Archivio della categoria: Psichiatria

«NON È UNA SINDROME MA UN FENOMENO»

Ciance che fumigano nel web.

Lo stesso professionista, a meno che non si tratti di un suo sosia, in una recente (2019) vicenda giudiziaria, ha avallato la diagnosi di PAS, ovvero sindrome di alienazione genitoriale, addirittura, fatta dal CTU a una bambina di 11 anni.

In breve: la bambina rifiuta la relazione con il padre; pur essendovi agli atti testimonianze documentali (relazioni dei servizi sociali) che provano i motivi del rifiuto, il tribunale dispone ugualmente la CTU.
La madre incarica come proprio consulente di parte il professionista del fenomeno, pensando così di venire meglio tutelata, ma che soprattuto venga tutelata la figlioletta, visto che si tratta di un neuropsichiatra infantile.
La CTU si traduce in un autentico disastro, la bambina viene sottrata alla madre e collocata dal padre, sulla base, appunto della diagnosi di PAS fatta dal CTU e avallata dal CTP della madre.

La madre ricorre in Appello avverso questa sentenza e mi chiede un parere tecnico sulla CTU; lo trovate qui. In Appello la sentenza di primo grado viene riformata e la bambina è stata nuovamente collocata dalla madre. La vicenda, in sintesi, è riportata qui.

Che dire? Vizi privati e pubbliche virtù. Si ciancia di fenomeno sui social ma poi in sede di CTU ecco che ritorna la tanto amata, dagli psicologi giuridici, PAS o alienazione parentale, o madre malevola, ecc. ecc.

Ma poi fenomeno de che?
Non dico competenza professionale, ma almeno la lingua italiana. Fenomeno è ciò che si osserva, si vede, si tocca, si sente, “ciò che appare, che è conoscibile attraverso i sensi, e che può non corrispondere alla realtà oggettiva“, Treccani).

Ciò che si osserva in alcune vicende separative, il fenomeno, è il rifiuto dei figli di frequentare, di relazionarsi con un genitore. PAS o alienazione parentale, o altro, è il nome che gli psicologi giuridici danno alla presunta causa del rifiuto, e cioè la presunta manipolazione psicologica da parte di un genitore per indurre il bambino a rifiutare l’altro genitore (ovvero il plagio del bambino).
Scambiare la presunta spiegazione di un fenomeno per il fenomeno in sé denota precarie capacità logiche.

Se poi il livello è quello degli influssi malefici (nefasti li chiama), bè, allora chiamate l’esorcista invece del CTU, i risultati saranno senz’altro migliori.

Influssi nefasti che ovviamente sono emanati solo dalle madri, ma non da tutte le madri solo da quelle separate; e nemmeno da tutte le madri separate, ma solo da quelle i cui figli rifiutano di frerquentare il padre, da loro accusato di violenza, o addirittura di abusi sessuali.

Meglio una seduta spiritica, a questo punto, di una CTU surreale. Sarebbe più seria.

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L’EMDR È UNA TECNICA PARAIPNOTICA?

Si tratta dell’affermazione fatta da un professionista, neuropsichiatra infantile nonché psichiatra, in un recente video.
Non saprei se si tratti di ignoranza o malafede; comunque è una grossa sciocchezza.
Un video che spiega bene cos’è l’EMDR è a questo link.

Nel 2009 ho partecipato a Milano al corso di formazione nella terapia EMDR, primo livello, condotto da Roger Solomon e Isabel Fernandez, poiché interessato a saperne di più di questa metodica; seguivo infatti i dibattiti sull’EMDR che si svolgevano sulle mailing list psichiatriche, Psichiatryonline e Psychomedia.
Su quest’ultima mailing list, in particolare, si svolse nel 2000 un interessantissimo dibattito con la partecipazione di professionisti di alto livello nel campo della psicoterapia (Paolo Migone, Tullio Carere, e altri), che ovviamente ho archiviato sul pc.

La psichiatria non ha molti strumenti per curare i disturbi da stress post-traumatico (PTSD); gli ansiolitici possono attenuare l’ansia ma non sempre sono efficaci e poi c’è la grossa incognita della dipendenza; gli antidepressivi sono indicati in alcuni casi ma non risolvono il problema. Mi interessava quindi conoscere meglio la tecnica EMDR, non per divenire io stesso terapeuta EMDR ma per poter meglio consigliare i miei pazienti con PTSD e indirizzarli verso una terapia efficace.

EMDR significa Eye Movement Desensitization and Reprocessing, tradotto in italiano come Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti oculari (Shapiro F, EMDR, McGraw-Hill). L’ipnosi non c’entra nulla, il paziente non viene ipnotizzato né gli vengono fornite suggestioni post-ipnotiche; mi sono sottoposto a un percorso di ipnosi, per conoscerla meglio, oltre la lettura dei testi di Milton Erickson, quindi so di cosa sto parlando.

Bessel van der Kolk è il fondatore e direttore medico della Trauma Research Foundation a Brookline, nel Massachusetts ed è anche professore di psichiatria alla Boston University Medical School; qui una sua recente intervista.
Nel 2015 è stato pubblicato in Italia il suo libro, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, che è rapidamente divenuto un best-seller. Van der Kolk è il maggiore esperto sul trauma a livello mondiale; un professionista della salute mentale non può ignorare i suoi studi e le sue ricerche.

Nel capitolo 15 del suo libro, alla pag. 285, van der Kolk parla del trattamento del PTSD con la tecnica dell’EMDR, illustrando alcuni dei suoi casi clinici; formula alcune ipotesi sul meccansismo di azione dell’EMDR e riporta alcuni dati delle sue ricerche.

Pazienti trattati con l’EMDR mostrano alle indagini di neuroimaging (SPECT) l’attivazione del lobo pre-frontale (preposto allo svolgimento dei processi cognitivi e alla regolazione del comportamento), del giro cingolato anteriore (area cerebrale dalle funzioni molto complesse, tra cui il coordinamento sensitivo-emozionale, attenzione esecutiva, ecc) e dei gangli della base (strutture poste alla base del cervello nella parte superiore del mesencefalo, che controllano aspetti attentivi, emozionali e motivazionali dell’attività motoria, oltre che presiedere al controllo dei movimenti volontari).

Interessante è la somiglianza dei movimenti oculari rapidi alternati della tecnica EMDR con i movimenti oculari rapidi della fase di sonno REM; naturalmente la similitudine finisce qui, si possono solo formulare ipotesi, da verificare quando gli strumenti di studio lo consentiranno; come quella, ad es., di una sorta di ri-allocazione delle memorie traumatiche dalla memoria di lavoro agli archivi della memoria remota, ecc. Ma poiché, soprattutto nei bambini, l’efficacia dell’EMDR si ottiene con le stimolazioni tattili alternate destra/sinistra più che con i movimenti oculari, devono essere in gioco altri meccanismi per ora poco indagati e poco indagabili.

In sperimentazioni controllate, l’EMDR si è dimostrato più efficace del placebo ma anche più efficace dei trattamenti farmacologici; nei gruppi EMDR il miglioramento riguardava un paziente su quattro mentre nei gruppi con psicofarmaci il miglioramento era di un paziente su dieci. Ma soprattutto, mentre i pazienti migliorati con i farmaci presentavano una ricaduta a distanza di tempo, i pazienti migliorati con l’EMDR non presentavano ricadute a distanza di tempo, tanto da poter parlare di guarigione.

