Archivio della categoria: Trauma infantile

«NON È UNA SINDROME MA UN FENOMENO»

Ciance che fumigano nel web.

Lo stesso professionista, a meno che non si tratti di un suo sosia, in una recente (2019) vicenda giudiziaria, ha avallato la diagnosi di PAS, ovvero sindrome di alienazione genitoriale, addirittura, fatta dal CTU a una bambina di 11 anni.

In breve: la bambina rifiuta la relazione con il padre; pur essendovi agli atti testimonianze documentali (relazioni dei servizi sociali) che provano i motivi del rifiuto, il tribunale dispone ugualmente la CTU.
La madre incarica come proprio consulente di parte il professionista del fenomeno, pensando così di venire meglio tutelata, ma che soprattuto venga tutelata la figlioletta, visto che si tratta di un neuropsichiatra infantile.
La CTU si traduce in un autentico disastro, la bambina viene sottrata alla madre e collocata dal padre, sulla base, appunto della diagnosi di PAS fatta dal CTU e avallata dal CTP della madre.

La madre ricorre in Appello avverso questa sentenza e mi chiede un parere tecnico sulla CTU; lo trovate qui. In Appello la sentenza di primo grado viene riformata e la bambina è stata nuovamente collocata dalla madre. La vicenda, in sintesi, è riportata qui.

Che dire? Vizi privati e pubbliche virtù. Si ciancia di fenomeno sui social ma poi in sede di CTU ecco che ritorna la tanto amata, dagli psicologi giuridici, PAS o alienazione parentale, o madre malevola, ecc. ecc.

Ma poi fenomeno de che?
Non dico competenza professionale, ma almeno la lingua italiana. Fenomeno è ciò che si osserva, si vede, si tocca, si sente, “ciò che appare, che è conoscibile attraverso i sensi, e che può non corrispondere alla realtà oggettiva“, Treccani).

Ciò che si osserva in alcune vicende separative, il fenomeno, è il rifiuto dei figli di frequentare, di relazionarsi con un genitore. PAS o alienazione parentale, o altro, è il nome che gli psicologi giuridici danno alla presunta causa del rifiuto, e cioè la presunta manipolazione psicologica da parte di un genitore per indurre il bambino a rifiutare l’altro genitore (ovvero il plagio del bambino).
Scambiare la presunta spiegazione di un fenomeno per il fenomeno in sé denota precarie capacità logiche.

Se poi il livello è quello degli influssi malefici (nefasti li chiama), bè, allora chiamate l’esorcista invece del CTU, i risultati saranno senz’altro migliori.

Influssi nefasti che ovviamente sono emanati solo dalle madri, ma non da tutte le madri solo da quelle separate; e nemmeno da tutte le madri separate, ma solo da quelle i cui figli rifiutano di frerquentare il padre, da loro accusato di violenza, o addirittura di abusi sessuali.

Meglio una seduta spiritica, a questo punto, di una CTU surreale. Sarebbe più seria.

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L’EMDR È UNA TECNICA PARAIPNOTICA?

Si tratta dell’affermazione fatta da un professionista, neuropsichiatra infantile nonché psichiatra, in un recente video.
Non saprei se si tratti di ignoranza o malafede; comunque è una grossa sciocchezza.
Un video che spiega bene cos’è l’EMDR è a questo link.

Nel 2009 ho partecipato a Milano al corso di formazione nella terapia EMDR, primo livello, condotto da Roger Solomon e Isabel Fernandez, poiché interessato a saperne di più di questa metodica; seguivo infatti i dibattiti sull’EMDR che si svolgevano sulle mailing list psichiatriche, Psichiatryonline e Psychomedia.
Su quest’ultima mailing list, in particolare, si svolse nel 2000 un interessantissimo dibattito con la partecipazione di professionisti di alto livello nel campo della psicoterapia (Paolo Migone, Tullio Carere, e altri), che ovviamente ho archiviato sul pc.

La psichiatria non ha molti strumenti per curare i disturbi da stress post-traumatico (PTSD); gli ansiolitici possono attenuare l’ansia ma non sempre sono efficaci e poi c’è la grossa incognita della dipendenza; gli antidepressivi sono indicati in alcuni casi ma non risolvono il problema. Mi interessava quindi conoscere meglio la tecnica EMDR, non per divenire io stesso terapeuta EMDR ma per poter meglio consigliare i miei pazienti con PTSD e indirizzarli verso una terapia efficace.

EMDR significa Eye Movement Desensitization and Reprocessing, tradotto in italiano come Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti oculari (Shapiro F, EMDR, McGraw-Hill). L’ipnosi non c’entra nulla, il paziente non viene ipnotizzato né gli vengono fornite suggestioni post-ipnotiche; mi sono sottoposto a un percorso di ipnosi, per conoscerla meglio, oltre la lettura dei testi di Milton Erickson, quindi so di cosa sto parlando.

Bessel van der Kolk è il fondatore e direttore medico della Trauma Research Foundation a Brookline, nel Massachusetts ed è anche professore di psichiatria alla Boston University Medical School; qui una sua recente intervista.
Nel 2015 è stato pubblicato in Italia il suo libro, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, che è rapidamente divenuto un best-seller. Van der Kolk è il maggiore esperto sul trauma a livello mondiale; un professionista della salute mentale non può ignorare i suoi studi e le sue ricerche.

Nel capitolo 15 del suo libro, alla pag. 285, van der Kolk parla del trattamento del PTSD con la tecnica dell’EMDR, illustrando alcuni dei suoi casi clinici; formula alcune ipotesi sul meccansismo di azione dell’EMDR e riporta alcuni dati delle sue ricerche.

Pazienti trattati con l’EMDR mostrano alle indagini di neuroimaging (SPECT) l’attivazione del lobo pre-frontale (preposto allo svolgimento dei processi cognitivi e alla regolazione del comportamento), del giro cingolato anteriore (area cerebrale dalle funzioni molto complesse, tra cui il coordinamento sensitivo-emozionale, attenzione esecutiva, ecc) e dei gangli della base (strutture poste alla base del cervello nella parte superiore del mesencefalo, che controllano aspetti attentivi, emozionali e motivazionali dell’attività motoria, oltre che presiedere al controllo dei movimenti volontari).

