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I DISTURBI DI PERSONALITÀ

Sembra sia il nuovo mantra degli psicologi giuridici. Sono già due i post intercettati su questa nuova faccenda. Post che, dal mio modesto punto di vista, hanno la medesima valenza dei pizzini dei boss mafiosi ai loro picciotti; istruzioni, cioè, su quello che si deve scrivere nelle CTU.
Non più PAS, ormai è passata di moda, anche se c’è ancora qualcuno che indulge nella spazzatura; nemmeno alienazione parentale, troppo scoperto il gioco delle tre carte. Madre malevola non ne parliamo proprio dopo la condanna della Cassazione come teoria nazista. E allora che s’inventano per continuare a danneggiare madri e bambini? I disturbi di personalità. Non ce li potranno contestare come hanno fatto con la PAS, questi ci sono nel DSM-5, avranno pensato.

Al primo post ho replicato con questo articolo.
È evidente, infatti, che una diagnosi psichiatrica deve essere formulata secondo i criteri diagnostici ufficiali, quelli del DSM, per intenderci, o dei trattati di psichiatria.

Vediamo che dicono.
DSM-5 (tra parentesi, non leggo tra gli autori del DSM-5 nessun nominativo degli psicologi giuridici, né nell’edizione inglese – es. Bernet, Baker, Gottlieb, ecc. – né nell’edizione italiana; ben strano no?)

Un disturbo di personalità è:
A) Un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo.
B) Il pattern abituale, ovvero il disturbo della personalità, risulta inflessibile e pervasivo in un’ampia varietà di situazioni personali e sociali. Questo vuol dire che se una persona ha un VERO disturbo di personalità, es. paranoide per ripendere il medesimo esempio, è sospettosa e diffidente in TUTTE le situazioni sociali e non solo nei confronti dell’ex-coniuge. E questo dimostra che qualcuno non deve avere molta familiarità con i disturbi di personalità. Dice, ma tutto tu sai? Be’, di disturbi di personalità me ne occupo da più di 40 anni e forse qualcosa in più di chi non li mai visti la so.
C) Il pattern abituale, ovvero il disturbo di personalità, determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Questo significa che, riprendendo l’esempio del disturbo paranoide, la sospettosità e la diffidenza sono tali da compromettere le relazioni sociali, l’attività lavorativa, ecc.
D) Il pattern, cioè il disturbo, è stabile e di lunga durata, e l’esordio può essere fatto risalire almeno all’adolescenza o alla prima età adulta. QUESTO SIGNIFICA CHE SE UNA PERSONA HA UN VERO DISTURBO DI PERSONALITÀ LO HA DA BEN PRIMA DELLA SEPARAZIONE CONIUGALE, LO HA SEMPRE AVUTO, NON ESISTE CHE UN DISTURBO DI PERSONALITÀ COMPAIA PER LA PRIMA VOLTA AL MOMENTO DELLA SEPARAZIONE!!!!

Né esiste che la diagnosi venga formulata in maniera approssimativa dal CTU di turno nel corso del processo di affidamento dei figli minori; si rinvia a una struttura pubblica di psichiatria (CSM della ASL o Clinica psichiatrica universitaria).
Né la diagnosi di un qualsiasi disturbo di personalità può essere formulata in base all’innalzamento di qualche punto alle scale dell’MMPI-2. Fondamentale per la diagnosi in psichiatria è la storia clinica del soggetto: se era una persona normale sino al momento della separazione, lo rimane anche dopo la separazione; se aveva un disturbo di personalità lo aveva già prima della separazione e già prima del matrimonio. E nei veri disturbi di personalità i punteggi alle scale dell’MMPI schizzano alle stelle.

La confusione che fanno molti CTU è quella di scambiare le conseguenze psicologiche post-traumatiche per una psicopatologia primaria, come messo in evidenza dal Protocollo di Napoli.

Adesso chiudiamo il DSM-5 e apriamo il Trattato di Psichiatria di Gian Carlo Reda; ci sono particolarmente affezionato perché mi ha consentito di superare l’esame nazionale di idoneità a Primario di psichiatria, a Roma nel 1986. Allora i disturbi di personalità si chiamavano ancora personalità psicopatiche, secondo la tipologia di Kurt Schneider; penso che l’illustre psicologo giuridico, che così sprovvedutamente si avventura su un terreno a lui sconosciuto, conosca questo autore immortale. E non vi sono descritti bambini con personalità psicopatica.

Possiamo passare poi al Trattato Italiano di Psichiatria, di Pancheri e Cassano, il massimo testo di psichiatria in Italia (nemmeno qui leggo nomi di psicologi giuridici nostrani). Suppongo che gli psicologi giuridici, o almeno gli psichiatri giuridici l’abbiano studiato. Io ho studiato sia la prima edizione, del 1992, sia la seconda edizione, del 1999, e per adeguarmi alla tecnologia, adesso studio l’edizione elettronica del 2002; qui il capitolo dei Disturbi di personalità si trova nel secondo volume, capitolo 60 (Il problema dei disturbi di personalità, pagg. 2325-2339) e 61 (Disturbi di personalità, pagg. 2341-2391). Il Trattato segue la classificazione dei DSM e quindi ne deriva una conferma di quanto sopra.

Adesso chiudiamo il Trattato di Pancheri e Cassano e apriamone un altro a caso, per es. Psichiatria, di Lorenzo Cazzullo. Qui i disturbi di personalità si trovano al capitolo 9, nel secondo volume, da pag 1069 a pag. 1113; nemmeno qui trovo qualche nome dei soliti noti.
Qui il taglio è più psicanalitico, ma nella sostanza la classificazione e descrizione ricalca quella dei DSM.

Insoddisfatti della trattatistica italiana? Possiamo rivolgerci a quella statunitense; prendiamo il Kaplan & Sadock, Psichiatria, Manuale di scienze del comportamento e psichiatria clinica, VIII edizione, Vol. 2, pagg. 775-796, o Psichiatria di Hales, Yudofsky & Talbott, III edizione, Vol 1, pagg. 795-823. Il discorso non cambia, i disturbi di personalità sono quelli e si diagnosticano secondo i criteri del DSM.