Questi lusinghieri risultati hanno portato l’amministrazione USA dei veterani di guerra (Department of Veteran Affairs) ad autorizzare la terapia con la tecnica EMDR per il trattamento del PTSD.
Sostenere quindi che l’EMDR sarebbe una tecnica paraipnotica è una grossa sciocchezza che denota ignoranza della psichiatria, mancata conoscenza degli studi più recenti sul trauma e incapacità di affrontare terapeuticamente le conseguenze di traumi come l’abuso sessuale nell’infanzia.

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ANCORA SULLA SCIENZA SPAZZATURA

Mi è stata segnalata, recentemente, l’esternazione di uno dei sostenitori dell’alienazione parentale, ex-PAS, un neuropsichiatra infantile, nonché psichiatra. Questo l’incipit:
«È capitato spesso negli ultimi tempi che chi si è occupato di temi scottanti come la alienazione parentale sia stato accusato da chi la pensa diversamente di fare “scienza spazzatura”».

Francamente, sfugge il senso di tale esternazione; ha tanto l’aria di una sorta di excusatio non petita, questa rivendicazione di una scientificità dei sostenitori dell’alienazione parentale, ex-PAS.

Come dire: ci accusate di essere ‘non-scienziati’ ma noi lo siamo e lo dimostriamo attraverso Google Scholar. Sì, perché l’esternatore chiama in causa il noto motore di ricerca per sostenere l’alto livello scientifico dei sostenitori dell’alienazione parentale, ex-PAS. Difatti scrive:

«Il sistema per definire un contributo come “scientifico” esiste, ed è semplice. Si chiama Google Scholar

Facendo finta di dimenticare, ma dimenticanza non è quanto piuttosto basso tentativo di manipolazione della comunicazione, che in discussione non è tanto la pretesa, o sé-dicente, scientificità delle persone che sostengono il concetto, quanto proprio quella del concetto medesimo; ovvero il concetto di PAS, oggi alienazione parentale, che sin dalla sua origine è stata qualificata come scienza spazzatura; e questa qualifica non viene da «ambienti … che con la comunità scientifica non c’entrano nulla» ma da uno dei massimi esponenti della comunità scientifica psichiatrica mondiale, il compianto Prof. Paul Fink, già Direttore del Dipartimento di Psichiatria e Scienze del Comportamento della Temple University di Philadelphia, nonché Presidente dell’Associazione Psichiatrica Americana e nel 1986 Capo del Comitato per la revisione del DSM-III-R, la classificazione americana dei Disturbi Mentali, rapidamente adottata un tutto il mondo (tra parentesi: nel 1985 l’esternatore di cui sopra non era ancora specializzato in psichiatria).

Una veloce ricognizione storica.
Il concetto di alienazione parentale è nato negli USA negli anni ’80 del 1900, lo scorso secolo, ed è nato come strategia processuale per difendere i genitori accusati di violenza in famiglia o abusi sessuali sui figli minori. L’avvocato che difende una persona accusata da testimoni cercherà di mettere in dubbio la veridicità della testimonianza, la credibilità dei testimoni; ciò fa parte della normale dialettica processuale.
Se le accuse sono fatte dai figli, l’avvocato che difende il genitore accusato insinuerà il dubbio che i ragazzi siano stati manipolati dall’altro genitore; dubbio legittimo. Così posta però questa strategia ha un punto debole e cioè la difficoltà di produrre le prove della presunta manipolazione psicologica.
Da qui l’idea della malattia: una malattia non ha bisogno di prove, è sufficiente che sia descritta nei testi di medicina, ricompresa nelle classificazioni ufficiali delle malattie. Si occupò di questo un medico di New York, il Dr Richard Alan Gardner e la chiamò “sindrome di alienazione genitoriale” o PAS.
Nel 1985 Gardner scrisse un articolo su questa malattia da lui ‘scoperta’; la rivista che lo pubblicò, l’Academy Forum dell’Associazione Americana di Psicanalisi e Psichiatria Dinamica, non è però una rivista scientifica ma una rivista di opinioni.

Questo concetto è solo l’opinione personale di Gardner, nulla di scientifico. Gardner aveva bisogno del riconoscimento scientifico della PAS e per questo si rivolse agli psichiatri per chiederne l’inserimento nel DSM, il manuale dei disturbi mentali, in particolare al Prof. Paul Fink.
La risposta del Prof. Fink fu lapidaria: «Pas is junk science», «la PAS è scienza spazzatura e della peggiore»; e aggiunse che «la ricerca scientifica ci dice che il motivo più probabile per il quale un bambino si estrania da un genitore è il comportamento stesso del genitore. Etichette, come la PAS, servono a distogliere l’attenzione da quel comportamento».

Oltretutto, dopo la pubblicazione di questo articolo il Dr Gardner venne espulso a vita dalla Columbia University (dove comunque era un medico volontario non retributo e non un professore universitario, come lui stesso andò spacciandosi sino alla sua morte e come viene ripetuto dai suoi sostenitori, o fedeli) con la motivazione che era «ignorante nella disciplina di psichiatria e incapace di ragionare secondo il metodo scientifico». Medesima ignoranza che si riverbera, necessariamente, su chiunque, ancora oggi, sostenga il concetto di PAS, o alienazione parentale, a ogni livello, psicologico, psichiatrico, neuropsichiatrico infantile, giornalistico, giudiziario, ecc.

Ma torniamo al nostro esternatore.
Ci tiene a informarci che il livello di scientificità, suo e dei suoi colleghi, si desumerebbe dal numero di pubblicazioni indicizzate in Google Scholar e dal numero di citazioni superiore a dieci che tali pubblicazioni hanno ricevuto. E ci mette a conoscenza dei nominativi di undici sostenitori dell’alienazione parentale (sono molti di più in realtà).
Ora, se il concetto di alienazione parentale, ex-PAS, è scienza spazzatura, come detto dal Pof. Fink nel 1985, e come ribadito nel 2012 in Italia dal Ministro della Salute, il numero di pubblicazioni non rende questo concetto scientifico visto che non lo è a prescindere, non ha basi scientifiche, è una perversa invenzione mirata a difendere i genitori accusati di violenza in famiglia o di abusi sessuali sui figli minori (tra parentesi: la psicologia giuridica è stata fondata da avvocati esperti nella difesa di pedofili o violenti e dai loro consulenti, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, che supportano tale difesa con le loro consulenze tecniche).
Ma il criterio suggerito, quello del numero di citazioni superiore a dieci è semplicemente ridicolo. L’esternatore ha elencato 11 sostenitori dell’alienazione parentale, ex-PAS; ciascuno di loro pubblica un lavoro citando gli altri dieci, ed ecco in che modo si fa salire l’indice delle citazioni. È un giochetto simile a quello dei like su Facebook. Ecco, la falsa scienza della PAS, oggi alienazione parentale, si basa sui like-citazioni ricevuti; ma sempre falsa scienza rimane, scienza spazzatura buona per la discarica dell’indifferenziato.

Chiude infine la sua esternazione con il solito refrain: «Come diceva quel tale, il peso delle offese dipende dalla altezza dalla quale cadono …»
Ma perché, sostenendo un verità scientifica, e cioè che la PAS, oggi alienazione parentale, non ha basi scientifiche ed è pertanto scienza spazzatura, offendiamo qualcuno? In cosa consisterebbe l’offesa dell’affermazione che la PAS, oggi alienazione parentale, è scienza spazzatura?
C’è qualcosa che non quadra in questo modo di ragionare; vi intravedo un apparente elevato livello di autostima che però non tollera la critica rivolta non all’autostima individuale ma al sostegno a un concetto pseudo-scientifico, quello di PAS o alienazione parentale; una sorta di identificazione totale con il concetto medesimo, un ex-sistere che dipende solo da questo concetto, per cui, demolito quest’ultimo ci si sente esistenzialmente demoliti.
Descartes scrisse: Cogito, ergo sum. Questi invece dicono: «Sostengo l’alienazione parentale, ex-PAS, dunque esisto».
Una fragilità esistenziale davvero preoccupante, visto che la questione non è meramente accademica, cioè del numero di pubblicazioni e delle citazioni ricevute, ma molto pragmatica, dal momento che soggetti così fragili dal punto di vista esistenziale, ma gonfi e tronfi di autoreferenzialità, sono chiamati in qualità di CTU, a valutare le famiglie che si separano.