Interessante è la somiglianza dei movimenti oculari rapidi alternati della tecnica EMDR con i movimenti oculari rapidi della fase di sonno REM; naturalmente la similitudine finisce qui, si possono solo formulare ipotesi, da verificare quando gli strumenti di studio lo consentiranno; come quella, ad es., di una sorta di ri-allocazione delle memorie traumatiche dalla memoria di lavoro agli archivi della memoria remota, ecc. Ma poiché, soprattutto nei bambini, l’efficacia dell’EMDR si ottiene con le stimolazioni tattili alternate destra/sinistra più che con i movimenti oculari, devono essere in gioco altri meccanismi per ora poco indagati e poco indagabili.

In sperimentazioni controllate, l’EMDR si è dimostrato più efficace del placebo ma anche più efficace dei trattamenti farmacologici; nei gruppi EMDR il miglioramento riguardava un paziente su quattro mentre nei gruppi con psicofarmaci il miglioramento era di un paziente su dieci. Ma soprattutto, mentre i pazienti migliorati con i farmaci presentavano una ricaduta a distanza di tempo, i pazienti migliorati con l’EMDR non presentavano ricadute a distanza di tempo, tanto da poter parlare di guarigione.

Questi lusinghieri risultati hanno portato l’amministrazione USA dei veterani di guerra (Department of Veteran Affairs) ad autorizzare la terapia con la tecnica EMDR per il trattamento del PTSD.
Sostenere quindi che l’EMDR sarebbe una tecnica paraipnotica è una grossa sciocchezza che denota ignoranza della psichiatria, mancata conoscenza degli studi più recenti sul trauma e incapacità di affrontare terapeuticamente le conseguenze di traumi come l’abuso sessuale nell’infanzia.

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NEUROSCIENZE (?) IN TRIBUNALE

Il riferimento è alle metodiche cosiddette di svelamento della menzogna, alcune delle quali conosciute come macchina della verità.
Corre l’obbligo, preliminarmente, di precisare che queste cosiddette metodiche, dette anche di lie detection, non hanno nulla di scentifico ma, riprendendo il titolo di un articolo del 2007, si tratta, puramente e semplicemente, di ciarlatanerie.

Riporto brevemente dall’abstract: «Un rivelatore di bugie che può rivelare la menzogna e l’inganno, in qualche modo automatico e perfettamente affidabile, è una vecchia idea che abbiamo spesso incontrato nei libri di fantascienza e fumetti. Tutto questo va molto bene. È quando le macchine che si affermano essere rilevatori di bugie appaiono nel contesto di indagini penali o applicazioni di sicurezza che dobbiamo essere preoccupati

E tra le conclusioni scrivono: «Ciarlataneria, frode, pregiudizio e superstizione sono sempre stati con noi. Se guardiamo indietro nella storia e lo confrontiamo con quello che vediamo oggi c’è poco che ci dà la speranza che il progresso nella scienza diminuisca la quantità di sciocchezze superstiziose che vediamo intorno a noi. L’astrologia, per esempio, sembra essere più popolare che mai e totalmente inalterata nonostante le tante volte che gli astronomi spieghino che è una completa assurdità. Siamo quindi un po’ pessimisti circa la possibilità di rimuovere efficientemente il ciarlatanismo della scienza dal linguaggio forense

Chi ne ha voglia si legga tutto l’articolo.

Oggetto di questo post è una di queste metodiche, alla quale ha dato ampio risalto il quotidiano Avvenire del 30 luglio 2020.

Come si legge, tale metodica si chiama aIAT.
Ho incrociato per la prima volta questo test nel 2011, nel corso di una CTU per l’affidamento di una bambina che rifiutava il padre accusandolo di abusi sessuali; la vicenda penale era stata archiviata grazie anche a questo test che aveva rilevato quanto segue, riporto letteralmente dalla perizia di parte: «Ciò consente di ecludere, nel cervello del sig. xxx, la presenza di una traccia mnestica legata all’evento ABUSO
La bambina però era credibile e il padre nel corso della CTU si lasciò sfuggire una frase che nella sostanza confermava gli abusi sessuali; la bambina era stata giudicata non attendibile sulla base della bufala dell’amnesia infantile, concetto già da me smentito. Questo mi insospettì e perciò approfondii la faccenda.

Il test aIAT deriva da una metodica messa a punto negli USA che si chiama IAT (Implicit Association Test). Si tratta di un test utilizzato in psicologia sociale, per indagare pregiudizi impliciti di genere, di razza, ecc. Qui si può leggere qualcosa di più.
Il test aIAT (autobiographic Implicit Association Test) presume di poter svelare se il soggetto testato sta dicendo la verità oppure sta mentendo, in relazione a determinati fatti.

Senza portarla per le lunghe, riporto dal testo L’alienazione parentale nelle aule giudiziarie, a cura di Cassano G, Corder P e Grimaldi I, Edizioni Maggioli: «La critica più pregnante a questo test viene dal contesto giudiziario, per la precisione da una memoria dei PM nel corso del processo Franzoni; il passo si trova alla pag. 37 del documento citato, nota 56. Si tratta di una vera e propria pietra tombale posta dai magistrati circa l’uso giudiziario del test aIAT, finalizzato a scagionare l’imputato dalle accuse; la falsa scienza non può trovare posto in tribunale

Scrissero infatti i giudici:
«Nella propria memoria i PM,dopo aver ricordato che lo IAT è un formato procedurale di indagine cognitiva (ossia un contenitore) utilizzabile per indagare diversi tipi di concetti psicologi e che ad Annamaria FRANZONI era stata somministrata una nuova applicazione dello IAT, ideata nel 2008 proprio da Sartori, denominata a‐IAT autobiographical IAT) o f‐IAT (forensic IAT), contestavano che la validazione scientifica dello IAT potesse automaticamente essere estesa alla versione ideata da Sartori e, comunque, la possibilità di utilizzo dello IAT in ambito forense, citando anche le obiezioni formulate da una ricercatrice, Valentina Prati, già allieva di Sartori, relative alla facilità di falsificazione dei dati da parte di un utente istruito

La D.ssa Valentina Prati è coautrice di un articolo che porta una critica radicale proprio all’affidabilità del test aIAT.