Veniamo alla seconda esternazione, questa volta da parte di un neuropsichiatra infantile; poggiando sull’autorevolezza di Paulina Kernberg, moglie di Otto Kernberg, tira fuori la questione dei presunti disturbi di personalità nei bambini. Il libro della Kernberg è stato pubblicato nel 2000 e si basa su sue ricerche degli anni ’80-’90 del 1900; mai validate dalla comunità scientifica, e difatti questo concetto non è presente nei DSM, né nell’ICD. Allo stato attuale quindi questo concetto, non riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, quella dei DSM e dell’ICD per intenderci, non può essere utilizzato nelle CTU. Può essere, e lo sarà di sicuro, oggetto di ulteriore ricerca in ambito clinico ma non può certo esserlo in ambito giudiziario. La CTU non è la sede delle ricerche cliniche ma la sede delle risposte certe e scientifiche ai quesiti del giudice. E la certezza scientifica in psichiatria è quella dei DSM, il DSM-5 in particolare.

In tutti i testi che ho citato in precedenza è contenuto un capitolo sui disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza, oggi disturbi del neurosviluppo; in nessuno di essi si trova cenno di questi presunti disturbi di personalità nei bambini, come si può verificare qui e qui. Quindi discorso chiuso.

Per neutralizzare, o meglio disinnescare, questo ennesimo tentativo di manipolare il processo tramite la CTU (cfr. Mazzeo A, Reale E, Pignotti MS, La manipolazione del processo attraverso le perizie – Trib. Cosenza, 29/7/2015. Questioni di Diritto di Famiglia, 2016) bisogna chiedere al giudice di aggiungere al quesito la frase seguente: «Qualora il CTU parli di patologie o disturbi in uno dei periziandi, deve dire a quale classificazione internazionale delle malattie egli fa riferimento e indicarne il relativo codice nosologico».
Poiché questi presunti disturbi di personalità dei bambini non sono previsti nelle classificazioni ufficiali delle malattie, il CTU non potrà fare i suoi sporchi giochetti. Sembra proprio che l’antiscienza sia nel DNA degli psicologi giuridici; non riescono proprio ad adeguarsi alle conoscenze scientifiche. Mostrano, infatti, di avere un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle conoscenze scientifiche, inflessibile e pervasivo, stabile e di lunga durata.

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QUELLI DELLA COMUNITÀ SCIENTIFICA

C’è un tizio che sproloquia di comunità scientifica della quale si sente parte.

Ora, non so di quale comunità scientifica egli parli.
Per caso ho sottomano l’edizione italiana del DSM-5 che riporta nelle prime pagine i nominativi degli psichiatri e neuropsichiatri infantili italiani che fanno parte del Comitato di revisione scientifica, ma non trovo il suo nome, né quello degli altri come lui; sarà una dimenticanza dell’editore, bisognerà avvertirlo, credo.
Né tanto meno li trovo tra coloro che hanno pubblicato l’edizione originale inglese del DSM-5; non ci trovo Bernet, né la Baker e compagnia bella; o brutta.
Ma è molto più probabile che il tizio in questione, e i suoi sodali, non facciano parte della comunità scientifica psichiatrica e neuropsisichiatrica infantile, nazionale e internazionle. Ma allora di quale cavolo di comunità fanno parte costoro?

Ah, ecco, fanno parte della comunità della psicologia giuridica. Ma possiamo definire scientifica questa comunità?
Vediamo di cosa si occupano.
Nel 1997 hanno introdotto in Italia, come capitolo di un libro su separazioni e divorzi, pubblicato da un editore giuridico, la sindrome di alienazione genitoriale o PAS. Concetto definito scienza spazzatura (junk science) nel 1985, dal prof. Paul Fink.

Si occupano quindi di scienza spazzatura?
Adesso dicono che non si deve più parlare di PAS, perché è superata; non sono addentro alle dinamiche della scienza spazzatura ma vorrei capire in base a quali studi è divenuta alienazione parentale. Il concetto che l’ha sostituita, quello di alienazione parentale, è una diretta derivazione della PAS, lo hanno scritto loro stessi in un articolo del 2014.
Continuano quindi a occuparsi di scienza spazzatura, tutte le associazioni di psicologia giuridica fanno formazione sulla scienza spazzatura, master sulla scienza spazzatura, ricerca sulla scienza spazzatura, tesi di laurea e di master sulla scienza spazzatura. Però si ritengono comunità scientifica.

Non so se i rettori e le rettrici (o devo scrivere rettorə) delle università italiane siano felici di ospitare i sostenitori della scienza spazzatura.
Penso, per es., alla “Sapienza” di Roma dove sono attivi i più fanatici sostenitori della PAS, oggi alienazione parentale, ma anche rifiuto immotivato, rapporto simbiotico, conflitto di lealtà, madre assorbente, bambino adesivo, ecc, in Italia.
Penso allo IUSVE di Venezia-Mestre, autentico covo di sostenitori della PAS, oggi alienazione parentale e tutti gli altri sinonimi di cui sopra.
Penso a Padova, una delle più prestigiose scuole di psicologia in Italia, che diffonde disinformazione e falsità scientifiche con i suoi master sulla testimonianza del minore (qui, qui e qui).
Penso alla psicologia di Chieti, infaticabile produttrice di bufale antiscientifiche.

Insomma, si può definire scientifica una comunità, quella della psicologia giuridica, che diffonde concetti antiscientifici? Su, scendete dal piedistallo; non serve salire al più alto rango quando si ha la coscienza sepolta nel fango.