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LETTERA APERTA ALLA PROF.SSA LILIANA DELL’OSSO

Egregia Prof.ssa Dell’Osso,
([email protected])

ho ascoltato il suo intervento al convegno “Dalla parte dei bambini”, organizzato a Livorno dall’Associazione MdM il 29/09/2019; e sono rimasto inorridito.

Nel breve pezzo del suo intervento pubblicato su Youtube, al minuto 1:18 lei parla della sindrome di alienazione genitoriale (PAS) come di un «disturbo ben preciso studiato nella letteratura scientifica».
Ma sta scherzando?

Una psichiatra del suo livello non può parlare della PAS come di un disturbo perché disturbi, e lei me lo insegna, sono solo quelli previsti dai DSM come tali; né si può affermare che sia ‘ben preciso’ perché i suoi sostenitori (psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali, avvocati, associazioni di padri separati, ecc) pur di continuare a fare business sulla pelle di donne e bambini hanno continuato e continuano a manipolare l’informazione cambiando nome di fronte a ogni contestazione sulla non scientificità del concetto stesso di PAS. Così è divenuto prima alienazione parentale, poi nella mente fertile di qualcuno colonizzazione della mente dei bambini, poi rifiuto immotivato, ecc. Più che un disturbo preciso sarebbe corretto parlare di pseudo-disturbo camaleontico, che cambia pelle ma rimane sempre spazzatura.

Eh, sì, perché così venne definita nel lontano 1985 (leggo dal suo sito che all’epoca lei era ricercatore in Farmacologia, quindi non sapeva nulla di PAS, e dal suo intervento mostra di saperne ancora poco) dal compianto Prof. Paul Fink, che lei avrà anche conosciuto personamente.

Le riassumo un po’ di storia della PAS.
Nel 1985 il Dr Richard Alan Gardner scrisse un articolo su questa nuova malattia da lui scoperta; la rivista che pubbllicò l’articolo non è una rivista scientifica ma una banale rivista di opinioni; niente di scientifico, quindi, ma solo l’opinione personale del Dr Gardner, medico generico, privo di competenze specialistiche psicologico-psichiatriche, privo di formazione clinica, che si spacciava per professore alla Columbia dove invece era solo un medico volontario non retribuito (legga in fondo la correzione del 14 giugno) e che lavorava unicamente nei tribunali come perito di parte dei padri separati danarosi; non dimentichiamo che il suo onorario era di 500 dollari l’ora; negli USA degli anni ’80.
Gardner aveva bisogno del riconoscimento scientifico della sua PAS, dell’inserimento nel DSM e per questo si rivolse al Prof. Fink, all’epoca Capo del Comitato per la revisione del DSM-III. La risposta del Prof. Fink la legge qui, quarto capoverso.
Il Prof. Fink chiarisce che la ricerca scientifica, quella seria ovviamente, ci dice che il motivo per il quale il figlio rifiuta un genitore è il comportamento stesso di quel genitore verso di lui («Science tells us that the most likely reason that a child becomes estranged from a parent is that parent’s own behavior. Labels, such as PAS, serve to deflect attention away from those behaviors.»)

Dopo la pubblicazione del suo articolo del 1985 Gardner venne espulso a vita dall’Università con la motivazione che era ignorante nella disciplina di psichiatria e incapace di ragionare secndo il metodo scientifico. E lei cita un ciarlatano del genere!

Senza portarla per le lunghe, può trovare bibliografia seria sulla PAS qui e qui.

Concludo citandole la dichiarazione del Ministro della Salute del 18 ottobre del 2012, con la quale, acquisito il parere dell’ISS, ha dichiarato che la PAS non ha alcun fondamento scientifico.
Lei ha delle enormi responsabilità istituzionali, non può sostenere una porcheria del genere.

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LA SINPIA E LE LINEE GUIDA

Con le sue linee guida per l’abuso nell’infanzia la SINPIA sta giocando col fuoco e rischia davvero di farsi male.
Alla pagina 10 infatti si legge:
«Una ulteriore forma di abuso psicologico può consistere nella alienazione di una figura genitoriale da parte dell’altra sino alla co-costruzione nel bambino di una “Sindrome di Alienazione Genitoriale” (Gardner, 1984).»

In primo luogo manca alla fine del documento la bibliografia che consenta di reperire il testo dell’autore citato: Gardner. Questo è un esempio di linee guida fatte come si deve, e la bibliografia è abbondante. A quelle della SINPIA dovremmo credere per puro atto di fede.

In secondo luogo questo ‘Gardner 1984’ è proprio introvabile; il primo articolo con il quale il Dr Richard Alan Gardner ha descritto la PAS è infatti del 1985. Alla SINPIA sembrano poi ignorare che Gardner dovette ridursi a pubblicare quell’articolo in una rivista di opinoni perché nessuna rivista scientifica lo accettò.

Quindi la SINPIA parte male nel citare Gardner perché cita un articolo inesistente. Ma parte peggio perché fa entrare nelle linee guida una presunta sindrome della quale parla una rivista statunitense di opinioni e che è quindi solo l’opinione di uno sconosciuto medico americano, privo di specializzazione in neuropsichiatria infantile o in psichiatria, non condivisa dal mondo scientifico.

Ma ciò che è più grave è che la SINPIA considera abuso psicologico una presunta sindrome mai considerata dalla letteratura specilistica del settore, mai classificata tra i disturbi mentali dalle maggiori classificazioni internazionali (DSM e ICD) ma soprattutto dichiarata priva di validità scientifica dal Ministro della Salute nel 2012.

Si dirà, ma le linee guida sono del 2007 mentre il Ministro della Salute si è pronunciato nel 2012. Ma perché senza la dichiarazione del Ministro della Salute qualcuno alla SINPIA la riteneva forse scientifica? Andiamo bene se degli specialisti neuropsichiatri infantili hanno bisogno del Ministro della Salute per distinguere la scienza dalla spazzatura. Ma che razza di società scientifica è quella che non sa riconoscere la pseudo-scienza?

Ma adesso c’è di più.
La SINPIA è inserita nell’elenco della Società scientifiche che possono reddigere delle Linee guida nel proprio specifico settore. Le Linee guida devono ovviamente rispondere a precisi criteri metodologici e non credo che la citazione di una presunta sindrome priva di validità scientifica sia metodologicamente corretta.

Naturalmente ci attiveremo per portare la cosa all’attenzione della autorità sanitarie preposte le quali decideranno se la SINPIA meriti ancora di essere ricompresa in quell’elenco.

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ASCOLTO EMPATICO E SUGGESTIVO? – I

L’espressione, virgolettata, si trova nel sottotitolo di un articolo pubblicato dal quotidiano L’Avvenire il 9 agosto 2019 e che trovate qui; si tratta di un’intervista a uno psicologo.
Onestamente l’accostamento di questi due termini antitetici mi sembra un po’ stridente; non so se l’espressione sia frutto della fantasia dell’intervistatore o dell’intervistato. Se cerco, come professionista, di suggestionare la persona che ho di fronte, che mi ha consultato, non la sto ovviamente ascoltando ma sto pretendendo che lei ascolti me; per cui il concetto di ascolto suggestivo mi suona strano.
Ma vediamo con calma.