Ecco l’abstract: «Il test autobiografico Implicit Association Test (aIAT) è stato recentemente introdotto in questa rivista come un nuovo e promettente strumento di rilevamento delle bugie. La relazione iniziale ha rilevato una precisione nel determinare quale dei due eventi autobiografici fosse vera. È stato suggerito che l’aIAT, a differenza di altri test di rilevamento delle bugie, è resistente ai tentativi di ingannarlo. Abbiamo indagato se i partecipanti possono modificare strategicamente le loro prestazioni sull’aIAT. L’esperimento 1 ha dimostrato che i partecipanti colpevoli di un finto furto sono stati in grado di ottenere un risultato di prova innocente. Altri due esperimenti hanno dimostrato che i partecipanti colpevoli possono falsificare l’aIAT senza precedenti esperienza con l’aIATand quando viene fissata una scadenza di risposta. L’aIAT è soggetto alle stesse carenze di altri test di rilevamento delle bugie

Nella sostanza, e semplificando, il test, computerizzato, propone al soggetto una serie di domande, alcune assolutamente vere (es. dati anagrafici) e altre che possono essere vere ma possono essere false. La presunzione alla base del test è che la risposta alle domande assolutamente vere ha un tempo di latenza brevissimo, quasi instantaneo (es., se ci chiedono la nostra data di nascita rispondiamo senza esitazione) mentre se si cerca di mentire alle altre domande (che possono riguardare fatti oggetto di indagine penale) la risposta può avere un tempo di latenza lievemente più lungo, dell’ordine dei millisecondi.
Parafrasando, le bugie (che hanno le gambe corte) hanno però tempi di risposta più lunghi.

Il computer è in grado di calcolare questo scarto nei tempi di risposta e dirci se il soggetto ha dato una risposta falsa ad alcune domande, cioè se ha mentito.
Fin qui tutto normale; ma se il soggetto anche alle domande assolutamente vere risponde con un minimo ritardo il computer non registra alcuno scarto e quindi sentenzia che anche alle domande critiche il soggetto ha risposto sinceramente, cioè non ha mentito.
Il processo penale si può basare su queste autentiche cazzate? Non sarebbe un processo ma una metafora di processo, tanto per citare un concetto caro a un amante di metafore.

Ma, al di là delle considerazioni scientifiche e giuridiche, è particolarmente emblematico che il test aIAT sia stato smascherato da alcuni blog di psicologi, come in questo e questo.

Naturalmente, ritornando all’articolo dell’Avvenire, possiamo certo gioire che la Giustizia abbia riconosciuto l’innocenza di un presunto pedofilo, ma se a quella sentenza la giustizia è pervenuta utilizzando la falsa scienza, credo ci sia poco da gioire.
E certi giornalisti, di certi giornali, dovrebbero informarsi maggioramente prima di disinformare. Se può essere complicato giungere agli articoli scientifici o alle sentenze giudiziarie, è estremamente semplice trovare in rete gli articoli dei blog; se ce l’ho fatta io …

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LE CARTE TRUCCATE DELLA PSICOLOGIA GIURIDICA-I

Circolano in rete innumerevoli carte, protocolli e linee guida messi a punto dagli psicologi giuridici.
Che valore normativo hanno queste carte? Pari a zero.
Che valore scientifico hanno queste carte? Meno di zero. Tranne in qualche caso, non riportano alcuna bibliografia che supporti le affermazioni ivi contenute; le stesse sono solo pareri personali di chi le ha scritte. Si basano ancora sul medievale principo di autorità; ne ho parlato qui.

Ma c’è di più.
La psicologia giuridica italiana vede tra i suoi membri alcuni avvocati e alcuni psicologi-psichiatri-neuropsichiatri infantili in qualità di consulenti.
Gli avvocati che ne fanno parte si ritrovano molto spesso a difendere presunti pedofili, in casi di presunti abusi sessuali sia singoli sia collettivi. Compito dell’avvocato è, ovviamente, quello di difendere al meglio il suo cliente; avvocati che assumono la difesa di presunti pedofili debbono, ovviamente, industriarsi al meglio delle loro capacità per tirare fuori dai guai il proprio cliente. E fin qui non ci piove.
Le cose cominciano a essere meno logiche quando questi avvocati, e i loro consulenti, spacciano per protocolli o carte o linee guida a tutela dei minori quelle che sono, necessariamente, carte, protocolli, linee guida per difendere al meglio i propri clienti; che sono, non va dimenticato, presunti pedofili e, più di recente, presunti violenti o maltrattanti in famiglia.
Si tratta di manipolazione pura e semplice.

Ma c’è ancora di più.
In molte di queste carte vengono espresse opinioni che oltre a non essere supportate da riferimenti bibliografici precisi e puntuali, contengono concetti non corrispondenti ai documenti ufficiali, cui pure fanno riferimento, o totalmente privi di validità scientifica.
Prendiamo l’esempio della cosiddetta Carta di Civitanova Marche; si tratta di un documento che risale al 2012, firmato da una quindicina tra avvocati e consulenti.
A un certo punto si legge:

Nel richiamato art. 9 della Convenzione di New York si legge invece:

Quello che per le convenzioni internazionali è un diritto del fanciullo (“non essere separato dai suoi genitori“) per gli psicologi giuridici e i loro consulenti che hanno firmato la Carta di Civitanova diviene un diritto degli adulti (“diritto di ciascun genitore di non essere separato“).
È questa l’interpretazione che loro danno della legge 54/2006 ed è questo che sostengono nelle CTU e che porta ai disastri che vediamo (bambini allontanati dalle madri protettive e affidati ai padri violenti o abusanti). Perché gli psicologi giuridici e i loro consulenti tutelano i diritti degli adulti e se ne infischiano dei diritti dei bambini; lo hanno scritto chiaramente pervertendo una convenzione internazionale.

Agli psicologi giuridici piace vincere facile; ma per vincere facile bisogna truccare le carte. Ed è quello che loro fanno con estrema disinvoltura.

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SEGUE

I TELOMERI E IL RIFIUTO DI UN GENITORE

Cosa sono i telomeri?
È spiegato abbastanza bene qui; una spiegazione più scientifica si trova qui.

Detto questo, cosa c’entrano i telomeri con le separazioni coniugali in cui un figlio rifiuta un genitore?
Praticamente nulla, sono questioni di livello logico differente che non dovrebbero essere confuse tra loro. Ma c’è chi di questa confusione dei linguaggi ne ha fatto un brand; si tratta del pediatra di Varese ossessionato da bigenitorialità, residenza alternata, ecc.
Spinto da questa sua ossessione rastrella il web alla ricerca di studi che possano essere utilizzati per sostenere le sue tesi. Tra questi studi ne ha trovato uno sui telomeri e lo ha citato in un suo articolo pubblicato su una rivista a pagamento; cioè tu gli paghi 1.500 dollari e loro ti pubblicano l’articolo.

L’articolo da lui citato è questo; il titolo in italiano suona più o meno così: “Gli eventi avversi infantili aumentano l’impatto dello stress assistenziale in età avanzata sulla lunghezza e sull’infiammazione dei telomeri“.
Sul momento non ho dato eccessiva importanza a questa citazione, conoscendo la scarsa capacità del soggetto di saper leggere e interpretare la letteratura scentifica.

