L’espressione, virgolettata, si trova nel sottotitolo di un articolo pubblicato dal quotidiano L’Avvenire il 9 agosto 2019 e che trovate qui; si tratta di un’intervista a uno psicologo.
Onestamente l’accostamento di questi due termini antitetici mi sembra un po’ stridente; non so se l’espressione sia frutto della fantasia dell’intervistatore o dell’intervistato. Se cerco, come professionista, di suggestionare la persona che ho di fronte, che mi ha consultato, non la sto ovviamente ascoltando ma sto pretendendo che lei ascolti me; per cui il concetto di ascolto suggestivo mi suona strano.
Ma vediamo con calma.

EMPATIA: una definizione che salta subito all’occhio facendo una ricerca nel web è la seguente: «In psicologia, la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva».
Se vogliamo andare un po’ più sul difficile ecco la pagina della Treccani: «Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. Con questo termine si suole rendere in italiano quello tedesco di Einfühlung». Si consiglia, ovviamente di leggere anche il resto della pagina.
Anche se un po’ datato, ritengo di fondamentale importanza, per comprendere il concetto di empatia, quanto scrive Galimberti nella sua Enciclopedia di psicologia, Ed. Garzanti.

Empatia (ingl. Empathy; ted. Einfühlung; fr. Empathie).
Capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. … Il concetto è stato ripreso da K. Jaspers e utilizzato per distinguere la comprensione empatica dalla comprensione razionale: «Quando nella nostra comprensione i contenuti dei pensieri appaiono derivare con evidenza gli uni dagli altri, secondo le regole della logica, allora comprendiamo queste relazioni razionalmente (comprensione di ciò che è stato detto); quando invece comprendiamo i contenuti delle idee come scaturiti da stati d’animo, desideri e timori di chi pensa, allora comprendiamo veramente in modo psicologico o empatico (comprensione dell’individuo che parla)».
L’empatia richiede un assetto recettivo che consenta, come dice G.H. Mead, di «entrare nel ruolo dell’altro» per valutare il significato che la situazione che evoca l’emozione riveste per l’altra persona, nonché l’esatta interpretazione verbale e non verbale di ciò che in essa si esprime. C.R. Rogers ha studiato l’importanza dell’empatia nel rapporto terapeutico, in cui la comprensione non avviene a livello «gnosico» ma «patico», dove determinate emozioni che non appartengono ai propri vissuti possono essere valutate per estensione delle proprie esperienze. Là dove non si dà un’esperienza comune, come nel caso del delirio o di numerose patologie psichiatriche, risulta difficile stabilire un’empatia e questa difficoltà è spesso assunta a livello diagnostico come criterio per distinguere una nevrosi da una psicosi.

Se ne deduce, quindi, che non solo l’empatia è essenziale per mantenere delle buone relazioni interpersonali, a qualsiasi livello, ma è fondamentale, e fondante, per qualsiasi psicoterapia o comunque per le cosiddette helping professions (medico, psicologo, assistente sociale, ma anche insegnante, docente, maestro, ecc).
Non saprei come definire un ascolto non empatico; forse un ascolto cinico?
Eppure, nell’articolo citato, sia l’intervistatore, che è un giornalista e i giornalisti, non tutti, si sa, a volte un po’ cinici lo sono, sia l’intervistato, che è uno psicologo e non dovrebbe essere cinico nell’approccio ai suoi pazienti/clienti, si esprimono in termini critici nei confronti dell’ascolto empatico o del cosiddetto metodo empatico.
Alla luce delle recenti ricerche delle neuroscienze l’empatia non va più vista come una particolare disposizione d’animo di persone dotate di particolare sensibilità, ma trova la sua base neurologica, e quindi genetica, nella presenza dei neuroni specchio. Suggerire, come sembra dedursi dall’articolo citato, un ascolto non empatico è una cosa contro natura.

Ma veniamo all’altro termine, la suggestione. Ecco cosa scrive Galimberti nella sua Enciclopedia di Psicologia, Ed. Garzanti.

Suggestione (ingl. Suggestion; ted. Suggestion; fr. Suggestion). Accettazione acritica di un’opinione, di un’idea, di un comportamento che nasce o dal soggetto stesso (autosuggestione) o dall’influenza di altri (eterosuggestione). La suggestione ha un meccanismo ideativomotorio simile all’imitazione tipica dei bambini nei confronti degli adulti e svolge un ruolo importante nelle relazioni interpersonali, per cui è oggetto di studio nell’ambito della psicologia sociale, nei trattamenti terapeutici come l’ipnosi che si fonda quasi esclusivamente sulla suggestione, nel trattamento psicoanalitico dove non è escluso l’elemento suggestivo, e nella terapia suggestiva che consiste nell’offrire al paziente immagini positive che modificano adeguatamente il suo stato. Il grado di influenzabilità individuale attraverso suggestione prende il nome di suggestionabilità che assume forme patologiche nelle personalità isteriche e immature, fino ai livelli di obbedienza automatica nelle schizofrenie catatoniche.

Quindi nulla di esecrabile come paventano, nell’articolo, intervistatore e intervistato; ma, in quel contesto, il termine suggestione, usato in accezione spregiativa, ha la funzione di riaffermare il concetto che i bambini non sono credibili quando fanno accuse agli adulti di abusi sessuali perché suggestionati da altri adulti.
Ma questa è la tesi, ovvia, della difesa del presunto pedofilo, non può essere la posizione pre-giudiziale di uno psicologo, tanto più quando docente universitario e quindi dotato, per il suo ruolo, di autorevolezza e credibilità.
C’è, purtroppo, un settore della psicologia impegnato a mettere a punto dei metodi per screditare la testimonanza dei minori, e tra questi fattori che, a giudizio di psicologi, ma anche psichiatri e neuropsichiatri infantili, farebbero perdere credibilità ai minori quando accusano gli adulti di abusi sessuali, ritroviamo concetti totalmente privi di valore scientifico. Suona strano, pertanto, il richiamo alla scientificità da parte di chi invece utilizza in queste vicende, concetti antiscientifici.
Esiste infatti un sito web, meglio una pagina web, che si intitola “I fattori di riduzione della credibilità”; adesso questa pagina è fruibile solo accedendovi con userid e password. Fino a qualche anno fa era liberamente fruibile, poi, dopo alcune critiche, è scomparsa dal web e adesso è ricomparsa con questa modalità riservata. È tuttavia ancora intracciabile sul webarchive.
Come si può vedere, secondo questa pagina, i fattori di riduzione della credibilità sono:
1) La suggestionabilità
2) La sindrome di alienazione parentale
3) L’alto numero di ripetizioni del ricordo
4) Il livello linguistico inadeguato alla complessità della narrazione
5) Fascia di età 3-6 anni: amnesia infantile
6) Fascia di età 11-14 anni: disturbo istrionico di personalità
7) L’incapacità di distinguere esperienze vere da esperienze false
8) La presenza di psicopatologia

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