EMPATIA: una definizione che salta subito all’occhio facendo una ricerca nel web è la seguente: «In psicologia, la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva».
Se vogliamo andare un po’ più sul difficile ecco la pagina della Treccani: «Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfühlung». Si consiglia, ovviamente di leggere anche il resto della pagina.
Anche se un po’ datato, ritengo di fondamentale importanza, per comprendere il concetto di empatia, quanto scrive Galimberti nella sua Enciclopedia di psicologia, Ed. Garzanti.

Empatia (ingl. Empathy; ted. Einfühlung; fr. Empathie).
Capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. … Il concetto è stato ripreso da K. Jaspers e utilizzato per distinguere la comprensione empatica dalla comprensione razionale: «Quando nella nostra comprensione i contenuti dei pensieri appaiono derivare con evidenza gli uni dagli altri, secondo le regole della logica, allora comprendiamo queste relazioni razionalmente (comprensione di ciò che è stato detto); quando invece comprendiamo i contenuti delle idee come scaturiti da stati d’animo, desideri e timori di chi pensa, allora comprendiamo veramente in modo psicologico o empatico (comprensione dell’individuo che parla)».
L’empatia richiede un assetto recettivo che consenta, come dice G.H. Mead, di «entrare nel ruolo dell’altro» per valutare il significato che la situazione che evoca l’emozione riveste per l’altra persona, nonché l’esatta interpretazione verbale e non verbale di ciò che in essa si esprime. C.R. Rogers ha studiato l’importanza dell’empatia nel rapporto terapeutico, in cui la comprensione non avviene a livello «gnosico» ma «patico», dove determinate emozioni che non appartengono ai propri vissuti possono essere valutate per estensione delle proprie esperienze. Là dove non si dà un’esperienza comune, come nel caso del delirio o di numerose patologie psichiatriche, risulta difficile stabilire un’empatia e questa difficoltà è spesso assunta a livello diagnostico come criterio per distinguere una nevrosi da una psicosi.

Se ne deduce, quindi, che non solo l’empatia è essenziale per mantenere delle buone relazioni interpersonali, a qualsiasi livello, ma è fondamentale, e fondante, per qualsiasi psicoterapia o comunque per le cosiddette helping professions (medico, psicologo, assistente sociale, ma anche insegnante, docente, maestro, ecc).
Non saprei come definire un ascolto non empatico; forse un ascolto cinico?
Eppure, nell’articolo citato, sia l’intervistatore, che è un giornalista e i giornalisti, non tutti, si sa, a volte un po’ cinici lo sono, sia l’intervistato, che è uno psicologo e non dovrebbe essere cinico nell’approccio ai suoi pazienti/clienti, si esprimono in termini critici nei confronti dell’ascolto empatico o del cosiddetto metodo empatico.
Alla luce delle recenti ricerche delle neuroscienze l’empatia non va più vista come una particolare disposizione d’animo di persone dotate di particolare sensibilità, ma trova la sua base neurologica, e quindi genetica, nella presenza dei neuroni specchio. Suggerire, come sembra dedursi dall’articolo citato, un ascolto non empatico è una cosa contro natura.

Ma veniamo all’altro termine, la suggestione. Ecco cosa scrive Galimberti nella sua Enciclopedia di Psicologia, Ed. Garzanti.

Suggestione (ingl. Suggestion; ted. Suggestion; fr. Suggestion). Accettazione acritica di un’opinione, di un’idea, di un comportamento che nasce o dal soggetto stesso (autosuggestione) o dall’influenza di altri (eterosuggestione). La suggestione ha un meccanismo ideativomotorio simile all’imitazione tipica dei bambini nei confronti degli adulti e svolge un ruolo importante nelle relazioni interpersonali, per cui è oggetto di studio nell’ambito della psicologia sociale, nei trattamenti terapeutici come l’ipnosi che si fonda quasi esclusivamente sulla suggestione, nel trattamento psicoanalitico dove non è escluso l’elemento suggestivo, e nella terapia suggestiva che consiste nell’offrire al paziente immagini positive che modificano adeguatamente il suo stato. Il grado di influenzabilità individuale attraverso suggestione prende il nome di suggestionabilità che assume forme patologiche nelle personalità isteriche e immature, fino ai livelli di obbedienza automatica nelle schizofrenie catatoniche.

Quindi nulla di esecrabile come paventano, nell’articolo, intervistatore e intervistato; ma, in quel contesto, il termine suggestione, usato in accezione spregiativa, ha la funzione di riaffermare il concetto che i bambini non sono credibili quando fanno accuse agli adulti di abusi sessuali perché suggestionati da altri adulti.
Ma questa è la tesi, ovvia, della difesa del presunto pedofilo, non può essere la posizione pre-giudiziale di uno psicologo, tanto più quando docente universitario e quindi dotato, per il suo ruolo, di autorevolezza e credibilità.
C’è, purtroppo, un settore della psicologia impegnato a mettere a punto dei metodi per screditare la testimonanza dei minori, e tra questi fattori che, a giudizio di psicologi, ma anche psichiatri e neuropsichiatri infantili, farebbero perdere credibilità ai minori quando accusano gli adulti di abusi sessuali, ritroviamo concetti totalmente privi di valore scientifico. Suona strano, pertanto, il richiamo alla scientificità da parte di chi invece utilizza in queste vicende, concetti antiscientifici.
Esiste infatti un sito web, meglio una pagina web, che si intitola “I fattori di riduzione della credibilità”; adesso questa pagina è fruibile solo accedendovi con userid e password. Fino a qualche anno fa era liberamente fruibile, poi, dopo alcune critiche, è scomparsa dal web e adesso è ricomparsa con questa modalità riservata. È tuttavia ancora intracciabile sul webarchive.
Come si può vedere, secondo questa pagina, i fattori di riduzione della credibilità sono:
1) La suggestionabilità
2) La sindrome di alienazione parentale
3) L’alto numero di ripetizioni del ricordo
4) Il livello linguistico inadeguato alla complessità della narrazione
5) Fascia di età 3-6 anni: amnesia infantile
6) Fascia di età 11-14 anni: disturbo istrionico di personalità
7) L’incapacità di distinguere esperienze vere da esperienze false
8) La presenza di psicopatologia

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[SEGUE]

IL TRAUMA E LE SUE CONSEGUENZE

La trascrizione e traduzione in italiano di questo video sono state rese disponibili dal Dr Salvatore Pitruzzello.

A metà degli anni ’90, il CDC e la Kaiser Permanente scoprirono un fattore che aumentava drasticamente per sette persone su 10 il rischio di essere colpite dalle principali cause di morte negli USA. In dosi massicce, ha effetti sullo sviluppo del cervello, sul sistema immunitario, ormonale, e anche sul modo in cui il nostro DNA viene letto e trascritto. Coloro che vi sono altamente esposti hanno un rischio tre volte maggiore di contrarre malattie cardiovascolari e cancro ai polmoni nella loro vita e hanno una differenza di 20 anni nell’aspettativa di vita. Eppure, oggi i dottori non sono formati per fare dei controlli o per curarlo. Il fattore di cui sto parlando non è un pesticida o un prodotto chimico. È il trauma infantile.