La citazione, in un testo che sto leggendo, di un lavoro analogo mi ha spinto a rileggere il lavoro citato dal soggetto di cui sopra.
L’obiettivo del lavoro era quello di studiare se l’abuso infantile e altri eventi avversi infantili potessero avere conseguenze durature anche nella tarda età, circa l’infiammazione e l’invecchiamento cellulare, e potessero essere distinti dallo stress cronico per il carico assistenziale riveniente dal dover assistere un familiare affetto da demenza.

Come si vede, nulla a che fare con le separazioni coniugali, la bigenitorialità e la residenza alternata, sue fissazioni monotematiche.
Naturalmente, credo che il soggetto non abbia letto, non dico l’articolo, ma almeno il riassunto; avrebbe così scoperto che l’obiettivo del lavoro non era quello che lui cercava, ma, soprattutto, leggendo l’intero articolo, che per indagare gli eventi avversi infantili gli autori dell’articolo hanno utlizzato la scala CTQ (Questionario sul Trauma Infantile – Childood Trauma Questionnaire).
La scala CTQ è un questionario autosomministrato che consta di 28 item che indagano gli eventi avversi infantili e cioè l’abuso fisico, l’abuso sessuale, l’abuso emotivo, la trascuratezza fisica e la trascuratezza emotiva. Nessun item riguarda il rifiuto di un genitore o la bigenitorialità o la residenza alternata.
Naturalmente, in una Italia caratterizzata da un elevato livello di analfabetismo funzionale ma anche di ignoranza vera e propria, le tesi del suddetto soggetto riscuotono grande consenso nella piccionaia delle associazioni di padri separati e fascio-leghisti.

Ho parlato più sopra di un secondo articolo che ho trovato citato in un libro che sto leggendo. Si tratta di questo; titolo in italiano: “L’associazione della lunghezza dei telomeri con la violenza e le perturbazioni familiari“.
Questo studio dimostra che i telomeri sono di lunghezza ridotta nei bambini esposti a violenza familiare e che hanno anche subito l’allontanamento o una minore frequentazione con il genitore tutelante. Il genitore tutelante ha una funzione di buffering protettivo che contrasta lo stress che porta alla riduzione di lunghezza dei telomeri.

Allontanando quindi il bambino dal genitore tutelante, cosa che i geni psicologici nostrani propugnano nelle CTU, si fa al bambino un danno incommensurabile che lo danneggerà per sempre. Non riescono proprio a capire, questi CTU, che il bambino con il rifiuto di un genitore si sta semplicemente difendendo dalla violenza o dagli abusi sessuali. Non è affatto un bambino alienato, o adesivo, secondo le idiozie più recenti ma solo un bambino che si difende dalla violenza e dagli abusi sessuali.

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IL RIFIUTO IMMOTIVATO O INGIUSTIFICATO

Cominciamo, come all’asilo, con alcune definizioni; per alcuni ce n’è bisogno.

RIFIUTO: è l’atto, il comportamento del rifiutare, del non accettare una persona o una situazione.

IMMOTIVATO: che non è giustificato né spiegato da alcun motivo.

INGIUSTIFICATO: non giustificato, sinonimo di immotivato.

Il contesto cui mi riferisco è quello dell’affidamento dei figli minori dopo la separazione dei genitori, laddove rifiutino la frequentazione con un genitore.
Un po’ di storia.

Sino al 2012 gli psicologi giuridici di fronte a una situazione di rifiuto della relazione con un genitore, come sopra descritta, adducevano a motivazione dello stesso l’insorgere di una malattia che colpiva questi bambini e con loro il genitore non rifiutato.
Strana malattia, quella che colpisce in prevalenza donne e bambini dopo la separazione coniugale, mai prima della separazione, durante la vita coniugale; e che colpisce solo quei bambini che rifiutano la relazione con il padre, e le madri di questi bambini, mai gli altri bambini di genitori separati, o le altre donne separate (questa è la versione originale di Gardner).

La motivazione del rifiuto era quindi identificata in questa presunta malattia che chiamavano sindrome di alienazione genitoriale, PAS.
Cosa è successo nel 2012?
Nell’ottobre del 2012 il sig. Ministro della salute, nel rispondere a un’interpellanza parlamentare proprio sulla PAS, facendo proprio il parere dei ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, dichiarò che la stessa non ha alcuna base scientifica.
Non esiste quindi, né è mai esistita, una malattia che si chiami sindrome di alienazione genitoriale.
Come reagirono gli psicologi giuridici alla sconfessione proprio sul piano scientifico della loro gallina dalle uova d’oro, la PAS? Tirando fuori dal cilindro il concetto di alienazione parentale, giochetto piuttosto datato e facilmente criticabile.
Tra l’altro l’uso del termine ‘parentale’ per tradurre l’inglese ‘parental’, che invece si traduce con ‘genitoriale’, dà l’idea delle capacità manipolative di questi soggetti.

Dal 2012 quindi la motivazione del rifiuto non è più la PAS ma l’alienazione parentale. Ci hanno scritto su questo numerosi articoli, pensando di accreditare questo nuovo concetto.
Di fronte alla numerose critiche, non solo mie, come si può leggere qui, qui e qui, alcuni psicologi giuridici si sono inventati il concetto di rifiuto immotivato o ingiustificato.
Mai sentita cosa più sciocca.
Il rifiuto della relazione è un comportamento e un comportamento, per definizione, ha sempre una motivazione; ne ho parlato a questo convegno a Roma ma soprattutto ho ripreso tali concetti in questo post.

Il loro ragionamento, di una elementarità che fa dubitare delle loro competenze professionali, sembra essere il seguente: poiché la motivazione del rifiuto non è più né la nostra cara adorata PAS né la sua figlia bastarda, l’alienazione parentale, ergo il rifiuto è immotivato e ingiustificato.
Ci hanno fatto persino articolo che vorrebbe essere scientifico; questo concetto illogico si è meritato addirittura un articolo su “Il Messaggero” .
Perché aumentano solo a Roma? Elementare, Watson! Perché a solo a Roma ci sono psicologi convinti di questa assurdità.
La totale mancanza di logica di questo concetto emerge da queste parole di una delle intervistate: «Rifiuti immotivati dunque indotti, gli addetti ai lavori ritengono che troppo spesso un figlio si rifiuti di incontrare un genitore senza alcun motivo. … Aumentano i casi di rifiuto anche perché non esiste il riconoscimento scientifico e giuridico della Pas (sindrome alienazione parentale)».

