo sulle vittime senza mai guardare, con rispetto, se (avessero) qualche responsabilità“.

Nel 1992 sull’autostrada che dall’aeroporto di Capaci porta a Palermo, venne fatta esplodere una bomba che uccise cinque persone. Anche in questo caso i processi si sono concentrati “solo sulle vittime senza mai guardare, con rispetto, se (avessero) qualche responsabilità“.

E si potrebbe continuare con questa solfa all’infinito.

Chiaramente, questo modo perverso di ragionare suscita semplicemente orrore in chi legge.

Ma c’è un campo in cui si ragiona esattamente in questo modo senza suscitare orrore alcuno in chi legge, anzi si raccolgono consensi che si sa che verranno raccolti proprio con articoli spazzatura di quel tipo. Ma chi può aderire a una narrazione così perversa dei fatti criminali?

Il campo cui mi riferisco è quello della violenza contro le donne e dei femminicidi; e l’articolo cui mi riferisco è quello pubblicato il 9 giugno da un giornale italiano, la cui qualifica, quale organo … di stampa, lascio alla sensibilità di chi legge questo post.

C’è scritto esattamente questo.

Su giornali e giornalismo rimane sempre valido questo passo, tratto da un autore il cui nome è ancora interdetto.

«Quanti servi che non parlano ci sono nel giornalismo! Noi non siamo esseri che vivono nella vita. Noi siamo sul margine della vita; dobbiamo sostenere un’opinione che non abbiamo, e imporla al pubblico; trattare questioni che non conosciamo, e volgarizzarle per la platea; noi non possiamo avere un’idea nostra; dobbiamo avere quella del direttore del giornale; ma nemmeno il direttore del massimo giornale ha il diritto di pensare col suo cervello, perché quando è chiamato dal consiglio di amministrazione deve soffocare la sua opinione, quando ce l’ha, e sostenere quella degli azionisti…».

Evidentemente …

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