01:06

Di che tipo di trauma sto parlando? Non parlo di un’insufficienza a scuola o di perdere una partita di basket. Parlo di minacce così gravi e intense da entrare letteralmente sotto la pelle e cambiare la nostra fisiologia: cose come subire abusi o venire trascurati o crescere con un genitore alle prese con malattie mentali o con la tossicodipendenza.

01:31

Per molto tempo, ho guardato queste cose come mi era stato insegnato, come un problema sociale: rivolgersi ai servizi sociali, o come una malattia mentale: rivolgersi ai centri di salute mentale. Poi è successo qualcosa grazie a cui ho rivisto completamente il mio approccio.Quando terminai il mio internato, volevo andare in un posto in cui potevo sentirmi indispensabile, dove potevo fare la differenza. Così iniziai a lavorare per il California Pacific Medical Center, uno degli ospedali privati migliori della California del nord, e insieme, aprimmo una clinica a Bayview-Hunters Point, uno dei quartieri più poveri e meno serviti di San Francisco. Prima di quel momento, in tutta Bayview c’era un solo pediatra che curava più di 10 000 bambini, quindi ci demmo da fare e fornimmo cure eccellenti a prescindere dalla possibilità di poterle pagare. Era fantastico. Ci concentravamo sulle tipiche disuguaglianze nella sanità:l’accesso ai servizi, i tassi di vaccinazione, quelli dei ricoveri per l’asma e andavamo alla grande. Eravamo molto fieri di noi stessi.

02:45

Ma poi iniziai a notare una tendenza allarmante. Molti ragazzini venivano mandati da me per l’ADHD, ovvero la Sindrome da deficit di attenzione e iperattività, ma quando facevo loro una visita accurata, scoprivo che mi era impossibile disgnosticare l’ADHD nella maggior parte dei miei pazienti. Gran parte dei bambini che seguivo avevano subito traumi così gravi che sembrava esserci dell’altro. In un modo o nell’altro mi stava sfuggendo qualcosa di importante.

03:21

Prima del mio internato, ho conseguito una laurea magistrale in salute pubblica, e una delle prime cose che ti insegnano quando studi salute pubblica è che se sei un dottore e vedi cento bambini che bevono dallo stesso pozzo e a 98 di loro viene la diarrea, puoi continuare e scrivere la ricetta per dosi e dosi di antibiotico, oppure puoi andare lì e dire: ¨Cosa diavolo c’è in questo pozzo?¨ Quindi iniziai a leggere tutto ciò su cui potevo mettere le mani su come l’esposizione alle avversità influenzi i cervelli e i corpi in via di sviluppo dei bambini.

03:59

Poi, un giorno, un collega entrò nel mio ufficio, e mi disse: “Dottoressa Burke, ha visto questo?” Nella sua mano c’era una copia di una ricerca l’Adverse Childhood Experiences Study, Studio sulle esperienze infantili avverse. Quel giorno cambiò il mio approccio clinico e la mia carriera.

04:24

Lo Studio sulle Esperienze Infantili Avverse è qualcosa che tutti dovrebbero conoscere. Fu condotto dal Dott. Vince Felitti della Kaiser e dal dott. Bob Anda dei CDC, che, insieme, chiesero a 17.500 adulti se erano stati esposti a quelle che loro chiamavano ACE, Esperienze Infantili Avverse. Tra queste vi sono abusi fisici, emotivi o sessuali; l’essere trascurati fisicamente o emotivamente; genitori che sono stati in prigione, con malattie mentali o tossicodipendenti; separazione o divorzio dei genitori; o violenza domestica. Per ogni sì, si ottiene un punto ACE. Poi, i dottori misero in relazione i punteggi ACE con la salute dei partecipanti. Ciò che scoprirono fu scioccante. Due cose: Primo, le ACE sono incredibilmente diffuse. Il 77 per cento delle persone aveva almeno un punto ACE, e il 12,6 per cento, uno su otto, ne aveva almeno quattro. La seconda cosa che scoprirono è che vi era un rapporto di proporzionalità inversa tra le ACE e la salute: più era alto il punteggio ACE, più peggioravano le condizioni di salute. Per una persona con quattro o più ACE, il rischio relativo di contrarre broncopneumopatia cronica ostruttiva era di quattro volte e mezza superiore a quello di una persona con nessun ACE. Per l’epatite, il rischio era due volte e mezza superiore. Per la depressione, lo era di quattro volte e mezza. Per le tendenze suicide, il rischio era superiore di dodici volte. Una persona con sette o più ACE aveva un rischio tre volte superiore di contrarre un cancro ai polmoni e un rischio tre volte e mezza superiore di coronaropatia, la prima causa di morte negli Stati Uniti d’America.

06:31

Be’, ovviamente questo ha senso. Alcune persone hanno visto questi dati e hanno detto: ¨Be’, se hai un’infanzia difficile hai più probabilità di bere e fumare e fare una serie di cose che ti rovinano la salute. Questa non è scienza, sono solo cattive abitudini.¨

06:50

In realtà, è proprio qui che la scienza entra in gioco. Ora siamo in grado di capire come mai prima d’ora come l’esposizione ad esperienze infantili avverse comprometta i cervelli e i corpi in via di sviluppo dei bambini. Colpisce aree come il nucleus accumbens, il centro del piacere e della ricompensa del cervello che è coinvolto nella dipendenza da droghe, inibisce la corteccia prefrontale, che è fondamentale per il controllo degli impulsi e per le funzioni esecutive, un’area essenziale per l’apprendimento. E nelle risonanze magnetiche osserviamo consistenti differenze nell’amigdala, il centro di reazione alla paura. Quindi esistono ragioni neurologiche per cui chi viene esposto alle avversità in alte dosi ha più possibilità di assumere comportamenti rischiosi ed è importante saperlo.

07:44

Tuttavia, anche se non ti comporti in modo rischioso, hai un rischio più alto di contrarre malattie cardiovascolari o cancro. La causa di ciò risiede nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, il centro di risposta allo stress del cervello e del corpo che governa le nostre risposte di “lotta o fuga”. Come funziona? Be’, immaginate di camminare nella foresta e vedere un orso. Il vostro ipotalamo manda immediatamente un segnale all’ipofisi, che a sua volta manda un segnale alle ghiandole surrenali, dicendo: “Rilascio ormoni dello stress! Adrenalina! Cortisolo!” E il cuore inizia a battere forte, le pupille si dilatano, le vie respiratorie si aprono, e siete pronti a combattere contro l’orso oppure a scappare. E questo è meraviglioso se siete in una foresta e c’è un orso. (Risate) Il problema è ciò che succede quando l’orso torna a casa ogni sera, e questo sistema si attiva ancora, ancora e ancora, e passa dall’essere un adattamento, un salva-vita, ad essere il contrario, a danneggiare la salute. I bambini sono particolarmente sensibili a questo stress ripetuto, perché i loro corpi e cervelli sono in via di sviluppo. Le avversità in grandi dosi non solo compromettono il cervello, ma anche il sistema immunitario in via di sviluppo, i sistemi ormonali, e anche il modo in cui il nostro DNA viene letto e trascritto.

09:32

Quindi, questi dati hanno gettato al vento tutta la mia vecchia formazione, perché quando capiamo il meccanismo di una malattia, quando sappiamo non solo quali vie sono danneggiate, ma come, allora, come dottori, è nostro dovere usare questa scienza per la prevenzione e il trattamento. Ed è questo che facciamo.