Concludendo, non può esistere un rifiuto immotivato o ingiustificato; chi, da psicologo, lo sostiene, dovrebbe tornare a studiare sui banchi dell’università (forse anche su quelli del Liceo, per studiarsi meglio un po’ di logica).
Sul rifiuto ritengo illuminante quanto scritto dai giuristi del Centro Studi “Rosario Livatino” di Roma:
«Accreditati studi scientifici frutto di ricerche di psicobiologia nel campo delle neuroscienze affettive insegnano che quando un bambino si sente a disagio con un genitore ed evita la frequentazione con lo stesso, nella quasi totalità dei casi lo fa perché ha paura e la paura – un’emozione primaria, istintiva, non condizionata – è in genere provocata dal comportamento violento (fisico o anche solo verbale) del genitore rifiutato, se non addirittura da abusi sessuali o atteggiamenti che mettono il minore a disagio.»

La paccottiglia para-psicologica proposta da questi psicologi dovrebbe essere per sempre accantonata.

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LA CARTA DI NOTO E IL PRINCIPIO DI AUTORITÀ

non il possesso della conoscenza, della verità
irrefutabile, fa l’uomo di scienza, ma la ricerca
critica, persistente e inquieta, della verità
.
(K. Popper)

Della carta di Noto, quarta edizione 2017, e delle sue pecche e lacune che la rendono priva di validità scientifica, mi sono già occupato.
Ritorno sul tema per quanto riportato dai giornali in questi giorni, e cioè che, circa i fatti di Bibbiano, vi sarebbe stata la violazione della carta di Noto.
L’espressione è virgolettata, quindi presumo sia tratta letteralmente dall’ordinanza del giudice.
Egregio sig. Giudice, lei sarà a conoscenza che la cosiddetta carta di Noto è ritenuta, per plurime sentenze della Suprema Corte di Cassazione, priva di valore normativo e precettivo.
Riporto dal testo “L’alienazione parentale nelle aule giudiziarie”, pag. 183.

«Come riporta Ugo Fornari nel suo Trattato a pag. 636, più volte la Suprema Corte di Cassazione (Sezione III, 14/12/2007, n. 6464; 10/4/2008, n. 20568; 16/12/2010, n. 15157) si è espressa sul tema affermando che l’inosservanza dei criteri della Carta di Noto che riguardano la conduzione dell’esame dei minori vittime di abusi sessuali non determina nullità o inutilizzabilità dell’elaborato peritale (Fornari, Trattato di psichiatria forense).
Con successiva sentenza del 2014 la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che “in tema di perizia sulla capacità d’intendere e di volere, l’inosservanza da parte del perito delle linee di condotta fissate dalla Carta di Noto per l’espletamento della stessa, non comporta la nullità o la inutilizzabilità della perizia medesima, trattandosi di indicazioni prive di valore normativo” (Cass. pen. s. I, n. 37244 dell’8 settembre 2014).
»

Ma c’è di più.
La carta di Noto non ha alcuna validità scientifica; nel documento citato ho già messo in ampia evidenza i concetti antiscientifici che vi sono espressi.
Aggiungo qui che la mancanza di una bibliografia di riferimento, che supporti le affermazioni ivi contenute, la rende priva di validità scientifica anche dal punto di vista formale, prima che nel merito.
Nel mondo scientifico moderno la scientificità di un concetto, una proposizione, una teoria, non promana dall’autorità di chi la esprime (principio di autorità) ma dagli studi scientifici che la sostengono, dalla letteratura del settore, dalla bibliografia posta alla sua base.
La carta di Noto, e non solo essa, si basa ancora sul principio di autorità, come nel Medioevo; i suoi estensori ritengono, evidentemente, che per riaffermarne la validità sia sufficiente la propria autorità, che non sia necessario corroborare le affermazioni ivi contenute con riferimenti bibliografici che ne dimostrino la validità scientifica.
Ma il principio di autorità appartiene al Medioevo, quando erano sufficienti l’autorità di Aristotele e della Bibbia per sostenere la validità scientifica di una teoria; e guai a chi osava metterla in discussione, si rischiava di essere messi al rogo.

Oggi il rogo è sostituito dalla gogna mediatica.
Queste cose sono spiegate molto bene nel libro di Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa.
Volendo andare sul semplice si possono consultare i seguenti link, questo e questo, che lo spiegano molto bene.
Volendo andare sul difficile, consiglio Karl Popper, La logica della scoperta scientifica e Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche.
Di recente mi è stato consigliato di leggere qualcosa di Lakatos e Feyerabend, e per ora sto approcciandomi a Sull’orlo della scienza.

Quante sciocchezze sono state sostenute nel passato, sino al Medioevo, e quanti roghi accesi, nel nome di Aristotele e della Bibbia.
La terra era al centro dell’universo e il sole le ruotava intorno (teoria tolemaica); è solo nel 1543 che un prete polacco, Nicolò Copernico, diede alle stampe il suo libro (Delle rivoluzioni dei corpi celesti) che fece crollare tutto il sapere precedente sul moto dei corpi celesti. Ma ne ebbe talmente paura che autorizzò la pubblicazione dei suoi studi solo in punto di morte.
Nella medicina dominavano le idee di Galeno che erano oggetto di insegnamento universitario; tra queste che il cuore avesse tre cavità. Fu uno studente dell’università di Padova, André Vésale, italianizzato in Vesalio, che dimostrò la falsità delle idee di Galeno.
E così via.
La psicologia giuridica è ancora nella fase medievale della costruzione del suo sapere; si basa sull’autorità dei ‘maestri’, che non può essere messa in discussione pena il crollo dell’intero sistema: Gardner per la PAS, Bernet per l’alienazione parentale, Gulotta per la suggestionabilità dei minori, Sartori per l’amnesia infantile, Camerini per le ‘devastanti conseguenze della PAS comunque la si voglia chiamare’, ecc.
Studi alla base di queste affermazioni? Meno di zero, e se citati sono datati e confutati da studi successivi che dimostrano il contrario e che però loro non nominano, li occultano.
Bisogna credere loro sulla parola, un atto di fede, il principio di autorità, appunto, come nel Medioevo.