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NOTA SUGLI ALLONTANAMENTI DEI MINORI DALLE PROPRIE FAMIGLIE

In tema di allontanamenti dei bambini dalle loro famiglie c’è una gran confusione, da parte dei media, di molti politici e dell’opinione pubblica; si tende infatti ad assimilare vicende che sono invece nettamente differenti e distinte tra loro. Tali vicende sono le seguenti:

  1. Gli allontanamenti in seguito a CTU che diagnosticano, ai minori e a un genitore, la cosiddetta sindrome di alienazione genitoriale (PAS), oggi chiamata semplicemente alienazione parentale o indicata con altri sinonimi (es. bambino alienato, sindrome della madre malevola, sindrome di Münchausen per procura, conflitto di lealtà, ecc.).
  2. Gli allontanamenti che si sono verificati a Bibbiano (RE) in seguito a denunciati abusi sessuali intrafamiliari; per tali fatti il processo è in corso e farà chiarezza.
  3. Gli allontanamenti che si verificarono verso la fine degli anni ’90 del 1900 nei comuni di Mirandola e Massa Finalese, nel territorio a nord di Modena conosciuto come Bassa Modenese. Su questi fatti ci furono processi che si sono conclusi in via definitiva con una serie di condanne e alcune assoluzioni.

Cominciamo l’analisi da questi ultimi fatti.

I casi della Bassa Modenese, le cui vicende giudiziarie, come già detto, si sono concluse da parecchi anni con le condanne definitive dei responsabili di quegli abusi sessuali, sono stati impropriamente chiamati in causa di recente, in seguito ai casi di Bibbiano, quasi a voler creare un parallelo tra le vicende di Bibbiano e quelle della Bassa Modenese e quindi voler riaprire i processi relativi a questi ultimi, sull’onda dell’indignazione per via del fatto che alcune relazioni dei Servizi sociali di Reggio Emilia non sarebbero veritiere. Senza considerare che per Bibbiano sarà il processo, appena iniziato e tuttora in corso a stabilire la verità, mentre per i fatti della Bassa Modenese la verità è stata sancita dai processi che si sono svolti a suo tempo ed è stata definitivamente confermata dalla Cassazione. I tentativi, fatti da alcuni dei condannati, di voler riaprire quei processi è stato per ora stoppato da due sentenze della Corte di Appello di Ancona, ed anche un’altra richiesta di revisione avanzata da alcuni condannati qualche anno fa, fu respinta.

Per la precisione, dopo le condanne di 20 anni fa c’è stato un primo processo di revisione che è andato fallito e per altri due (quello allo Scotta e alla sua ex moglie di Ancona) le richieste a procedere sono state respinte; siamo in attesa a giorni della pronuncia della Cassazione perché hanno fatto ricorso. Comunque a oggi ben tre richieste di revisione sono state respinte.

Su Bibbiano, abbiamo già detto che il processo è in corso e quindi è superfluo parlarne; aspettiamo le sentenze.

Veniamo agli allontanamenti dei bambini in seguito alla diagnosi di PAS (usiamo questo acronimo per brevità, intendendo con esso tutti i sinonimi utilizzati).

In queste ultime vicende accade che la denuncia/testimonianza dei bambini sulle violenze o sugli abusi sessuali subiti viene screditata prima ancora dell’eventuale processo che dovrebbe stabilirne la veridicità o meno; e viene screditata sulla base di concetti antiscientifici e definiti da una recente Ordinanza della Suprema Corte di Cassazione come “inammissibili valutazioni di tätertyp”.

Concetto, quest’ultimo, proprio del codice penale della Germania nazista del 1940, per il quale si viene condannati, o sanzionati, non per aver commesso un illecito ma per quello che si è: il genitore protettivo perché ritenuto alienante (o malevolo, o simbiotico, o altro), il bambino perché ritenuto alienato, condizionato, manipolato, simbiotico, adesivo, ecc.

Nello specifico si ritiene, pre-giudizialmente come si è detto, che le affermazioni del bambino su violenze o abusi sessuali subiti da un genitore, non siano genuine ma frutto della manipolazione psicologica dal parte dell’altro genitore.

Per via di questa presunta manipolazione psicologica il bambino viene allontanato dal genitore protettivo (per proteggerlo da ulteriori presunte manipolazioni psicologiche da parte del genitore protettivo), collocato in una comunità per minori per essere de-programmato, resettato (cioè manipolato psicologicamente e scientificamente) e infine consegnato al genitore da lui accusato di violenza o di abusi sessuali (terapia della minaccia secondo il concetto antiscientifico della PAS, altrimenti detta alienazione parentale o indicata con altri sinonimi, come già detto sopra).

Il concetto di PAS o alienazione parentale è solo una strategia processuale per difendere il genitore violento o abusante; nella sua formulazione non c’è nulla di scientifico.

Nei casi di Bibbiano i bambini sono stati allontanati perché la loro testimonianza sugli abusi sessuali subiti è stata ritenuta veritiera (poi, se ci sono stati comportamenti illeciti dei servizi sociali sarà il processo a stabilirlo); nel caso della PAS o alienazione parentale i bambini vengono allontanati perché la loro testimonianza sulle violenze o sugli abusi sessuali viene ritenuta non veritiera, ma senza un processo che lo abbia stabilito.

Chi può stabilire la veridicità o meno di una testimonianza è ovviamente il giudice in un regolare processo, con il diritto di chi viene accusato a difendersi; accade invece che chi stabilisce sistematicamente che la testimonianza del bambino non corrisponde al vero sia il consulente del giudice (CTU). Quest’ultimo lo stabilisce, abusando comunque dei suoi poteri, sulla base di concetti antiscientifici, come sopra riportato, e della convinzione che il ricordo delle violenze o degli abusi sessuali non possa essere genuino perché i bambini di 3-4 anni si troverebbero nella fase della cosiddetta amnesia infantile e che pertanto sia un falso ricordo indotto dalla manipolazione psicologica, una sorta di plagio del minore.

Sul plagio si è già pronunciata nel 1981 la Corte Costituzionale abrogando l’art. 603 del codice penale che prevedeva il reato di plagio (1); di particolare interesse è ciò che scrive la Corte Costituzionale al paragrafo n. 14:

«La formulazione letterale dell’art. 603 prevede pertanto un’ipotesi non verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato non essendo né individuabili né accertabili le attività che potrebbero concretamente esplicarsi per ridurre una persona in totale stato di soggezione, né come sarebbe oggettivamente qualificabile questo stato, la cui totalità, legislativamente dichiarata, non è mai stata giudizialmente accertata. Presupponendo la natura psichica dell’azione plagiante è chiaro che questa, per raggiungere l’effetto di porre la vittima in stato di totale soggezione, dovrebbe essere esercitata da persona che possiede una vigoria psichica capace di compiere un siffatto risultato. Non esistono però elementi o modalità per potere accertare queste particolari ed eccezionali qualità né è possibile ricorrere ad accertamenti di cui all’art. 314 c.p.p. [attuale art. 202] non essendo ammesse nel nostro ordinamento perizie sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l’asservimento totale di una persona

Così come è dirimente il commento del Prof. Giovanni Flora, per il quale la Corte Costituzionale ha abrogato il reato di plagio per «l’impossibilità comunque del suo accertamento con criteri logico razionali, l’intollerabile rischio di arbitri dell’organo giudicante» (2).