09:54

A San Francisco abbiamo fondato il Centro per il Benessere Giovanile per prevenire, rilevare e curare gli impatti di ACE e stress tossico. Abbiamo iniziato facendo semplicemente controlli di routine su tutti i bambini durante le loro normali visite, perché so che se la mia paziente ha un punteggio ACE di 4, ha un rischio di 2,5 volte superiore di contrarre epatite o bronchite cronica,un rischio quattro volte superiore di diventare depressa, e un rischio di 12 volte superiore di cercare di togliersi la vita rispetto ai miei pazienti con nessun ACE. Lo so già quando è nel mio studio. Per i pazienti con risultati positivi nello screening, abbiamo una squadra di trattamento che lavora per ridurre l’avversità e curare i sintomi con i migliori metodi, tra cui visite a domicilio, coordinamento della sanità, salute mentale, nutrizione, interventi olistici e sì, quando necessari, i farmaci. Ma informiamo i genitori sugli impatti di ACE e stress tossico nello stesso modo che usiamo per la copertura delle prese elettriche o l’avvelenamento da piombo. e personalizziamo i trattamenti per i pazienti asmatici e diabetici in modo da riconoscere che potrebbero essere trattamenti più aggressivi, visti i cambiamenti a cui sono sottoposti i loro sistemi immunitari e ormonali.

11:17

Un’altra cosa che succede quando capisci queste cose è che vuoi urlarlo al vento, perché non è un problema solo dei bambini di Bayview. Pensavo che, nel momento in cui tutti ne avessero sentito parlare, ci sarebbero stati esami di routine, squadre di trattamento multidisciplinari, e una sfida a chi avesse i protocolli di trattamento clinico più efficaci. Ecco, questo non è successo. Ed è stata una lezione importante per me. Ciò che ritenevo essere semplicemente la migliore prassi clinica si è rivelata per me un movimento. Per usare le parole del Dottor Robert Block, l’ex presidente dell’Accademia Americana di Pediatria, “Le esperienze infantili avverse sono la più grande minaccia per la salute pubblica ancora irrisolta che ci sia oggi nel nostro paese.” E per molte persone, quest’idea è terrificante. La portata e le dimensioni di questo problema sono così grandi che sembra impossibile affrontarlo. Ma per me, è proprio qui che risiede la speranza, perché quando abbiamo le giuste strutture, e quando ci rendiamo conto che questa è una crisi della salute pubblica, allora possiamo iniziare ad usare i giusti strumenti per trovare soluzioni. Dal tabacco all’avvelenamento da piombo all’HIV/AIDS gli Stati Uniti hanno precedenti eccezionali per quanto riguarda la risoluzione di problemi di salute pubblica, ma avere successo anche con le ACE e lo stress tossico richiede determinazione e impegno, e quando osservo la risposta della nostra nazione fino ad adesso, mi chiedo, perché non prendiamo tutto questo più seriamente?

13:15

Sapete, all’inizio pensavo che mettessimo da parte il problema perché non ci riguardava direttamente. È un problema di quei bambini di quei quartieri. Il che è strano, visto che i dati non reggono questa ipotesi. Lo studio originale sulle ACE era stato fatto su una popolazione per il 70 per cento caucasica, e per il 70 per cento laureata. Ma poi, più parlavo con la gente, più sembrava che la situazione fosse l’esatto opposto. Se dovessi chiedere quante persone in questa stanza sono cresciute con un membro familiare con malattie mentali, sono sicura che si alzerebbero diverse mani. E se chiedessi quanti di voi avevano un genitore che beveva forse troppo, o che pensavano che chi ama bene castiga bene scommetto che si alzerebbero alcune mani in più. Anche in questa stanza, questo problema riguarda molti di noi, e sto iniziando a pensare che lo mettiamo da parte perché effettivamente ci riguarda. Forse è più facile vederlo in altre zone, perché non vogliamo guardarlo in faccia. Preferiamo ammalarci.

14:34

Fortunatamente, il progresso scientifico e, sinceramente, le realtà economiche rendono quest’opzione sempre meno accessibile. La scienza è chiara: Le avversità nell’infanzia possono compromettere la salute per tutta la vita. Oggi, iniziamo a capire come interrompere il passaggio dalle avversità infantili alla malattia e alla morte precoce, e in 30 anni, i bambini con un punteggio ACE alto, i cui sintomi comportamentali non vengono riconosciuti, il cui controllo dell’asma non viene associato al problema, e che contraggono pressione sanguigna alta, e malattie cardiovascolari o cancro precoci, saranno rari come una mortalità di sei mesi da HIV/AIDS. Le persone osserveranno la situazione e diranno: “cosa diavolo è successo qui?” Tutto questo è curabile. Tutto questo si può sconfiggere. La cosa più importante di cui abbiamo bisogno oggi è il coraggio di guardare in faccia il problema e renderci conto che è reale e che ci riguarda tutti. Io credo che noi tutti siamo il movimento.

15:52

Grazie.

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L’INSOSTENIBILE INUTILITÀ DELLA PSICHIATRIA SALENTINA

 (e forse dell’intera regione Puglia)

Per lunghi decenni la psichiatria salentina è stata rappresentata da una grossa struttura manicomiale, l’Ospedale Psichiatrico Interprovinciale Salentino (OPIS), che ricoverava i pazienti provenienti dalle tre province salentine; nato nei primi anni del 1900 come Manicomio provinciale di Terra d’Otranto, sulla scorta della legge sui manicomi varata nel 1906, venne istituito dall’allora Provincia di Terra d’Otranto e mantenne la sua unitarietà anche quando, nel 1923, la Provincia di Terra d’Otranto venne smembrata nelle attuali tre Province autonome di Brindisi, Lecce e Taranto.

Risale a quegli anni il primo attacco delle istituzioni politiche locali ai diritti delle persone con disturbi psichici; il manicomio perse allora la sua caratteristica tipologica di Ente pubblico per acquisire il carattere privatistico proprio di un’istituzione che vive di vita propria, sganciata dagli interessi della comunità locale. Il manicomio di Terra d’Otranto si trasformò infatti nel Consorzio OPIS, con un suo Consiglio di amministrazione che non coincideva più con il Consiglio provinciale, espressione della volontà popolare liberamente espressa in elezioni democratiche.

Questo ‘peccato originale’ della psichiatria salentina si è poi riverberato a cascata sugli eventi futuri determinando quell’arretratezza culturale che caratterizza ancor oggi le istituzioni psichiatriche della nostra Provincia.

Il Consorzio OPIS, difatti, cominciò a operare perseguendo i suoi fini istituzionali, certo, ma che non coincidevano più con quelli dell’Istituzione Provincia, dalla quale pur dipendeva; fu così che si addivenne, con notevole ritardo rispetto alla legge istitutiva, alla creazione del Servizio di Igiene Mentale Provinciale (SIM)1; non solo si registrò un ritardo quasi decennale rispetto alla legge ma si verificò il paradosso dei paradossi.

I SIM provinciali, difatti, in tutta Italia venivano istituiti dalle Amminiostrazioni Provinciali, con l’obiettivo di svolgere nel territorio l’assistenza ai pazienti psichiatrici riducendo così il ricorso all’ospedalizzazione indiscriminata, riducendo così la spesa per l’assistenza psichiatrica, o comunque in parte riconvertirla, da spesa meramente manicomiale a spesa anche territoriale; la Provincia di Lecce, che aveva già delegato al Consorzio OPIS l’assistenza psichiatrica ospedaliera, pensò bene di delegarvi anche quella territoriale. Per via di questa delega il SIM provinciale venne istituito dal Consorzio OPIS, e cioè dalla medesima istituzione con la quale il SIM, per mandato istituzionale si poneva in antagonismo.