Ma torniamo alla carta di Noto, che io considero il perfetto salvacondotto per i pedofili e per i genitori violenti. Perché, se si sostiene che i bambini che denunciano abusi non possono ricordarli per via della cosiddetta amnesia infantile (che riguarda invece gli adulti e non i bambini, come ha scritto Freud) e che, quindi, quello che dichiarano è frutto di suggestione, si è, pre-giudizialmente, salvato il pedofilo.
Tra i suoi firmatari, alcuni avvocati esperti nella difesa dei presunti pedofili (nessun intento diffamatorio, è ovvio che chi è indagato per pedofilia abbia diritto alla difesa e ovviamente si rivolgerà agli avvocati con maggiore esperienza), e non c’è miglior difesa di quella che discredita i testimoni; poi alcuni psicologi, psichiatri e neuropsichiatri infantili che supportano questa difesa con concetti pseudo-scientifici (PAS, alienazione parentale, amnesia infantile, suggestionabilità dei minori, ecc); infine una giudice di Cassazione che ha sposato in pieno queste falsità scientifiche, ritenendo che un bambino non possa conservare il ricordo di un eventuale trauma, come si può leggere qui alla pagina 82.

La memoria del trauma è, purtroppo, drammatica e indelebile.
Fino a quando i giudici non riusciranno a liberarsi dai condizionamenti antiscientifici della psicologia giuridica i bambini vittime di violenza o abusi, e i genitori protettivi, non troveranno giustizia nei tribunali.

Tornando alla carta di Noto: dire, scrivere, che c’è stata violazione della carta di Noto è un’affermazione che non ha senso alcuno; tutt’al più la stessa può avere valore vincolante solo per i suoi firmatari, come qualsiasi contratto privato (ma sono loro i primi che non la rispettano).
Si ritiene che qualcuno a Bibbiano abbia agito in maniera professionalmente scorretta? Bene, chi lo ritiene faccia un esposto ai rispettivi Ordini professionali e saranno gli Ordini professionali, in totale autonomia, a valutare l’operato degli iscritti, rispettando il diritto alla difesa di chi è soggetto a procedimento disciplinare.
Diritto alla difesa che la gogna mediatica non rispetta affatto; si stanno accendendo i roghi perché l’etica di certa stampa è ancora medievale, è ancora quella di individuare un ‘eretico’ e metterlo al rogo senza processo.
Non è giornalismo questo, sono solo pettegolezzi tra comari che hanno trasformato le piattaforme mediatiche nel classico pianerottolo.

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ASCOLTO EMPATICO E SUGGESTIVO? – I

L’espressione, virgolettata, si trova nel sottotitolo di un articolo pubblicato dal quotidiano L’Avvenire il 9 agosto 2019 e che trovate qui; si tratta di un’intervista a uno psicologo.
Onestamente l’accostamento di questi due termini antitetici mi sembra un po’ stridente; non so se l’espressione sia frutto della fantasia dell’intervistatore o dell’intervistato. Se cerco, come professionista, di suggestionare la persona che ho di fronte, che mi ha consultato, non la sto ovviamente ascoltando ma sto pretendendo che lei ascolti me; per cui il concetto di ascolto suggestivo mi suona strano.
Ma vediamo con calma.

EMPATIA: una definizione che salta subito all’occhio facendo una ricerca nel web è la seguente: «In psicologia, la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva».
Se vogliamo andare un po’ più sul difficile ecco la pagina della Treccani: «Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfühlung». Si consiglia, ovviamente di leggere anche il resto della pagina.
Anche se un po’ datato, ritengo di fondamentale importanza, per comprendere il concetto di empatia, quanto scrive Galimberti nella sua Enciclopedia di psicologia, Ed. Garzanti.

Empatia (ingl. Empathy; ted. Einfühlung; fr. Empathie).
Capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. … Il concetto è stato ripreso da K. Jaspers e utilizzato per distinguere la comprensione empatica dalla comprensione razionale: «Quando nella nostra comprensione i contenuti dei pensieri appaiono derivare con evidenza gli uni dagli altri, secondo le regole della logica, allora comprendiamo queste relazioni razionalmente (comprensione di ciò che è stato detto); quando invece comprendiamo i contenuti delle idee come scaturiti da stati d’animo, desideri e timori di chi pensa, allora comprendiamo veramente in modo psicologico o empatico (comprensione dell’individuo che parla)».
L’empatia richiede un assetto recettivo che consenta, come dice G.H. Mead, di «entrare nel ruolo dell’altro» per valutare il significato che la situazione che evoca l’emozione riveste per l’altra persona, nonché l’esatta interpretazione verbale e non verbale di ciò che in essa si esprime. C.R. Rogers ha studiato l’importanza dell’empatia nel rapporto terapeutico, in cui la comprensione non avviene a livello «gnosico» ma «patico», dove determinate emozioni che non appartengono ai propri vissuti possono essere valutate per estensione delle proprie esperienze. Là dove non si dà un’esperienza comune, come nel caso del delirio o di numerose patologie psichiatriche, risulta difficile stabilire un’empatia e questa difficoltà è spesso assunta a livello diagnostico come criterio per distinguere una nevrosi da una psicosi.

Se ne deduce, quindi, che non solo l’empatia è essenziale per mantenere delle buone relazioni interpersonali, a qualsiasi livello, ma è fondamentale, e fondante, per qualsiasi psicoterapia o comunque per le cosiddette helping professions (medico, psicologo, assistente sociale, ma anche insegnante, docente, maestro, ecc).
Non saprei come definire un ascolto non empatico; forse un ascolto cinico?
Eppure, nell’articolo citato, sia l’intervistatore, che è un giornalista e i giornalisti, non tutti, si sa, a volte un po’ cinici lo sono, sia l’intervistato, che è uno psicologo e non dovrebbe essere cinico nell’approccio ai suoi pazienti/clienti, si esprimono in termini critici nei confronti dell’ascolto empatico o del cosiddetto metodo empatico.
Alla luce delle recenti ricerche delle neuroscienze l’empatia non va più vista come una particolare disposizione d’animo di persone dotate di particolare sensibilità, ma trova la sua base neurologica, e quindi genetica, nella presenza dei neuroni specchio. Suggerire, come sembra dedursi dall’articolo citato, un ascolto non empatico è una cosa contro natura.

Ma veniamo all’altro termine, la suggestione. Ecco cosa scrive Galimberti nella sua Enciclopedia di Psicologia, Ed. Garzanti.

Suggestione (ingl. Suggestion; ted. Suggestion; fr. Suggestion). Accettazione acritica di un’opinione, di un’idea, di un comportamento che nasce o dal soggetto stesso (autosuggestione) o dall’influenza di altri (eterosuggestione). La suggestione ha un meccanismo ideativomotorio simile all’imitazione tipica dei bambini nei confronti degli adulti e svolge un ruolo importante nelle relazioni interpersonali, per cui è oggetto di studio nell’ambito della psicologia sociale, nei trattamenti terapeutici come l’ipnosi che si fonda quasi esclusivamente sulla suggestione, nel trattamento psicoanalitico dove non è escluso l’elemento suggestivo, e nella terapia suggestiva che consiste nell’offrire al paziente immagini positive che modificano adeguatamente il suo stato. Il grado di influenzabilità individuale attraverso suggestione prende il nome di suggestionabilità che assume forme patologiche nelle personalità isteriche e immature, fino ai livelli di obbedienza automatica nelle schizofrenie catatoniche.