Il concetto di amnesia infantile è stato introdotto nella psicologia da Freud nel 1905; ne parla nel secondo dei Tre saggi sulla teoria sessuale e scrive che si tratta della «caratteristica amnesia che alla maggior parte degli uomini (non a tutti!) nasconde gli anni della loro infanzia, fino al sesto od ottavo anno di vita». Nulla a che vedere, quindi, con la memoria infantile e con il ricordo di violenze o abusi sessuali subiti nell’infanzia di cui parlano i bambini. Un approfondimento si può trovare nel testo citato (3). La ricerca scientifica, viceversa, dimostra che i bambini, anche se molto piccoli, conservano il ricordo preciso delle violenze e degli abusi sessuali subiti nell’infanzia e sono in grado di riferirli quando sono più grandi (4).

Per sostenere la tesi dei falsi ricordi si chiama in causa una presunta associazione statunitense che avrebbe studiato il fenomeno, la False Memory Syndrome Foundation (FMSF), e si fa riferimento ad alcuni studi che lo dimostrerebbero.

La FMSF è un’organizzazione creata nel 1992 da genitori accusati dai loro figli di averli abusati durante l’infanzia; nel 2019 tale organizzazione si è sciolta. Nessuna delle loro tesi è stata mai validata dalla ricerca scientifica.

Per quanto riguarda gli studi, descritti nel testo citato (cfr nota 3), è risultato che in una piccola percentuale di casi, di solito il 15%, è possibile indurre nei bambini un falso ricordo. Questi studi però hanno utilizzato come come falso ricordo eventi tutto sommato neutri per i bambini (es. un racconto che poi viene ripetuto introducendo particolari non presenti nel racconto originale, oppure la visita di un giornalista in un’aula scolastica che viene poi raccontata dopo alcuni giorni aggiungendo particolari nuovi – es. diverso colore della cravatta, occhiali, ecc).

Nei casi degli abusi sessuali l’esperienza riferita dai bambini non è affatto neutra, come nei casi precedenti, ma molto personale e intima, oltre che altamente traumatizzante.

Uno studio (5) che ha esaminato la possibilità di indurre il falso ricordo di un’esperienza analoga a quella dell’abuso sessuale è stato svolto negli USA da due ricercatrici, Kathy Pezdek (6) e Danelle Hodge (7); questo studio ha dimostrato che se è possibile indurre in una piccola percentuale di bambini (15%) il falso ricordo di un evento plausibile (nello studio, essersi smarriti da piccoli in un supermercato) è praticamente impossibile indurre nei bambini il falso ricordo di un evento non plausibile (nello studio aver subito un clistere da piccoli). Ne ho parlato sinteticamente in questo post (8).

Avv. Annalisa Lucarelli, Rappresentante del Comitato “Voci Vere”

Dr Andrea Mazzeo, Specialista in Psichiatra

(1) https://www.cesnur.org/2004/plagio.htm

(2) https://studentigiurisprudenza.forumfree.it/?t=21068459

(3) Mazzeo A, Alienazione parentale e problema relazionale: le nuove denominazioni della P.A.S. (sindrome di alienazione genitoriale), in Cassano G – Oberto G, I diritti personali della famiglia in crisi. Giuffrè Editore, 2017. L’argomento è trattato in maniera più sintetica in questo post: La questione dell’amnesia infantile. http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/amnesia.pdf

(4) Gaensbauer TJ, Le rappresentazioni del trauma nell’infanzia:implicazioni cliniche e teoriche per la comprensione della memoria precoce. http://www.alienazionegenitoriale.org/docu/gaensbauer.pdf Articolo originale: Representations of trauma in infancy: Clinical and theoretical implications for the understanding of early memory. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/imhj.10020

(5) Pezdek K and Hodge D, Planting False Childhood Memories in Children: The Role of Event Plausibility. Child Development, Vol. 70, No. 4 (Jul. – Aug., 1999), pp. 887-895. https://www.jstor.org/stable/1132249?seq=1#page_scan_tab_contents

(6) https://www.cgu.edu/people/kathy-pezdek/

(7) https://www.csusb.edu/profile/dhodge

(8)http://andreamazzeo.altervista.org/blog/false-memorie-e-suggestionabilita-del-minore/

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L’O.P.L. E L’ALIENAZIONE PARENTALE

OPL significa ordine psicologi lombardia.
Ecco cosa scrivono.

«La sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (PAS, Parental Alienation Syndrome) è una controversa dinamica psicologica disfunzionale»

No, egregi opl, la PAS è “junk science” (Prof. Paul Fink, Presidente dell’APA – spero sappiate cosa sia l’APA) o se preferite “il peggior mucchio di spazzatura pseudoscientifica che abbia mai visto nella mia vita” (Prof. Jon Conte, Università di Washington).

«L’Ordine degli Psicologi della Lombardia (OPL) infine, non intende in alcun modo entrare nel dibattito sull’eventuale esistenza, scientificità e definizione della cosiddetta PAS (parental alienation syndrome)»

Cosa? Ma che Ordine siete? Dei cartomanti?
Questo è un articolo del vostro codice deontologico o è uno scritto di fantascienza?
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera.

«L’OPL intende contribuire a mantenere l’attenzione del pubblico sul delicato e complesso lavoro necessario a costruire il più alto grado di benessere per i minori e le loro famiglie in ogni fase del loro ciclo di vita»

Quindi per voi opl il più alto grado di benessere per i minori è quello di rinchiuderli nelle comunità, quali dissidenti del patriarcato.