Tipica situazione edipica, direbbe qualcuno, nella quale un padre (il consorzio OPIS) mette al mondo un figlio (il SIM) destinato, se non proprio a soppiantarlo – i tempi non erano ancora maturi -, perlomeno a ridimensionare il suo ruolo nell’assistenza psichiatrica; e un Edipo non sufficientemente elaborato porta sempre dei danni, come c’insegna certa psicanalisi.

Giungeva in fretta il 1978 con la sua Legge n° 180 e con la successiva Riforma sanitaria che istituiva le Unità Sanitarie Locali (USL); il SIM provinciale venne smembrato nei, dapprima, 10 e poi tredici Centri di igiene mentale (CIM) di ciascuna USL ma per fortuna non perse il patrimonio, sia pur ancora nascente, di cultura ed esperienza accumulato nell’assistenza psichiatrica territoriale.

Nella fase di transizione tra il vecchio modello manicomiale e il nuovo modello territoriale, un grosso impulso alla realizzazione della riforma veniva dalle Amministrazioni provinciali che trovavano le loro convenienze, sia economiche (il modello territoriale ha costi minori rispetto a quello ospedaliero) sia politiche visto che decentrava nel territorio attività e personale sino ad allora concentrato nell’istituzione manicomiale; ma l’Amministrazione provinciale di Lecce aveva delegato, o se si vuole, appaltato, l’assistenza psichiatrica territoriale al Consorzio OPIS, ente pubblico che operava secondo logiche privatistiche.

Il primo direttore del SIM provinciale è stato il compianto prof. Rodolfo Belsanti, Vice-presidente della Lega di Igiene Mentale. Il prof. Belsanti, pur con la drammatica carenza di organico (un solo psichiatra per ciascun CIM) diede notevole impulso alla territorializzazione dell’assistenza psichiatrica e stimolò i CIM alla creazione delle prime strutture intermedie, che in effetti videro la luce negli anni ’80 e accolsero pazienti dimessi dall’ospedale psichiatrico.

Il pensionamento del prof. Belsanti e l’arrivo al SIM, nel frattempo divenuto DSM (Dipartimento di salute mentale) di direttori poco avvezzi all’assistenza territoriale dei pazienti con disturbi mentali ha non solo frenato il processo di territorializzazione ma addirittura provocato, sopratttutto nei tempi più recenti, un’inversione del processo di territorializzazione dell’assistenza psichiatrica.

La carenza di strutture intermedie a gestione diretta del DSM ha portato alla proliferazione di una miriade di comunità residenziali psichiatriche e quindi all’incremento della istituzionalizzazione dei pazienti psichiatrici sino a numeri pre-180.

Di questo processo involutivo ha dato atto il CSV Salento con una sua pubblicazione dal titolo emblematico: “Psichiatria, 180 passi indietro2.

A mero titolo di esempio, il solo CIM di Lecce, rinominato CSM (ma non è certo il cambio del nome che può cambiare la sostanza), nel 2001 contava circa 20 pazienti inseriti in comunità residenziali, nel 2013 è giunto a inserirne circa un centinaio.

Questo incremento si comprenderebbe laddove ci fosse stato un parallelo aumento della frequenza nella popolazione di patologie mentali gravi; ma così non è, tant’è vero che i nuovi casi di schizofrenia si contano ormai col lanternino.

E allora come spiegare tutto questo?

Con il venir meno dell’assistenza psichiatrica nel territorio, ovvero, come si scriveva negli anni ’70, “nel luogo di realtà ove con consuetudine si svolge l’individualità umana normale o malata”.

Compito istituzionale dei CIM/CSM è quello di assicurare l’assistenza ai pazienti psichiatrici nel territorio, nelle loro case, nei luoghi di svago, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, ecc. Senza un concreto impegno in attività di assistenza domiciliare, da svolgere all’esterno della sede del CSM, nel territorio dove i pazienti vivono, si ritorna inevitabilmente all’istituzionalizzazione, alla creazione di luoghi speciali e separati ove le persone con disturbi mentali trascorrono la loro intera esistenza; si ricrea l’apartheid psichiatrico, tipico delle istituzioni manicomiali del passato ma tuttora attuale anche se le nuove istituzioni si chiamano comunità residenziali o semiresidenziali, centri diurni, laboratori protetti, ecc.

Il paziente si ritrova a girare sempre sulla stessa giostra dell’istituzionalizzazione, magari più sofisticata, più tecnologica, ma sempre dentro il recinto del circuito assistenziale psichiatrico. E a fine giro, quando i tecnici decidono che non è più riabilitabile si ritrova in un altro circuito, quello delle strutture socio-assistenziali, dove costa meno alle ASL, anzi deve pagare lui stesso per poterci restare.

Deriva da qui l’inutilità di una psichiatria, quella pubblica, che si mostra sempre più incapace di svolgere il proprio mandato istituzionale, incapace di assicurare ai pazienti psichiatrici una dignitosa esistenza nel loro domicilio, riducendo il ricorso alla ospedalizzazione e alla istituzionalizzazione prolungata. Una psichiatria sempre più autoreferenziale e parassitaria, che ha dei costi sempre maggiori per un’assistenza sempre peggiore. Una sorta di moloch che fagocita persone ed espelle relitti umani.

1La legge che istituiva i Servizi di Igiene Mentale Provinciali, la Legge Mariotti, è del 1968, ma è solo nel 1975 che il Consorzio OPIS istituisce il SIM della provincia di Lecce.

2CSVS: Visti da noi . Lo sguardo del volontariato sui bisogni del territorio. Redazione Volontariato Salento, 2011.

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SCHIZOFRENIA – III

  Abbiamo visto nel post precedente come le critiche ai concetti di demenza precoce e schizofrenia siano state portate da illustri studiosi sin dalla nascita di essi. Vediamo di approfondire.

 La prima questione è quella di stabilire se sia legittima sul piano scientifico l’unificazione sotto un’unica ‘malattia’ di condizioni comportamentali descritte separatamente.

 Collochiamoci mentalmente in quell’epoca. Siamo nella seconda metà del 1800, i medici che lavorano negli ospedali psichiatrici assistono i soggetti che vi sono rinchiusi cercando di alleviare le loro sofferenze e ricorrendo a metodi terapeutici non proprio ortodossi ma comunque confacenti a quelle che erano le concezioni mediche correnti.

 Alcuni di questi medici provavano a dare un nome alle alterazioni comportamentali che osservavano, di solito utilizzando una terminologia derivata dal latino classico, con una certa analogia con le scienze naturali che già dal 1700 avevano denominato e classificato molti fenomeni naturali.

 Tentativi di classificazione delle alterazioni comportamentali erano stati fatti già nel 1700 da alcuni naturalisti, ma senza molta fortuna; sul modello delle scienze naturali venne applicata alle malattie la medesima tassonomia di classe-ordine-genere.

 Nella classificazione di Boissier de Sauvage, il più grande medico del 1700, soprannominato l’Ippocrate del 1700, direttore della facoltà medica della prestigiosa università di Montpellier, i disturbi mentali erano riuniti nella classe VIII che comprendeva 4 ordini e 23 generi di malattia.

 Anche Linneo propose una sua classificazione dei disturbi mentali, raggruppati nella classe V, suddivisa in tre ordini: disturbi ideali (della sfera intellettiva), disturbi immaginari (dell’attività sensoriale) e disturbi patetici (della vita emotiva).

