IL PROBLEMA RELAZIONALE (ANCORA) – A quelli che si masturbano sulle pagine del DSM-5.

Mi si perdoni la scivolata un po’ scabrosa, per così dire, ma se nonostante le evidenze c’è gente che continua a mistificare i testi scientifici, vuol dire che si tratta di masturbatori incalliti; e non è gente qualunque, si tratta di psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili.
Naturalmente della questione me ne sono già occupato negli anni scorsi, ma evidentememte alcuni hanno bisogno di un richiamo ogni tot anni.

La questione fondamentale è questa: il problema relazionale esiste tra il bambino e il genitore da lui amato o tra il bambino e il genitore rifiutato?
Rispondano a questa domanda; alla quale non hanno mai dato risposta. Perché, è chiaro, è una domanda che li mette con le spalle al muro, che richiede una risposta secca.
Per semplicità, perché alle menti semplici bisogna dare spiegazioni ancora più semplici, lo rispiego.

Prendiamo, come nell’immagine a lato, un genitore A, un genitore B e uno o più figli C.
I figli esprimono il rifiuto verso il genitore A; quindi il problema relazionale esiste tra i figli e il genitore A, e non tra i figli e il genitore B.

(Tra parentesi: l’immagine risale al 2011; avevamo le idee ben chiare sin da allora, ma certuni non le hanno ancora oggi).
Naturalmente alla domanda di cui sopra loro risponderanno, contro ogni logica, che il problema relazionale c’è tra il bambino e il genitore amato, (il genitore B della figura), si chiama alienazione parentale ed è la causa del rifiuto.
Ma se i “sentimenti non giustificati di alienazione” (uno dei ‘sintomi’ diciamo così del problema relazionale) sono rivolti dal bambino verso il genitore rifiutato, il DSM-5, correttamente applicato, ci dice che il problema relazionale esiste tra il bambino e il genitore rifiutato. Ma c’è di più; all’epoca di quello scritto non ci avevo fatto caso.
Nella versione originale inglese del DSM-5 la parola ‘estrangement‘ è utilizzata due volte.
Una prima volta nel capitolo dei disturbi da stress post-traumatico, ed è tradotta nella versione italiana con ‘sentimenti di estraneità’ (pag. 315, Criterio diagnostico D6).
Una seconda volta nel capitolo dei problemi relazionali ma in italiano viene invece tradotto con alienazione. Qualcuno ha giocato sporco, secondo me.

Naturalmente segnalai la cosa al responsabile per l’edizione italiana del DSM-5, e questa, la mail a lato, fu la sua risposta.

Ho oscurato il nome perché la mail è privata e non mi va di coinvolgere uno dei massimi psichiatri italiani in queste polemiche da pollaio degli psicologi giuridici (a Bari diciamo ‘galline spatriate’, cioè quelle galline che corrono su e giù per il pollaio, senza un fine preciso).

E vuoi vedere, per chiudere, che quella parola estrangement, che hanno utilizzato nel DDL Pillon e della quale si sono innamorati, significa in pratica che se il bambino manifesta sentimenti di estraneità verso un genitore vuol dire che quel genitore gli ha provocato un trauma e che il bambino ha un disturbo da stress post-traumatico?
Ragazzi, mi rivolgo a loro, il DSM-5 non è la smorfia napoletana dei numeri del lotto, quelli che date voi sfrucugliando tra le sue pagine, ma è un testo scientifico sul quale bisogna buttare il sangue prima di poterne discutere.

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