«Nelle separazioni altamente conflittuali è imprescindibile una valutazione attenta e imparziale degli equilibri relazionali tra i membri della famiglia»

Di grazia, quale equilibrio relazionale può esistere quando c’è violenza o ci sono abusi sessuali? Perché solo in queste separazioni si assiste al rifiuto del minore di frequentare il genitore violento o abusante, ovvero pedofilo.

«la resistenza o il rifiuto di un minore a incontrare uno dei genitori è un grave indizio di disagio relazionale e un fattore di rischio evolutivo»

Questo lo scrive addirittura il vicepresidente di opl.

Non ci siamo proprio vicepresidente; la resistenza o il rifiuto è indizio certo di violenza in famiglia o di abusi sessuali sul bambino da parte del genitore rifiutato. Lei, vicepresidente, frequenterebbe un genitore violento o pedofilo?

Grazie, comunque, per averci fatto sapere che state dalla parte dei violenti e dei pedofili.

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QUELLA SCHEGGIA NAZISTA NEL DIRITTO DI FAMIGLIA

Con una recente Ordinanza (n. 13217/21) la Suprema Corte di Cassazione si è espressa in merito al concetto di alienazione parentale (nella sentenza della Corte di Appello, annullata con rinvio, era citata la cosiddetta sindrome della madre malevola, che è un corollario della vecchia PAS, non più utilizzabile nelle CTU perché dichiarata priva di basi scientifiche dal Ministro della Salute nel 2012 e il cui uso nei processi è già stato condannato dalla Cassazione nel 2013) parlando (pag. 10) di una “inammissibile valutazione di tätertyp“. Ne ha dato notizia per prima l’agenzia di stampa DiRE.

Naturalmente, anche su questa ordinanza sono partiti, col solito fastidioso stridio, i grilli parlanti della psicologia giuridica (la Cassazione voleva dire questo, no voleva dire quest’altro, ecc), sino addirittura ad affermare in un post di non conoscere la sindrome della madre malevola; post poi rilanciato da uno dei parrucconi della psicologia giuridica. Uno che nel 2010 ha usato proprio questa espressione in una relazione specialistica giurata, redatta in favore del padre di una bambina, da lei accusato di abusi sessuali. Espressione usata per stigmatizzare la madre della bambina, che lui non conosceva, non aveva sottoposto a visita specialistica, non aveva mai visto in faccia; ai limiti del falso ideologico. Loro possono.

Ma non è delle loro facoltà mnemoniche precarie che voglio occuparmi; mi ha incuriosito questo concetto evidenziato dalla Cassazione, e cioè la valutazione di tätertyp. Concetto squisitamente giuridico, quindi fuori delle mie competenze; ma la curiosità mi ha spinto a cercare di capirci qualcosa di più.

La prima cosa che è emersa è che si tratta di un concetto del codice penale della Germania nazista del 1940; la Suprema Corte di Cassazione ha quindi rilevato, in una sentenza di una Corte di Appello di un paese democratico come l’Italia, la presenza di una valutazione di tätertyp, valutazione di stampo nazista, ritenuta, giustamente, non ammissibile in un procedimento giudiziario.

Ma in cosa consiste questa inammissibile valutazione di tätertyp, ovvero del diritto penale d’autore? A quel che ho letto, nel sanzionare una persona per quello che è non per quello che fa; come scrive la D.ssa Eva Stanig: «si parla di diritto penale del nemico o di diritto penale d’autore, formule equivalenti che evocano il fatto che ciò che è punibile non è più il reato ma il reo e, nello specifico, per “quello che è” non per “quello che fa”».

L’Ordinanza della Cassazione è stata ampiamente ripresa dai media, Sole 24 Ore caso, Corriere della Sera qui e qui, Il Fatto Quotidiano, Huffington Post ; qui una mia breve nota.

Oltretutto, chiedo conferma agli avvocati, una tale concezione è contraria all’art. 3 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.“); uguaglianza di fronte alla legge che evidentemente non vale per le madri, ritenute pre-giudizialmente alienanti, simbiotiche, malevoli, ecc., come da immagine seguente.

A questo punto che accade? Non lo so, non sono un giudice, quindi non posso sapere se i giudici terrano conto di questa Ordinanza della Cassazione o se continueranno a stigmatizzare le madri e sanzionarle per quello che sono e non per quello che fanno, secondo il non ammissibile modello nazista del tätertyp; anche perché di quello di cui sono accusate, e cioè di aver manipolato i figli contro l’altro genitore non vi è mai prova alcuna, come riporto in questo e-book; e allora è molto più semplice sanzionarle in quanto madri. Lo strumento per giungere a questo è la CTU, disposta, in violazione della legge, proprio per sopperire alla mancanza di prove della presunta manipolazione psicologica del minore che causerebbe il rifiuto dello stesso di frequentare l’altro genitore.

Di quel che faranno i CTU e gli psicologi giuridici francamente non me ne importa più di tanto; stanno dando uno spettacolo penoso di se stessi nei social, rinnegando tutto quello che hanno sostenuto sino a ieri. Vanno denunciati in massa per i danni che hanno arrecato a madri e bambini e alla società tutta che a causa loro si ritroverà con adulti con problemi psichiatrici di varia natura, per essere stati allontanati dal genitore protettivo ed esposti alla violenza e agli abusi sessuali dell’altro genitore.

Una cosa è certa: la scheggia nazista che ha inceppato il diritto di famiglia è proprio la psicologia giuridica.

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SENZA TITOLO

L’immagine che apre questa nota è lo screenshot di un lungo post su Facebook; ho cancellato riferimenti e nomi di persone.

Il post è scritto da una ragazza rinchiusa in una comunità perché rifiuta di incontrare il padre, da lei accusato di violenza e di abusi sessuali; in altre comunità sono stati rinchiusi i fratelli, sempre per lo stesso motivo, accuse al padre di violenza e abusi sessuali.
Si tratta, a mio modesto parere, di un chiaro abuso giudiziario; sia pure nella presunzione, non supportata da prova alcuna, che la madre di questi ragazzi sia riuscita a manipolarli tutti e quattro, che senso ha rinchiudere i ragazzi?