 Nel 1800 alcuni medici cominciarono a dare un nome alla alterazioni comportamentali che osservano negli ospedali psichiatrici. Nel 1863 Kahlbaum descrisse la vesania tipica (prevalenza di convinzioni deliranti), nel 1871 Hecker descrisse l’hebefrenia (malattia della mente giovane: Ebe è la dea greca simbolo della giovinezza) e nel 1874 ancora Kahlbaum descrisse una terza malattia che chiamò catatonia (prevalenza di disturbi del comportamento motorio). La questione di analizzare se tali entità abbiano le caratteristiche delle malattie sarà affrontata nel prossimo post.

 L’operazione compiuta da Kraepelin è stata quella di unificare queste tre ‘malattie’ in una nuova entità che lui ha chiamato dementia praecox, o demenza precoce. Qual è stato il criterio unificante identificato da Kraepelin? La comune evoluzione, a suo giudizio, in una sorta di demenza che si manifestava in una età precoce rispetto a quella dei soggetti anziani.

 Di fronte alle critiche alla sua teoria Kraepelin fu costretto ad ammettere che il cosiddetto esito in demenza di queste tre condizioni non solo non era obbligatorio (non tutte evolvevano in demenza) me che addirittura non era nemmeno il più frequente (la maggioranza di queste condizioni non evolveva mai in demenza, come aveva già dimostrato il Prof. Parant nella sua relazione al congresso del 1904 – ved. post precedente).

 Ma ormai questa teoria unificante aveva preso piede, era comoda per gli psichiatri dell’epoca e nonostante le evidenze contrarie venne mantenuta e rafforzata; un po’ come la teoria eliocentrica che venne mantenuta per duemila anni, fino a Copernico che la smentì.

 Dopo qualche anno giunse Bleuler, con la parola schizofrenia che ha affascinato letteralmente generazioni di psichiatri, e così ci ritroviamo ancora con questo totem anacronistico.

 Un autentico gioco di prestigio, quello compiuto da Bleuler; sostanzialmente egli riconobbe che il criterio di Kraepelin dell’evoluzione in demenza non reggeva alle critiche e pensò di mantenere l’unitarietà di quelle condizioni utilizzando come criterio unificante non più l’evoluzione in demenza ma la dissociazione delle funzioni psichiche tra loro.

 Logica vuole che se io costruisco un insieme (demenza precoce) in base a un criterio unificante che poi si rivela infondato non posso mantenere in piedi lo stesso insieme solo cambiandogli nome (schizofrenia) e dicendo che adesso il criterio unificante non è più quello di prima ma un altro di mia invenzione.

Nella prima metà del 1900 uno dei più grandi psichiatri in assoluto della storia della psichiatria, Jaspers affermò categoricamente che “un esito uguale non è una prova per l’identità delle malattie”. Jaspers ci dà una grande lezione di clinica affermando che se due o più malattie hanno un esito uguale questo non significa che siano malattie uguali.

Da questa affermazione di Jaspers viene l’esempio che ho fatto nel mio articolo: molte malattie del fegato (epatiti virali, epatopatia alcolica, epatopatia biliare, ecc.) hanno in comune l’esito in cirrosi epatica. Ma la medicina non unifica queste malattie in base al comune esito, non le cura nello stesso modo, non le considera originate dalla stessa causa.

 A mio modesto parere continuando a parlare di schizofrenia siamo davvero fuori dalla metodologia clinica, dalla medicina delle evidenze scientifiche.

Per citare autori recenti, il grado di attendibilità della psichiatria quando formula la diagnosi di schizofrenia è lo stesso dell’astrologia che in raggruppamento di 3-4 stelle ci vede una costellazione.

REFERENZE BIBLIOGRAFICHE

 Japspers K: Psicopatologia generale. Il Pensiero Scientifico Editore, 2000.

 Poland J: Bias and Schizophrenia, in Caplan: Bias in psychiatric diagnosis, Jason Aronson 2004.

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SCHIZOFRENIA – II

Bleuler

La parola schizofrenia, pur costruita con due termini derivati dal greco antico, ‘schizo’ che significa diviso, scisso, e ‘frenia’ che significa mente, anima, è in realtà un termine molto più recente; la sua nascita risale al 1911 e si deve a uno psichiatra svizzero, Eugene Bleuler.

Il Dr Beluler, direttore di una clinica psichiatrica universitaria a Zurigo, in realtà non ha scoperto proprio nulla, si è solo limitato a cambiare nome a una ‘malattia’ identificata da uno psichiatra tedesco, Emile Kraepelin, docente di psichiatria all’Università di Heidelberg e poi a Monaco di Baviera, e da lui chiamata demenza precoce.

Ma anche l’illustre Kraepelin non è che abbia quei grandi meriti che la psichiatria gli riconosce; si è limitato a unificare, a suo giudizio, delle condizioni cliniche e comportamentali già descritte da altri medici prima di lui.

Si aprono quindi due importanti questioni:

a) da un lato quella di valutare la legittimità, sul piano scientifico, di unificare delle condizioni che altri hanno descritto singolarmente;

b) dall’altro quella di valutare se tali condizioni avessero a loro volta caratteristiche di malattia.

Di fatto c’è che sia la diagnosi di schizofrenia (Bleuler) sia quella di demenza precoce (Kraepelin) incontrarono all’epoca, siamo tra la seconda metà del 1800 e i primi anni del 1900, delle critiche di non poco conto.

Una prima critica è quella del Dr Victor Parant, Direttore della Maison de Santé di Tolosa. Nell’agosto del 1904 al Congrés des aliénistes et neurologistes il Dr Parant nella sua relazione cita una casistica degli ultimi dieci anni del suo lavoro affermando che la denominazione di demenza precoce poteva applicarsi al 4-25% dei casi e non alla totalità del campione studiato.

Egli scrive:

 On veut donner ce nom à une sorte d’entité englobant des états très diverses et dont le disparate est si grand que, sans la perte des facultés mentales, on ne voi pas quels rapports ils ont les uns avec les autres, e sur ce point la faiblesse de la doctrine est vraiment extrème.

E cioè:

 Si vuol dare questo nome a una sorta di entità inglobante stati molto diversi e nei quali la disparità è così grande che, senza la perdita delle facoltà mentali, non si vede quali rapporti abbiano gli uni con gli altri, e su questo punto la debolezza dottrinale è davvero estrema.

Aggiungendo alla fine della sua relazione:

 Les conception récentes, présentées sous le nom de démence précoce, son purement artificielles, elles ne reposent que sur des affirmations sans preuves qui ne justifient ni le séméiologie ni l’anatomie pathologique.

Ovvero:

Le concezioni recenti, presentate sotto il nome di demenza precoce, sono puramente artificiali, esse non poggiano che su affermazioni senza prove che non sono giustificate né dalla semeiologia né dall’anatomia patologica.

Anche successivamente sono state espresse critiche verso questo concetto che due psichiatri di una clinica di Ginevra, il Dr De Morcier e il Dr Morel, hanno definito come ‘malattia fittizia’.

Ma nonostante queste critiche il concetto di schizofrenia come malattia portante della psichiatria si è imposto e domina tuttora il panorama psichiatrico.

REFERENZE BIBLIOGRAFICHE

 Parant V (1904), Revue critique d’une prétendue entité morbide dite Démence Précoce, Ann Med-Psych, n° 1, 1905, pagg 229-241, Masson, Paris.(http://www2.biusante.parisdescartes.fr/livanc/?cote=90152x1905x01&p=229&do=page)

 De Morsier G, Morel F (1929), Critique de la notion de Schizohrénie, Ann Med-Psych, n° 2, pagg 406-415. Masson, Paris. (http://www2.biusante.parisdescartes.fr/livanc/?cote=90152x1929x02&do=pdf)

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