Quindi nulla di esecrabile come paventano, nell’articolo, intervistatore e intervistato; ma, in quel contesto, il termine suggestione, usato in accezione spregiativa, ha la funzione di riaffermare il concetto che i bambini non sono credibili quando fanno accuse agli adulti di abusi sessuali perché suggestionati da altri adulti.
Ma questa è la tesi, ovvia, della difesa del presunto pedofilo, non può essere la posizione pre-giudiziale di uno psicologo, tanto più quando docente universitario e quindi dotato, per il suo ruolo, di autorevolezza e credibilità.
C’è, purtroppo, un settore della psicologia impegnato a mettere a punto dei metodi per screditare la testimonanza dei minori, e tra questi fattori che, a giudizio di psicologi, ma anche psichiatri e neuropsichiatri infantili, farebbero perdere credibilità ai minori quando accusano gli adulti di abusi sessuali, ritroviamo concetti totalmente privi di valore scientifico. Suona strano, pertanto, il richiamo alla scientificità da parte di chi invece utilizza in queste vicende, concetti antiscientifici.
Esiste infatti un sito web, meglio una pagina web, che si intitola “I fattori di riduzione della credibilità”; adesso questa pagina è fruibile solo accedendovi con userid e password. Fino a qualche anno fa era liberamente fruibile, poi, dopo alcune critiche, è scomparsa dal web e adesso è ricomparsa con questa modalità riservata. È tuttavia ancora intracciabile sul webarchive.
Come si può vedere, secondo questa pagina, i fattori di riduzione della credibilità sono:
1) La suggestionabilità
2) La sindrome di alienazione parentale
3) L’alto numero di ripetizioni del ricordo
4) Il livello linguistico inadeguato alla complessità della narrazione
5) Fascia di età 3-6 anni: amnesia infantile
6) Fascia di età 11-14 anni: disturbo istrionico di personalità
7) L’incapacità di distinguere esperienze vere da esperienze false
8) La presenza di psicopatologia

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[SEGUE]

VELENO E VELENI

Veleno è il titolo di un libro scritto dal giornalista delle Iene, Pablo Trincia; il libro riprende una sua inchiesta giornalistica del 2017, dal medesimo titolo, svolta su fatti giudiziari accaduti negli anni ’90 in alcuni comuni della provincia di Modena.
I veleni sono le polemiche che, prima l’inchiesta giornalistica e adesso, maggiormente, il libro stanno sollevando. Il libro, infatti, sostiene la tesi della inattendibilità, della non credibilità dei bambini quando denunciano di aver subito degli abusi sessuali.
Sia l’inchesta del 2017 sia il libro, infatti, non accennano nemmeno al fatto che alcuni di quei processi si sono conclusi con la sentenza definitiva, in Cassazione, di condanna degli adulti per pedofilia; il libro, così come l’inchiesta giornalistica, si focalizzano esclusivamente sugli errori giudiziari che hanno portato prima alla condanna e poi all’assoluzione in altri casi, a volte per motivi diversi dalla pedofilia (presunti riti satanici e altro).
In entrambi, libro e inchiesta giornalistica, l’autore sposa pienamente il punto di vista adultocentrico della falsità delle accuse di abusi sessuali fatte dai minori che non sarebbero credibili perché tali ricordi non sarebbero genuini ma indotti dagli adulti, in particolare dagli psicologi durante le sedute di psicoterapia.
Ecco cosa scrive l’autore nel libro: «… che nella loro memoria fosse stato impiantato il seme di una specie aliena estremamente aggressiva, germogliato e cresciuto nel corso dei mesi e degli anni fino a fagocitare il loro vissuto reale, sostituendolo con qualcosa di parzialmente o totalmente artificiale».
Ben scritto ma totalmente falso.
Questa posizione adultocentrica ha, giustamente, sollevato l’indignazione delle vittime di quei fatti, che si sono costituiti in un Comitato, “Voci Vere” che ha l’obiettivo di far conoscere la verità sugli stessi.
Il Comitato ha una sua pagina Facebook all’indirizzo https://www.facebook.com/vocivere/ e ha registrato un sito web all’indirizzo https://vocivere.org/.
Ritorniamo ai veleni.
Nel libro Veleno l’autore condisce la sua tesi adultocentrica con una citazione che fa passare per scientifica ma che, come vedremo, non lo è affatto.
Ecco la citazione: «Si tratta del cosiddetto “falso ricordo”. Nel 1996 la rivista statunitense “Psychology Today” pubblicava una lunga intervista con una docente universitaria, che aveva dichiarato: “I testimoni che puntano il dito contro un imputato innocente non sono dei bugiardi, perché credono davvero nella veridicità della propria testimonianza… È questo l’aspetto piú spaventoso – la tremenda idea che quello che riteniamo di sapere, quello in cui crediamo con tutto il nostro cuore, non sia necessariamente la verità». La docente universitaria, citata nelle righe successive, si chiama Elizabeth Loftus.
La rivista Psychologyy Today è a questo link e come si può vedere non è affatto una rivista scientifica; è vero, l’autore ha la prudenza di non scrivere scientifica, ma da come la presenta pare di capire che la consideri la summa della psicologia contemporanea.
La rivista non si esprime in termini lusinghieri nei confronti della Loftus; credo sia sufficiente questa citazione: «“I have nothing good to say about Elizabeth Loftus” says Bessel van der Kolk, M.D., a psychiatrist at Harvard, who is an expert in dissociative disorders
Tra parentesi, van der Kolk è uno dei massimi esperti mondiali di traumatologia e memorie traumatiche.
A ogni buon conto, per chi voglia approfondire, l’articolo della Loftus, che risale al 1995, è questo.
L’autore del libro Veleno omette però di citare lavori successivi che hanno smentito la tesi della Loftus, quella cioè della facilità di impiantare nei bambini delle false memorie o falsi ricordi; per esempio questo lavoro che è del 1999.
La questione delle false memorie e della cosiddetta amnesia infantile, tanto cara ai difensori dei pedofili, è stata da me affrontata in precedenti scritti, per cui senza ripetermi, anche perché fa molto caldo, rimando agli stessi che cito di seguito.
1) La questione dell’amnesia infantile.
2) Analisi critica del documento Carta di Noto-IV.
3) False memorie e suggestionabilità del minore.