Sulla base di quale norma i giudici minorili e delle separazioni assumono decisioni così gravi? Per quanto a me noto, non esistono norme che lo consentano, se non quando il minore sia «moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui» (art. 403 cc); in assenza quindi di tali situazioni ogni allontanamento, per iperbole cattura, è arbitario. E rinchiudere i minori in comunità è a tutti gli effetti una carcerazione preventiva.

Io non vedo molte differenze con i giudici egiziani che da oltre un anno tengono in carcerazione preventiva un ricercatore universitario, e i tanti altri dissidenti del regime.

Il plagio, ancora questa assurdità; eppure la Corte Costituzionale nel 1981 è stata chiara: «Presupponendo la natura psichica dell’azione plagiante è chiaro che questa, per raggiungere l’effetto di porre la vittima in stato di totale soggezione, dovrebbe essere esercitata da persona che possiede una vigoria psichica capace di compiere un siffatto risultato. Non esistono però elementi o modalità per potere accertare queste particolari ed eccezionali qualità né è possibile ricorrere ad accertamenti di cui all’art. 314 c.p.p.. non essendo ammesse nel nostro ordinamento perizie sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Né è dimostrabile, in base alle attuali conoscenze ed esperienze, che possano esistere esseri capaci di ottenere con soli mezzi psichici l’asservimento totale di una persona».

Chi ancora oggi parla di plagio o pensa che bambini che accusano un genitore di violenza o di abusi sessuali siano stati plagiati dall’altro genitore, parla e pensa contro i diritti costituzionali di ciascuno.

Come la ragazza dimostra nel suo post, chi cerca di plagiarla sono proprio i cosiddetti specialisti, i consulenti tecnici dei giudici; e come il post dimostra, nonostante la loro autorità non riescono a plagiarla.

La ragazza, che mostra con il suo post molta maggiore maturità e intelligenza critica dei cosiddeti esperti, conclude con una citazione di Dietrich Bonhoeffer, probabilmente del tutto sconosciuto ai cosiddetti esperti e ai suoi carcerieri, le cui conoscenze non vanno sicuramente oltre Gardner e i suoi accoliti. Bonhoeffer, teologo e uno dei massimi filosofi del ‘900, fu oppositore del nazismo, rinchiuso in carcere per le sue idee e giustiziato. Il nazismo rinchiudeva i dissidenti e gli oppositori; il patriarcato continua a rinchiudere i dissidenti e gli oppositori. Il vero pericolo per i minori sono il patriarcato e i suoi adepti.

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LA MUTA MASCHILISTA

Riprendo un vecchio post da un altro mio blog.

Nella sua monumentale opera, Massa e potere, Elias Canetti definisce la “muta” come “forma di eccitazione collettiva“; la muta, nell’analisi di Canetti, rappresenta la più antica unità di aggregazione dei singoli, dalla quale poi deriva la massa. E aggiunge:

Presso orde di numero limitato, che vagano in gruppi di dieci o venti uomini, la muta è la forma di eccitazione collettiva che si ritrova ovunque“.
La muta è un gruppo di uomini eccitati“.
La muta è la più antica e la più limitata forma di massa umana, quella che precedette tutte le masse nel moderno significato della parola. Essa si manifesta in parecchi modi, ed è sempre nettamente percepibile. La sua attività attraverso decine di millenni è stata così intensa da lasciare tracce ovunque, e perfino nella nostra epoca, profondamente diversa dalle precedenti, sopravvivono numerose forme che procedono direttamente da essa“.
La muta più naturale e più genuina è quella da cui deriva propriamente la nostra parola: la muta di caccia. La seconda forma di muta, che ha molto in comune con la muta di caccia e per alcuni aspetti coincide con essa, è la “muta di guerra”. La muta di guerra presuppone l’esistenza di un’altra muta di uomini contro i quali è diretta: essa configura l’avversario come un’altra muta, anche se in realtà in quel momento l’altra muta non esiste. Nella sua più antica forma, essa perseguita spesso una singola vittima, oggetto della sua vendetta“.

Uso l’espressione «muta» per uomini anziché per animali, poiché designa nel modo migliore la collettività del movimento frettoloso e la meta concreta dinanzi agli occhi di tutti coloro che vi sono coinvolti. La muta vuole una preda: vuole il suo sangue e la sua morte. Deve inseguirla veloce e senza lasciarsi distrarre, con astuzia e tenacia, per afferrarla. La muta si incoraggia abbaiando tutta insieme. Non si deve sottovalutare il significato di questo clamore, in cui si mescolano le voci dei singoli animali. È un clamore che può diminuire e di nuovo aumentare; ma non tace: esso contiene l’attacco“.
La scelta dell’espressione «muta» per questa primordiale e limitata forma di massa, dovrebbe ricordare che anch’essa trae origine presso gli uomini da un esempio animalesco: il branco di animali che cacciano insieme“.

Comportamenti di ‘muta’ sono le centinaia di falsi profili Facebook, pagine clonate e blog dal nome clonato, gestiti da maschilisti che sistematicamente fanno disinformazione sulla violenza di genere.
Anche un idiota sa che il termine violenza di genere significa violenza contro la donna non per questioni legate a fatti di criminalità ordinaria (es. rapine, scippi, ecc.) ma per il fatto stesso che si tratta di una donna: violenza agita dal padre contro la figlia, dal marito contro la moglie, dal fidanzato contro la fidanzata, o, quando la famiglia si separa, dall’uomo contro la ex-partner; o da gruppi di uomini che si mettono a caccia di una donna per stuprarla e poi ucciderla.
La disinformazione attuata dalla muta maschilista giunge al punto di negare l’esistenza della violenza di genere fino a manipolare i dati ISTAT per cercare di dimostrare che addirittura è maggiore la violenza delle donne sugli uomini.
La muta maschilista ha le sue parole d’ordine; una di queste è ‘nazifemminismo’. L’uso di questo termine sancisce l’appartenenza alla muta maschilista.
La muta maschilista interviene massicciamente per negare la violenza di genere; questo suo intervenire in massa è identico all’abbaiare furioso delle mute dei cani da caccia poiché identico ne è lo scopo, quello di incoraggiarsi l’un l’altro.
La muta maschilista vuole la sua preda, la sottomissione della donna ai suoi voleri. La muta maschilista non accetta la donna emancipata, disinibita, realizzata.
La muta maschilista vuole il sangue della donna e la sua morte; disinformare e mistificare la violenza di genere equivale a incoraggiarla, incitarla, istigarla.
La muta maschilista è complice, se non mandante, dei femminicidi. Il suo abbaiare tutta insieme contiene l’attacco contro la donna, fornisce all’assassino il coraggio e diminuisce con la morte della donna.
Dopo ogni femminicidio la muta riprende ad abbaiare con clamore.