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FALSE MEMORIE E SUGGESTIONABILITÀ DEL MINORE

La questione è tornata prepotentemente alla ribalta in seguito ai fatti di Reggio Emilia; lasciando che la giustizia faccia il suo corso, vorrei soffermarmi brevemente sulla questione delle false memorie e della suggestionabilità del minore.
Si tratta, come per la PAS o alienazione parentale, di mera strategia processuale per difendere le persone accusate di abusi sessuali sui minori.
La questione delle cosiddette false memorie nasce negli USA nel 1992 con un’associazione chiamata “Fondazione della sindrome delle false memorie” (FMSF – False Memory Syndrome Foundation) creata da genitori accusati dai figli di aver commesso abusi sessuali e che cercavano di difendersi dalle accuse con questa sindrome inventata, e da sostenitori della pedofilia, tra i quali il ben noto Ralph Underwager, quello che sosteneva che la pedofilia è la volontà di Dio.
Qui un link per saperne di più.

In Italia questo concetto è fortemente sostenuto da avvocati che di solito difendono casi di pedofilia, individuali o collettivi, e da professionisti dell’area psicologico-psichiatrica afferenti alla psicologia giuridica; per inciso sono gli stessi che sostengono la PAS o alienazione parentale, e questo dà la misura della loro credibilità scientifica.
Nel 2017 hanno cristallizzato questo concetto in un documento, la Carta di Noto IV che presentano come la summa della psicologia giuridica, il punto di riferimento per i CTU chiamati a valutare bambini vittime di abusi sessuali, ma anche utizzata nelle separazioni per difendere il genitore violento.
Ne ho già criticato il contenuto, per questo e altri aspetti; riprendo, ampliandole, quelle stesse critiche.
Riporto dal testo “L’alienazione parentale nelle aule giudiziarie“, curato da Cassano e Grimaldi, Maggioli Editore.

La frase sulla suggestionabilità dei bambini, contenuta nella Carta di Noto IV è la seguente: “È probabile che eventuali vuoti nel ricordo siano colmati con elementi coerenti con l’avvenimento oggetto del ricordo inferiti da informazioni disponibili, per quanto non direttamente percepiti durante l’esperienza originaria“; i bambini cioè sarebbero facilmente suggestionabili, sui bambini potrebbero essere impiantate con facilità false memorie.
La trappola è rappresentata dall’espressione “è probabile“; messa così non significa assolutamente nulla. In che misura è probabile? 1%, 10%, 100%?
In alcune CTU ho letto il riferimento a uno studio che risale al 2004 svolto in una classe di scuola elementare su 53 bambini.

In pratica, nella classe si presentò uno sperimentatore dicendo di essere un giornalista, che rivolse alcune domande ai bambini e svolgendo con loro alcuni giochetti; dopo una settimana un’altra sperimentatrice si è presentata nella scuola dicendo che il giornalista aveva smarrito la registrazione e che quindi voleva ricostruire l’evento con l’aiuto del bambini, dapprima con un racconto libero e poi ponendo loro domande suggestive.
Al racconto libero con domande chiuse risultò che solo il 15% dei bambini aggiunse dei particolari di fantasia ma nell’85% dei casi i bambini non hanno aggiunto alla ricostruzione dell’evento alcun elemento di fantasia.
Se ne dovrebbe dedurre che quando i bambini riferiscono di violenze o abusi sessuali sono, evidentemente, credibili nell’85% dei casi.

Circa le domande suggestive gli autori scrivono “Questi risultati mostrano più specificatamente che i bambini intervistati si sono lasciati facilmente influenzare dalle informazioni fornite da un adulto e soprattutto dalle domande riguardanti la durata di un evento che hanno personalmente vissuto. In altre parole i bambini di 6 anni si sono lasciati suggestionare in percentuali maggiori rispetto a quelli di 8 anni, a tutti i tipi di domande ed in particolare a quelle sul tempo; i bambini di 8 anni sono risultati suggestionabili in numero minore rispetto ai bambini di 6 e 7 anni, soprattutto alle domande sull’azione e sul tempo.”

Ma questo studio, oltre ad avere come oggetto un’esperienza tutto sommato neutra per i bambini, non personale, un evento che non li toccava personalmente, non tiene conto della letteratura internazionale che dimostra una cosa fondamentale: è possibile indurre in alcuni casi il falso ricordo di episodi tutto sommato plausibili, ma non è possibile, se non in una esigua minoranza dei casi, indurre il falso ricordo di un evento non plausibile, come ad es. quello di un abuso sessuale subito nell’infanzia. Letteratura internazionale che non compare nella bibliografia dello studio citato, che è stata volutamente ignorata perché dimostra la tesi contraria; questo è il loro livello!!

Gli studi più significativi in tal senso sono stati condotti negli USA; in uno di questi le autrici si sono proposte di verificare la possibilità di impiantare false memorie mediante la descrizione a due gruppi di bambini di due eventi veri e di due eventi falsi, che loro avrebbero vissuto all’età di quattro anni. A tale proposito hanno istruito le madri a raccontare ai figli questi episodi.
Come falsi eventi da descrivere ai bambini sono stati scelti un evento plausibile (essersi persi da piccoli in un supermercato) e un evento non plausibile (aver subito un clistere da piccoli).
Dallo studio è risultato in primo luogo che la maggioranza dei bambini (54%) non ha ricordato nessuno dei due falsi eventi; che alcuni bambini si sono lasciati suggestionare dal racconto, ricordando di essersi persi in un supermercato da piccoli (evento plausibile) ma solo uno ha ricordato di aver subito un clistere (evento non plausibile).
Le autrici concludono che la possibilità di impiantare false memorie nei bambini è legata alla plausibilità dell’evento e ciò sarebbe in relazione alla presenza in memoria di uno script di memoria sulla precedente conoscenza di quel tipo di evento (es. per averne sentito parlare anche se occorso ad altri bambini), mentre è risultato che non è possibile impiantare nei bambini la falsa memoria di un evento non plausibile (nello studio l’aver subito un clistere da piccoli).

Si deve pertanto ritenere che la testimonianza dei bambini sulle violenze, dirette o assistite, e sugli abusi sessuali subiti sia veritiera sino a prova di falso; tale prova di falso non può essere la PAS o alienazione parentale, non può essere il problema relazionale, non può essere l’altra congettura, del tutto priva di logica, del rifiuto immotivato del minore.

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