Elias Canetti (1960), Massa e potere, Adelphi Edizioni, 1981.

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ADESSO È DIVENUTA UNA METAFORA

Sì, in una recente intervista sul quotidiano Avvenire, il noto avvocato, ormai rimasto come l’ultimo dei giapponesi a difendere la PAS, afferma che la sindrome di alienazione genitoriale, o alienazione parentale, è una metafora. Cosa significhi questo, lo sa solo lui.

Di certo non parlava di metafora ma di grave malattia che colpiva donne (solo quelle protettive verso i figli) e bambini (solo quelli che rifiutavano il rapporto con il padre) nel libro del 1997; né parlava di metafora nelle riedizioni del medesimo del 1983, e del 2007 ma anche in altri scritti, come in questo che risale al 2015, appena cinque anni fa.

Né parlava di metafora quando ha inviato la sua squadra di disinformatori a stalkerizzare l’ICD-11; abbiamo tutti gli screenshot e sappiamo di cosa stiamo parlando.

Adesso che si trova, usando una metafora, con le spalle al muro, se ne viene fuori con la favoletta che la PAS sarebbe solo una metafora. Egregio avvocato, ma ci fa o ci sta? O crede davvero di essere l’unico essere pensante al mondo e che tutti gli altri siano degli allocchi che pendono dalle sue labbra?
Pensavo che nelle CTU psicologico-psichiatriche si dovessero utilizzare concetti scientifici, evidentemente mi sbagliavo, mi sono sempre sbagliato; pare vadano bene anche le metafore. Secondo questo illustre avvocato, pertanto, le sentenze giudiziarie basate sulla metafora della PAS sarebbero sentenze metaforiche; e pure i giudici che emettono quelle sentenze sarebbero, evidentemente, giudici metaforici.

Così come sono metaforici, evidentemente, i tanti convegni sulla metafora dell’alienazione parentale, organizzati in ogni parte d’Italia; è tutta una metafora. La stessa psicologia giuridica è una metafora, gli psicolgi giuridici sono metafore.

Insomma, con tutto il rispetto, tutta una gran presa per … metafora, metaforicamente parlando, ovviamente. Ma che vadano tutti a … quel paese, sempre metaforicamente parlando.
Tutto nasce dal vano tentativo di difendersi dalle critiche al famoso memorandum dei cento intellettuali, poi divenuti centotrentuno, in fila per centotrenta col resto di uno.
E sì, perchè ce n’è uno, per ora, che pur avendo firmato, entrambe le versioni, davanti al giudice sostiene di non essere stato lui ad avere firmato (avrà firmato a sua insaputa? ormai va di moda).
Insomma, cominciano le defezioni; staremo a vedere, chi vivrà vedrà (e in tempi di pandemia non v’è pensiero più adatto all’uopo).
E proprio a futura memoria propongo questi appunti che potrebbero tornare utili.

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SMEMORANDUM

Ovvero: il memorandum degli smemorati.

È comparso di recente, sul quotidiano “Il Dubbio”, lo scritto di un avvocato dal titolo “L’affidamento e la sindrome dell’alienazione genitoriale”, sotto la rubrica Epistemologia sociale.
Parlare, ancora, di sindrome di alienazione genitoriale, ampiamente screditata a livello della comunità scentifica internazionale (quella dei DSM e dell’ICD, per intenderci) e accostarla all’epistemologia è un vero e proprio ossimoro.

Memorandum, ovvero promemoria, cioè breve e sintetico scritto per ricordare talune cose e che serve più a chi lo scrive e lo firma che a chi dovrebbe leggerlo; leggerlo poi per farne cosa, se serve solo a loro?

Ecco un vero Memorandum contro l’alienazione parentale, cioè i punti essenziali da tenere a mente.

MEMORANDUM CONTRO IL CONCETTO DI ALIENAZIONE PARENTALE
1) Il concetto di alienazione parentale, in passato PAS, è solo una strategia processuale per difendere i genitori accusati di violenza in famiglia o di abusi sessuali incestuosi, non altrimenti difendibili.
2) Gardner, l’inventore di questo concetto, pubblicò il suo articolo del 1985 su una rivista di opinioni e non su una rivista scientifica.
3) La psichiatria accademica statunitense sin dal 1985 ha bollato tale concetto come scienza spazzatura.
4) Il mondo giuridico statunitense ha più volte sottolineato che tale concetto pseudo-scientifico non va usato in Tribunale perché è una minaccia per l’integrità del sistema della giustizia penale; grazie a questo concetto vengono assolti genitori violenti o pedofili.
5) Il sostegno a tale concetto lo si comprende seguendo la pista del denaro; consente infatti agli psicologi giuridici di fare molti soldi con poco sforzo. Le CTU sono infatti già scritte, basta cambiare i nomi e sono pronte.

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DI COME LA PSICOLOGIA GIURIDICA SI FA COMPLICE DEGLI ABUSI SESSUALI SUI MINORI

Primo esempio.
«Va osservato che i fatti ipotizzati come reato nella vicenda in esame riguardano eventi avvenuti quando la bambina aveva un’età compresa tra uno e due anni e sette mesi, localizzandosi quindi all’interno di una finestra temporale nella quale agisce un fenomeno denominato ‘amnesia infantile’ … Questa selettiva incapacità a ricordare eventi esperiti nella finestra temporale compresa tra 0 e 5 anni viene chiamata ‘amnesia infantile’
».

Questa dell’amnesia infantile è un’autentica bufala, presa però per oro colato dai giudici.
In primo luogo il concetto di amnesia infantile, introdotto da Freud, riguarda la difficoltà che tutti noi abbiamo da adulti a ricordare alcuni episodi della nostra infanzia, come spiego qui. Non riguarda i ricordi dei bambini.
In secondo luogo non ha senso parlare di amnesia quando i bambini affermano di ricordare eventi che risalgono ad alcuni mesi o a qualche anno prima; si potrà dire che i ricordi sono errati, non corrispondono alla realtà, ma non che il bambino che ha questi ricordi soffra di amnesia. Chi soffre di amnesia non ha alcun ricordo; e anche di fronte a questa proposizione palesemente illogica i giudici abozzano.

Il perito, nel caso surriportato, ha poi corredato la sua relazione con un grafico che è un autentico falso scientifico, come illustrato nel documento citato.

Questo portò, ovviamente, all’archiviazione del procedimento penale a carico del padre della bambina, all’affido condiviso, al rifiuto della figlia di frequentare il padre, all’accusa di PAS nei confronti della madre, alla psicoterapia obbligatoria, agli incontri protetti, ecc.

Nella valutazione della capacità di testimoniare del minore vittima di abusi sessuali il perito incaricato deve limitarsi, come prevede la legge, a valutare l’idoneità psico-fisica del minore a rendere testimonianza sui fatti di cui riferisce, senza introdurre elementi fuorvianti, a maggior ragione quando gli stessi sono privi di obiettività e validità scientifica. La valutazione dell’idoneità mentale a testimoniare (art. 196 cpp), della capacità a rendere testimonianza, ovvero di valutare “se le dichiarazioni, le confessioni, le ammissioni, le accuse di quel soggetto siano o meno espressione di un funzionamento mentale alterato da patologia psichiatrica o da un disturbo della sfera cognitiva e/o affettivo-relazionale che abbiamo negativamente interferito sulla fissazione dell’evento e incidano sulla rievocazione dello stesso” (Fornari), poggia su elementi scientifici obiettivi (colloquio clinico, valutazioni testistiche, ecc.) che qualora non rispondenti a rigorosi criteri di scientificità e obiettività possono essere confutati dalle parti.
Quella sulla credibilità o non credibilità del testimone è una valutazione soggettiva che il perito non deve fare perché sganciata da elementi scientifici obiettivi e come tale non confutabile in maniera obiettiva; viene a essere una pura e semplice petizione di principio: “ritengo che il/la testimone non sia credibile”. Su che basi un perito può esprimere un giudizio simile? Certo non su basi obiettive.

E siamo, come al solito quando entrano in campo gli psicologi giuridici, all’inversione dell’onere della prova: io dall’alto della mia scienza dichiaro che il testimone non è credibile; dimostra tu il contrario.
La credibilità, o meno, del testimone non è di pertinenza del perito, ma è di unica ed esclusiva competenza del giudice che forma il suo convincimento nel corso del dibattimento.
Il perito non deve esprimersi sul contenuto della testimonianza, e quindi della credibilità o meno del testimone, ma deve semplicemente dire se il minore ha capacità di testimoniare o se le sue dichiarazioni siano inficiate da problemi di ordine psicopatologico, quali disturbi del pensiero, dell’affettività, dell’ideazione, dell’intellignza, dell’ideazione, della volontà, ecc. L’espressione ‘credibilità psicologica’ non ha senso, è priva di senso logico poiché il credere o il non credere pertiene al mondo religioso non al mondo della psicologia.

Secondo esempio.
«La minore (omissis) non presenta quadri patologici, disturbi dello sviluppo della personalità o disarmonie tali da impedirle di poter riferire circa fatti di cui è a conoscenza. Relativamente peraltro ai fatti oggetto del presente procedimento, vi sono invece consistenti, marcate perplessità, dubbi, in ordine alla possibilità che la minore possa fornire una versione dei fatti aderente alla realtà, in ragione del considerevole ed elevato numero di elementi di interferenza, manipolazione, condizionamento ed influenzamento intervenuti».

Perplessità, dubbi sono dati soggettivi, impressioni del perito non supportate da elementi obiettivi od obiettivabili; il quesito, tra l’altro, chiedeva al perito di esprimersi solo in ordine all’idoneità psico-fisica della minore a rendere testimonianza e non altro. Ovviamente il procedimento è stato archiviato; questa ragazza, adesso maggiorenne, non ha avuto giustizia. E di queste perizie, per così dire, ‘impressionistiche’ ne ho lette molte; come nel caso seguente.

Terzo esempio.
«… pur possedendo (la minore) caratteristiche che la renderebbero capace di testimoniare su fatti autobiografici occorsi dopo l’età della prima infanzia, le dichiarazioni rese alla madre appaiono, sulla base delle valutazioni concernenti le caratteristiche contestuali e storiche, cariche di influenze motivazionali e suggestive che possono aver agito, esplicitamente ed implicitamente, internamente in lei, influenzando la costruzione della testimonianza. In conseguenza la credibilità clinica della testimonianza resa appare poco sostenibile, così la plausibilità della narrazione».

Quarto esempio.
«… si conclude che l’audizione fornita dalla minore (omissis) in data (omissis) presenta caratteristiche compatibili con la presenza nella minore di capacità cognitive adeguatamente sviluppate rispetto all’età cronologica e funzioni psichiche di base compatibili con la competenza a rappresentarsi correttamente la realtà e a riferirla, tuttavia si rilevano spunti di criticità e di rischio evolutivo, espressi attraverso i su indicati elementi inadeguati dal punto di vista contenutistico e formale, in relazione ad aspetti inerenti il rapporto con l’elemento paterno. Tali aspetti non consentono di poter considerare l’audizione fornita come compatibile con la possibilità da parte della minore di rendere testimonianza specifica sui fatti oggetto di causa».

Il perito e il CTU che cercano in questo modo di screditare la testimonianza dei minori che hanno subito abusi sessuali perdono la loro terzietà, sposano la causa del presunto abusante e se ne rendono complici.

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